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(URSS)

Nel dicembre 1922 i congressi dei soviet delle singole repubbliche (le province dell’ex impero zarista)

decisero di dar vita all’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (URSS). La nuova costituzione

dell’URSS, approvata nel 1924, affidava il potere supremo al Congresso dei soviet dell’Unione. Il potere

reale, però, era nelle mani del Partito comunista, l’unico la cui esistenza fosse prevista dalla costituzione

stessa. Era il partito a fornire le direttive ideologiche e politiche cui si ispirava l’azione del governo. Lo

sforzo dei bolscevichi si indirizzò soprattutto in due direzioni: l’educazione della gioventù e la lotta contro

la Chiesa ortodossa. La lotta per la scristianizzazione del paese fu condotta con molta durezza e, nel

complesso, potè dirsi riuscita nei suoi obiettivi. Il governo rivoluzionario stabilì fra i suoi primi atti il

riconoscimento del solo matrimonio civile e semplificò al massimo le procedure per il divorzio. Nel 1920 fu

inoltre legalizzato l’aborto.

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Marco Cappuccini Sezione Appunti

52. La morte di Lenin e il conflitto nel gruppo dirigente: Trotzkij e

Stalin

Nell’aprile del 1922 l’ex commissario alle Nazionalità, Stalin, fu nominato segretario generale del Partito

comunista dell’URSS. Finchè era rimasto sula breccia, Lenin aveva controllato saldamente il partito e aveva

impedito, con la sua indiscussa autorità, che i contrasti nel gruppo dirigente degenerassero in veri e propri

scontri. Con la malattia di Lenin e la quasi contemporanea ascesa di Stalin alla segreteria le cose cambiarono

rapidamente. I dissensi interni si fecero più aspri e si intrecciarono con una sempre più scoperta lotta per la

successione. Trotzkij era il più autorevole e il più popolare dopo Lenin tra i capi bolscevichi, ma era anche,

forse proprio per questo, isolato rispetto agli altri leader di primo piano (Zinon’ev, Kamenev, Bucharin), che

respinsero le sue critiche alla gestione del partito e fecero blocco col segretario generale il quale potè così

rafforzare la sua posizione, nonostante non avesse un grande prestigio personale e non godesse nemmeno

della fiducia di Lenin, che lo considerava troppo rozzo e autoritario. Lo scontro fra Trotzkij e Stalin, si fece

più aspro dopo la morte di Lenin. Per Trotzkij l’Unione Sovietica doveva da un lato accelerare i suoi ritmi di

industrializzazione, dall’altro concentrare i suoi sforzi nel tentativo di favorire l’estendersi del processo

rivoluzionario nell’Occidente capitalistico e soprattutto nei paesi più sviluppati. Contro questa tesi, per cui

fu coniata l’espressione “rivoluzione permanente”, scese in campo lo stesso Stalin. Stalin sosteneva che, nei

tempi brevi, la vittoria del “socialismo in un solo paese” era “possibile e probabile” e che l’Unione Sovietica

aveva in sè le forze sufficienti a fronteggiare l’ostilità del mondo capitalista. Una volta sconfitto Trotzkij,

venne meno però il principale legame che teneva uniti i suoi avversari, e il gruppo dirigente comunista

conobbe una nuova drammatica spaccatura. L’occasione dello scontro fu offerta questa volta dal dibattito

sulla politica economica. A partire dall’autunno del ’25 Zinon’ev e Kamenev, riprendendo idee già sostenute

da Trorzkij, si pronunciarono per un’interruzione dell’esperimento della Nep, che a loro avviso stava

facendo rinascere il capitalismo nelle campagne, e per un deciso rilancio dell’industrializzazione a spese, se

necessario, degli strati contadini privilegiati. La tesi opposta fu sostenuta con decisione da Bucharin, che

ebbe l’appoggio di Stalin. Zinon’ev e Kamenev si riaccostarono a Trotzkij e, assieme a lui, cercarono di

organizzare un fronte unico di opposizione. I leader dell’opposizione furono dapprima allontanati

dall’Ufficio politico e dal Comitato centrale, poi, nel ’27, addirittura espulsi dal partito. Trotzkij fu deportato

in una località dell’Asia centrale e successivamente espulso dall’URSS: Con la sconfitta dell’opposizione di

sinistra cominciava una nuova fase che sarebbe stata caratterizzata dalla continua crescita del potere

personale di Stalin e dal suo tentativo di portare l’Unione Sovietica alla condizione di grande potenza

industriale e militare.

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53. Tra le due guerre: le associazioni di ex combattenti

La guerra era stata la più grande esperienza di massa mai vissuta in allora nella storia dell’umanità e aveva

agito come un potentissimo acceleratore dei fenomeni sociali. Tornati alla vita civile, i combattenti si

trovarono di fronte a una realtà molto diversa da quella che avevano lasciato. Le donne erano subentrate nei

posti di lavoro in gran numero, creando, a guerra finita, non pochi problemi per il reinserimento dei reduci.

L’espansione dell’industria di guerra aveva spostato dalle campagne alle città nuovi strati di lavoratori non

qualificati. Il primo problema che si pose con drammatica urgenza alle classi dirigenti di tutti i paesi fu il

reinserimento dei reduci: sorsero ovunque grandi associazioni di ex combattenti ma in realtà le provvidenze

in favore dei combattenti furono piuttosto modeste. Risultò così bruscamente accentuata la tendenza alla

massificazione della politica. Partiti e sindacati videro aumentare ovunque il numero dei loro iscritti, i loro

apparati organizzativi divennero più complessi e centralizzati.

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54. Dopo guerra e nazionalismo economico

Tutti i paesi belligeranti uscirono dal conflitto in condizioni di gravissimo dissesto economico. Per far fronte

a queste enormi spese, i governi erano ricorsi dapprima all’aumento delle tasse, quindi avevano fatto appello

al patriottismo dei risparmiatori lanciando sottoscrizioni e prestiti nazionali e allargando a dismisura il

debito pubblico. Infine avevano contratto massicci debiti con i paesi amici, in primo luogo con gli Stati

Uniti. Fra il 1915 e il 1918 a causa dell’inflazione i prezzi crebbero, determinando un vero e proprio

sconvolgimento nella distribuzione della ricchezza e nelle stesse gerarchie sociali. I governi europei

dovettero affrontare i complessi problemi legati al passaggio dall’economia di guerra a quella di pace.

Invece della piena libertà degli scambi, auspicata nel programma di Wilson, si ebbe nel dopoguerra una

ripresa di nazionalismo economico e di protezionismo doganale. Ma grazie al sostegno dello Stato

l’industria europea riuscì in un primo tempo a mantenere o a incrementare i libelli produttivi degli anni di

guerra. Ma questa espansione “artificiale”, che si accompagnò a una stagione di intense lotte sociali, durò

meno di due anni e fu seguita da una fase depressiva che, iniziata alla fine del 1920, provocò la crisi di molte

imprese e un conseguente rapido aumento della disoccupazione.

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55. L'avanzata del socialismo tra le due guerre

Tra la fine del 1918 e l’estate del 1920 il movimento europeo fu protagonista di un’impetuosa avanzata

politica. I partiti socialisti registrarono quasi ovunque notevoli incrementi elettorali. I lavoratori organizzati

dai sindacati diedero vita a un’imponente ondata di agitazioni che consentì agli operai di ottenere fra l’altro

la riduzione dell’orario di lavoro a otto ore giornaliere a parità di salario. Ovunque si formarono

spontaneamente consigli operai che scavalcavano le organizzazioni tradizionali dei lavoratori sull’esempio

dei soviet russi. L’ondata rossa del ‘19-20 si manifestò nei singoli paesi in forme e con intensità diverse:

nelle due maggiori potenze vincitrici, Francia e Gran Bretagna, le classi dirigenti riuscirono a contenere

senza eccessive difficoltà la pressione del movimento operaio; Germania, Austria e Ungheria furono invece

teatro di veri e propri tentativi rivoluzionari, ma questi tentativi furono rapidamente stroncati. Nel ’19 con la

costituzione dell’Internazionale comunista la scissione del movimento operaio avrebbe contribuito ad aprire

il varco alla controffensiva conservatrice.

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56. L'evoluzione politica della Germania dopo la sconfitta della

Prima Guerra Mondiale

Al momento della firma dell’armistizio, lo Stato tedesco si trovava in una situazione tipicamente

rivoluzionaria. L’esercito, una volta ripiegato sulla linea del Reno, si disgregò e centinaia di migliaia di

soldati si riversarono nel paese, spesso portando con sé le proprie armi. Il governo legale era esercitato da un

Consiglio dei commissari del popolo presieduto dal socialdemocratico Ebert e composto esclusivamente da

socialisti (compresi gli “indipendenti” dell’Uspd, la frazione di sinistra staccatasi dalla Spd nel ’17). Ma

nelle città i veri padroni della situazione erano i consigli degli operai e dei soldati, che occupavano aziende e

sedi di giornali, dettavano le loro condizioni agli industriali e ai rappresentanti dei poteri legali. A Berlino,

roccaforte dell’estrema sinistra, dove i disoccupati erano oltre duecentomila e le strade erano piene di soldati

armati, si susseguivano le manifestazioni e gli scontri di piazza. Ma c’erano gli eserciti vincitori schierati

lungo il Reno e pronti a intervenire per bloccare ogni sviluppo rivoluzionario. I leader socialdemocratici

erano decisamente contrari a una rivoluzione di tipo sovietico e favorevoli a una democratizzazione del

sistema politico entro il quadro delle istituzioni parlamentari. I capi dell’esercito stabilirono con i leader

socialdemocratici una specie di patto non scritto, impegnandosi a servire legalmente le istituzioni

repubblicane in cambio di garanzie circa la tutela dell’ordine pubblico e il mantenimento della tradizionale

struttura gerarchica delle forze armate. La linea moderata scelta dalla Spd portava fatalmente allo scontro

con le correnti più radicali del movimento operaio tedesco: gli “indipendenti” dell’Uspd e soprattutto i

rivoluzionari della Lega di Spartaco. Il 5-6 gennaio 1919, centinaia di migliaia di berlinese scesero in piazza

per protestare contro la destituzione di un esponente della sinistra dalla carica di capo della polizia della

capitale. I dirigenti spartachisti e alcuni leader “indipendenti” decisero allora di approfittare di questa

mobilitazione di massa e diffusero un comunicato in cui si incitavano i lavoratori a rovesciare il governo.

Ma la risposta del proletariato berlinese fu inferiore alle

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I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Marco Cappuccini di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi Roma Tre o del prof Roccucci Adriano.