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DALLA POESIA ORFICA ALL'ERMETISMO
Eredi della tradizione simbolista della conoscenza per illuminazioni. Rilanciano la sfida temeraria di addentrarsi nel mistero più fitto dell'Universo, quello davanti al quale la ragione, la scienza, l'orgoglio dell'età moderna si erano dovute piegare disarmate, per svelare con il solo mezzo della parola, in forza delle sue virtù evocative, il fondamento delle cose, il senso ultimo del nostro esistere. DINO CAMPANA Il capostipite dell'orfismo novecentesco è Dino Campana (1885-1932) i cui Canti orfici, unico libro della sua carriera, videro la luce nel 1914. Ispirandosi a Orfeo, Campana immagina una sorta di percorso iniziatico che si inaugura nel segno misterioso della Notte e culmina, dopo una serie di viaggi e vagabondaggi assunti come tappe ideali di un'ascesi esperienziale, nella "visione di grazia" dell'ultimo testo, intitolato Genova. Quello di Campana nonÈ il mondo reale, oggettivo, ma il mondo visionario, allucinato, degli emblemi e degli enigmi, dove ogni oggetto o episodio perde il suo valore per entrare nell'ordine degli eventi mitici, delle illuminazioni rivelatrici.
ARTURO ONOFRI
Nel 1918 Campana fu internato nell'ospedale psichiatrico di Castel Pulci, in Toscana, ma negli anni '20 la sua esperienza isolata d'anteguerra prese consistenza di poesia vera e propria. Il principale esponente di questa linea orfica fu Arturo Onofri (1885-1928), a partire dalle Trombe d'argento (1924). A lui si deve un'opera monumentale in più volumi, Terrestrità del sole (1927-1935).
ORFISMO CRISTIANO
Accanto a Onofri si ricorda Luigi Fallacara (1890-1963), Girolamo Comi (1890-1968). L'approdo di entrambi alla fede cattolica, unitamente al panteismo cristiano di Onofri, ha fatto parlare per questi autori di "orfismo cristiano".
I tratti comuni di questa corrente sono la
Contemplazione della natura come opera divina, l'esplorazione metafisica dell'oltre, l'assunzione dell'incanto fanciullesco come chiave di lettura visionaria della realtà, il superamento dell'io individuale in favore di quell'io superiore che invecene è la quintessenza. Inoltre nella poesia orfica è fondamentale la memoria, intesa però non nel senso consueto di ricordo episodico del proprio passato biografico, ma in senso orfico, come traccia ancestrale, archetipica, delle matrici originarie della vita.
MITICI, ONIRICI E VISIONARI
Nati tutti fra il 1885 e il 1890, Campana, Onofri, Fallacara e Comi, come del resto Ungaretti, appartengono alla prima generazione poetica del Novecento secondo il criterio storiografico del critico Oreste Macrì cioè sono autori nati tra il 1883 e il 1890. Della seconda generazione (nati tra il 1894 e il 1901), invece, oltre a Montale, fanno parte Giorgio Vigolo (1894-1983),
Carlo Betocchi (1899-1986), Salvatore Quasimodo. Essi si staccarono dallalinea maestra dell'orfismo, prendendo vie autonome: un barocco temperato di classicismo Vigolo;un realismo di paese Betocchi; un lirismo puro e cristallino Quasimodo. Tuttavia permangono inloro alcuni tratti riconducibili all'orfismo: in particolare, un'inclinazione a sovrapporre alla realtà ladimensione del sogno, trasfigurando l'oggetto in senso mitico, o paradisiaco, o comunque ideale.La Roma di Vigolo diventa La città dell'anima (1923), le tribolazioni di Betocchi trovano religiosaconsolazione nel cielo (Domani). Quanto a Quasimodo, la sua Sicilia, trasfigurata dalla distanzaspazio-temporale assurge, nella propria mediterranea solarità, a terra del mito, luogodell'incontaminata, felice, archetipica innocenza.
GLI ELEGIACIOltre a Quasimodo, negli anni '30 approdarono a Milano altri poeti più giovani, in particolareLeonardo Sinisgalli, Alfonso Gatto,
Libero De Libero. I poeti elegiaci fecero dei rispettivi luoghi d'origine, richiamati nel ricordo come una sorta di paradiso perduto, il motivo dominante della loro ispirazione poetica. Al tema dell'allontanamento, sentito come un distacco necessario ma doloroso, allude il titolo di una raccolta di Gatto, Morto ai paesi (1937), mentre Sinisgalli volle cantarla come un Eden di delizie in Campi Elisi (1939).
Momento traumatico della partenza
Destino di sradicamento
Quella della fanciullezza è una stagione di grazia, irripetibilmente felice, cui la memoria dell'uomo adulto torna con dolcissimo rimpianto
ERMETISMO
Il termine "Ermetismo" fu introdotto per la prima volta da un critico di scuola crociana, Francesco Flora (1891-1962) in un saggio che passa in rassegna le esperienze più significative della lirica novecentesca sotto la formula di Poesia ermetica (1936).
In questo senso "ermetismo"
è sinonimo di “poesia oscura”, incomprensibile senza necessità, solo per partito preso.
Questo libro non aiutò a fare chiarezza sulle ultime vicende della poesia, generando al contrario una confusione che si è protratta poi per decenni nella storiografia letteraria e nella manualità scolastica.
Applicata generalmente a tutta una serie di esperienze, che vanno dal frammentismo al Decadentismo, dall’orfismo al Modernismo, dal Surrealismo alla poetica della parola e altro, l’etichetta di “poesia ermetica” diventa inservibile, perdendo di vista le distinzioni profonde che stanno alla base delle varie poetiche dell’oscurità.
La categoria dell’Ermetismo va correttamente attribuita a una serie di autori e testi circoscritti nel tempo e nello spazio, accomunati da un’idea “ontologica” della poesia.
L’Ermetismo propriamente detto fu un fenomeno squisitamente fiorentino Neoplatonismo +
spiritualismo cattolico promosso dalla rivista “Ilfrontespizio”
Fu grazie alla rivista di Pietro Bargellini che gli ermetici poterono muovere i primi passi. Qui, CarloBo, indiscusso capofila del gruppo, pubblicò, nel gennaio del ’34, quel tributo di Riconoscenza allapoesia c he costituisce la prima enunciazione della poetica ermetica e l’atto di nascita delmovimento.
Quattro anni dopo Bargellini gli affidò l’incarico di tenere la prolusione al convegno degli scrittoricattolici riuniti a San Miniato. Ne nacque lo scritto Letteratura come vita (uscito sul Frontespizionel 1938), da tutti salutato come il Manifesto dell’Ermetismo.
Accanto a Bo, nei panni di critico e teoreta, si distinse il salentino Oreste Macrì. Tutti gli autoriascrivibili a questa corrente, nati alla vigilia della Grande guerra, appartengono ormai alla TerzaGenerazione (nati tra il 1906 e il 1914).
Carlo Bo concepisce la poesia come
«meravigliosa avventura spirituale» protesa verso la «rivadell’eternità»; la poesia è un mezzo di conoscenza metafisica, la ricerca di un Assoluto che si svelain premio a chi non si stanca di inseguirlo. Quelle che il poeta si sforza di trascrivere sono «le vociche ogni anima sente». Il poeta si fa veggente disponendosi alla comprensione di una realtà chesorpassa ogni esperienza terrena. La poesia diventa un succedaneo della mistica.Come imboccare questa strada per entrare nella dimensione metafisica? Rimbaud l’aveva giàindicata nella celebre Lettura del veggente (1871): interrogare la propria anima. In Letteraturacome vita, Bo incalza in termini perentori la direzione è in noi stessiSe secondo la dottrina cristiana, è l’anima di cui gli uomini sono stati dotati a farne creature aimmagine e somiglianza di Dio, non può che essere l’anima la sede privilegiata di un contatto conl’Assoluto.
Della mistica Bo intende fare tesoro, applicandone anche le procedure. Si converte al metodo passivo dell'attesa il poeta ermetico deve svuotare l'anima di tutto ciò che normalmente la ingombra, ostruendo il passaggio: le passioni, la memoria, la volontà, i pensieri. Quando sarà riuscito a creare il vuoto dentro di sé, allora la sua anima sarà invasa dalla voce di Dio. Questo svuotamento è ciò che Bo chiama "l'assenza". Ascoltata la voce dell'Assoluto come in estasi, si presenta al poeta ermetico, una difficoltà non meno cruciale: quella della sua trascrizione verbale, della sua resa nel linguaggio degli uomini. È qui che si annida la questione dell'oscurità denunciata da Flora. Bo riconosce come un limite invalicabile a priori "l'incapacità dei nostri mezzi": per definizione, la voce di Dio non è traducibile. La poesia, come esperienza.culminante del divino, di per sé è destinata a rimanere sepolta nell'anima, essendo per sua natura ineffabile. Luzi la poesia dell'anima sta all'origine del testo verbale, ne costituisce la sorgente, il testo discende da essa come suo prolungamento.
il lettore di un testo ermetico non si lasci ingannare dalla materia apparente al contenuto: il vero oggetto che al poeta preme verbalizzare è soltanto lo stato di quiete raggiunta, di armoniosa perfezione di cui l'anima gode. Rispetto a questo motivo esclusivo, il tema della poesia appare invece del tutto accidentale. Perciò un argomento vale l'altro, gli oggetti evocati sono meri supporti, hanno un'esclusiva "vita nominale". Tra voce interiore e segni verbali non corre alcun rapporto semantico diretto. L'Ermetismo perviene così a una nozione atematica di poesia che suggerisce una lettura unicamente sonora, suggestiva, dei testi, a prescindere da
qualsiasi implicazione intellettuale. La poesia piega verso la musica, il linguaggio non è altro se non il veicolo dell'armonia che si effonde dall'anima beata. Il lessico indeterminato e astratto concorre a creare l'impressione di trovarsi davanti a un mondo liberato da ogni contingenza, come ha da essere una poesia dell'anima.
SALVATORE QUASIMODO
LA VITA
Nasce in Sicilia, a Modica, nel 1901. È un poeta "notturno" cioè scriveva di notte. Aveva l'abitudine di mangiare tardi e uscire di sera. Vede moltissime cose che non tutti notano se non di notte e magari a notte fonda (es. alcune poesie parlano di un fiume stellato Quasimodo è sdraiato su una panchina con il braccio sotto la testa e vede le stelle riflesse nel cielo). Perché questo possa accadere ci si deve trovare in un luogo completamente buio senza illuminazione. Lui, in aperta campagna, riusciva a vedere le stelle. Quest