vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
DEDICA E PARTE INIZIALE
Machiavelli inizialmente pensò di dedicare l’opera a Giuliano de Medici; ma, forse,
dopo la morte di questi decise di dedicarla a Lorenzo de Medici(non è il Magnifico)
che governava Firenze a nome dello zio, Papa Leone X.
Inizia in maniera usuale: solitamente ai principi si è soliti regalare doni materiali di
livello; Machiavelli offre altro, cioè
la cognizione delle azioni degli uomini grandi, imparata da me con una lunga
sperienza delle cose moderne, ed una continova lezione delle antiche, la quale
avendo io con gran diligenza lungamente escogitata ed esaminata, ed ora in
uno piccolo volume ridotta, mando alla Magnificenza Vostra.
2 sono le fonti delle nozioni presenti nell’opera:
- la “lunga esperienza delle cose moderne”: per esperienza personale
l’autore conosce i fatti di cui parlerà;
- la “continua lezione delle antique”: l’autore considera l’historia magistrae
vitae, quindi il passato è modello per l’agire moderno (classicismo di fondo).
questo concetto si appoggia sul presupposto dell’autore, che considera
l’antropologia umana immutabile: le leggi della politica sono identiche sempre e
dovunque. Passa poi ad una notazione di stile:
la quale opera io non ho ornata nè ripiena di clausule ampie, o di parole
ampollose o magnifiche, o di qualunque altro lenocinio o ornamento
estrinseco, con li quali molti sogliono le lor cose discrivere ed ornare; perchè io
ho voluto o che veruna cosa la onori, o che solamente la verità della materia, e
la gravità del soggetto la faccia grata
- Machiavelli ci tiene a precisare che non userà uno stile aulico, vuole arrivare a
tutti concentrandosi sulla PRATICITÁ delle nozioni.
- Inoltre, aggiunge che l’importanza degli argomenti trattati costituirà il
DILETTO (che nella cultura umanistica era dato dal Labour Limae, dalla
perfezione formale, perciò dalla forma) che l’opera apporterà a chi legge.
CAPITOLO I
Esso è un capitolo molto breve sulle diverse tipologie di costituzioni (o regni) e sui
diversi modi con cui si conquistano. Importante perché ci fa capire il cosiddetto
“dilemmatico propagginato”.
Tutti gli Stati, tutti i dominii che hanno avuto, e hanno imperio sopra gli
uomini, sono stati e sono o Repubbliche o Principati. I principati sono o
ereditari, de’ quali il sangue del loro Signore ne sia stato lungo tempo Principe,
o e’ sono nuovi. I nuovi o sono nuovi tutti, come fu Milano a Francesco Sforza, o
sono come membri aggiunti allo stato ereditario del Principe che gli acquista,
come è il Regno di Napoli al Re di Spagna. Sono questi dominii, così acquistati,
o consueti a vivere sotto un Principe, o usi ad esser liberi; ed acquistansi o con
le armi di altri o con le proprie, o per fortuna o per virtù.
Per la sua opera Machiavelli parte dall’esperienza per seguire un principio induttivo
( ) , integrando il
leggi e principi conoscitivi sono assunti in seguito dall'esperienza.
sistema deduttivo( leggi e principi preesistono alla verifica sperimentale.Le teorie
proprio del
prescindono dall'esperienza e determinano verità assiomatiche),
medioevo. Perciò dal brano è come se si riuscisse a ricavare uno schemetto.
Di fatto, uno STATO può essere o REPUBBLICA o PRINCIPATO. Egli analizza
questi ultimi e ci dice che a loro volta possono essere PRINCIPATI EREDITARI o
NUOVI. Questi ultimi possono essere: DEL TUTTO NUOVI o IN PARTE NUOVI
(esempio di Francesco Sforza e del Regno di Napoli), GOVERNATI DA UNO SOLO
o GOVERNATI DA REPUBBLICHE, CON ESERCITI PROPRIO o CON ESERCITI
ALTRUI (qui Machiavelli allude alla problematica dei mercenari che
successivamente approfondirà), CONQUISTATI PER FORTUNA o PER VIRTÚ.
C’è da dire che la realtà del passato e a lui contemporanea era molto più ricca e
variegata, vi è un riduzionismo di fondo, un principio di semplificazione che - data la
natura monologica del trattato - non ammette discussioni o antitesi.
CAPITOLO XII
Nel capitolo XII del Principe di Niccolò Machiavelli, l’autore porta in evidenza il
gravoso problema delle milizie, ossia dell’esercito che deve difendere lo Stato in
caso di guerra. Secondo lui, un buon principato può contare solo su due cose: una
buona legge e delle buone armi. Per armi intende l’esercito a disposizione dello
Stato, e tutte le persone che compongono l’esercito devono essere fedeli alla patria
e soprattutto al Principe. L’esercito classificato da Machiavelli si distingue in:
mercenario, persone che prendono parte a un conflitto senza fare parte di
nessuna nazione in guerra, e che sono motivati a combattere solamente per
ottenere un vantaggio economico;
ausiliario, soldati volontari che prestano servizio di ausilio alle truppe di uno
Stato;
misto;
proprio, o civile, formate appunto da cittadini che combattono per la propria
patria.
Machiavelli condanna ferocemente questi eserciti mercenari, sprovvisti di adeguato
equipaggiamento e per nulla addestrati a proteggere il territorio secondo le regole
dei combattenti veri. Le truppe mercenarie, secondo l’autore, sono molto poco
motivate a difendere lo Stato dagli attacchi esterni, sono inutili e pericolose nella loro
incompetenza, poiché non hanno nessuna ambizione, sono senza disciplina e
sempre pronte al tradimento se si fa loro una proposta più allettante. Inoltre, per
codardia potrebbero decidere in qualsiasi momento di darsi alla fuga, causando
grosse perdite di uomini nelle fazioni in battaglia e quindi contribuendo a perdere la
guerra. Nessuno di questi soldati sarebbe mai disposto a morire per il proprio
Principe. Inoltre, a causa delle loro scarse capacità, molti problemi si sono verificati
durante il loro passaggio nei territori. Un Principe che si rispetti non potrebbe mai
affidarsi a un esercito del genere, poiché metterebbe a repentaglio la stabilità e la
credibilità del suo governo, oltre che la sicurezza della città e dei cittadini.
Chi sono i mercenari
I mercenari sono uomini assoldati dagli Stati per condurre battaglie e guerre
all’ultimo sangue. Sono per lo più uomini scarto della società, senza ambiziosi e
senza disciplina, infedeli, robusti e vili, che partecipavano alle guerre spinti dal
guadagno economico o territoriale, senza però appartenere alla nazione che stavano
difendendo. La loro pericolosità sta appunto in questo: nell’essere dei senza patria e
senza scrupoli, arrivisti e pronti a tutto pur di un proprio guadagno. Inoltre, il
passaggio delle truppe mercenarie per i paesi limitrofi al luogo di combattimento
portava con sé anche devastazione e violenza, poiché questi uomini durante il loro
cammino arraffavano e usavano violenza contro tutto e tutti. Sempre secondo
Niccolò Machiavelli, l’uso dei mercenari ha portato alla rovina dell’Italia del
Quattrocento. È grazie all’uso dei mercenari che i francesi di Carlo entrarono in
Italia.
La soluzione di Machiavelli
Secondo lo scrittore, l’esercito dovrebbe essere guidato e governato sempre dal
Principe stesso, i soldati dovrebbero essere scelti tra i cittadini del principato, poiché
solo loro difenderanno con la vita la propria terra e la propria gente dagli attacchi
degli invasori. Con armi proprie è difficile che il regno cada sotto una tirannia. Con i
mercenari è molto più probabile che ciò accada. Machiavelli dà anche un
suggerimento nel caso in cui a combattere per la libertà sia una Repubblica senza
un principe designato: in questo caso, a comando dell’esercito dovrebbe esserci un
generale capo, addestrato e fidato, che guidi le sue truppe seguendo le regole
militari dello Stato. Molto meglio se gli eserciti sono composti da cittadini che
difendono la loro patria (le milizie "cittadine", come le chiama lo scrittore) e l'esempio
storico più immediato a questo riguardo è l'antica Roma, dove appunto l'esercito era
formato da contadini-soldati grazie ai quali i Romani ottennero grandiose conquiste
in tutto il mondo. Machiavelli condanna anche i capitani di ventura, sia nel caso in cui
siano militarmente incapaci, causando sconfitte, sia nel caso siano capaci, perché
portati a nutrire ambizioni personali e a cercare di prendere il potere a danno del loro
padrone. Anche in questo caso, il modello proposto è quello dell'antica Roma, in cui
il comando dell'esercito era affidato ai consoli che, essendo cittadini dello Stato,
erano degni di fiducia e controllabili.
La visione dello scrittore è, chiaramente, molto semplicistica, poiché venne
concepita per essere adattata a uno Stato come quello della Firenze del
Quattrocento, piccola e poco popolosa, in confronto agli Stati odierni.
CAPITOLI XVIII E XXV
Capitolo 18- capitolo sulla fedeltà della parola data
Quanto sia laudabile in un Principe mantenere la fede, e vivere con integrità, e
non con astuzia, ciascuno lo intende. Nondimanco si vede per esperienzia, ne’
nostri tempi, quelli Principi aver fatto gran cose, che della fede hanno tenuto
poco conto, e che hanno saputo con astuzia aggirare i cervelli degli uomini, ed
alla fine hanno superato quelli che si sono fondati in su la lealtà.
Alla luce di quanto ha visto (“per esperienza ne’ nostri tempi”) enuncia un’altra
massima rivoluzionaria: chi NON ha mantenuto la parola data ha avuto successo, ha
raggirato gli altri e ha saputo superare coloro che hanno mantenuto la parola data.
La LEALTÀ è una virtù poco efficace ai fini del potere del governo; invece, la
SLEALTÀ è una virtù che porta al successo pur ingannando gli uomini.
Attraverso delle similitudini espone alcuni principi antropologici:
Dovete adunque sapere come sono due generazioni di combattere: l’una con le
leggi, l’altra con le forze. Quel primo è degli uomini; quel secondo è delle bestie;
ma perchè il primo spesse volte non basta, bisogna ricorrere al secondo.
Pertanto ad un Principe è necessario saper ben usare la bestia e l’uomo. Questa
parte è stata insegnata a’ Principi copertamente dagli antichi scrittori, i quali
scrivono come Achille e molti altri di quelli Principi antichi furono dati a nutrire
a Chirone Centauro, che sotto la sua disciplina gli custodisse; il che non vuol
dire altro l’avere per precettore un mezzo bestia e mezzo uomo, se non che
bisogna a un Principe sapere usare l’una e l’altra natura, e l’una senza l’altra
non è durabile. Essendo adunque un Principe necessitato sapere bene usare la
bestia, debbe di quella pigliare la volpe e il lione; perchè il lione non si d