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Marilin Monroe). Questo sistema simulacro allude ad una perdita di senso, ad un cadere nel
vuoto.
Michele Provinciali realizza questo grande poster a colori dove sono fotografati e messi uno
affianco all’altro tanti piccoli accessori dell’automobile. Dietro, invece, troviamo la scrittura di
Il lavoro
Baldini che in qualche modo deve raccontare quest’opera d’arte. che Baldini esegue
per la rivista Imago consiste nell’accompagnare sempre opere di grandi artisti, quindi vi
troviamo una specie di presupposto da critica d’arte, una volontà di storicizzazione dell’arte,
ma dietro a questo compito di accompagnare con la parola l’opera visiva Baldini si muove con
un’estrema libertà, e in effetti queste pagine non sono pagine di critica d’arte ma pagine
creative, che partono dall’arte come pretesto ma che andando oltre la realtà restituiscono
scritture più che inclinate al teatro.
NB: Secondo la prof questo testo è stato il più esaltante perché lo ritiene un vero e proprio
monologo teatrale condotto da una sola persona che non ha un nome e nemmeno un volto: chi
parla? Non lo sappiamo. Chi è il protagonista? Potrebbe essere lo stesso Michele Provinciali visto
che l’articolo si trova proprio dietro il suo poster, potrebbe essere anche l’autore visto che sta
tenendo la penna in mano, potrebbero essere entrambi o nessuno dei due così come una
determinata persona che è stata presa dalla mania automobilistica.
Le prime dieci righe sono dedicate a mettere il lettore in situazione: il lettore prende questa
cartella, la apre, vede questo poster e dietro questo grande paginone di scrittura. In queste 10
righe Baldini ci parla dell’incredibile museo domestico che Michele Provinciali ha realizzato a
partire dall’inizio della guerra in Libia (29 settembre 1911). Finita questa notizia scritta in rosso,
comincia la scrittura.
Questa scrittura non ha titolo, ma possiamo memorizzarlo come “Autoaccessori” perché si parla
proprio degli accessori dell’automobile. Venne pubblicato su “Imago” nel 1963 (esattamente 30
anni prima del primo monologo teatrale in dialetto di Baldini) e siamo proprio alle origini del
teatro di questo scrittore. Dopo le prime 10 righe di cui abbiamo parlato inizia questa scrittura
monologante: non sappiamo chi sia a parlare, né quanti anni abbia, né quale lavoro faccia, e
nemmeno quale sia la sua fisicità. È un personaggio anonimo ma anche in un certo senso
“corale” perché rappresenta un tipo di maniacalità, di feticismo verso l’oggetto e anche un
certo senso di smarrimento di fronte al reale e di solitudine che poi saranno i caratteri dei
successivi personaggi di Baldini che saranno sempre anonimi e sempre esprimeranno
un’ossessione, una mania che passa per questo collezionismo fino all’ossessione nei grandi
monologhi.
Il testo inizia dicendo “Per me la macchina è un distensivo. Alla guida io non sento la
stanchezza.” Per il proprietario chiudere la propria macchina ripetutamente è come ricordare
continuamente che la macchina è soltanto di sua proprietà. Per la paura di essere derubato
riempie la propria automobile di sistemi di sicurezza. Anche il portachiavi egli lo vede come un
simbolo che corrisponde al proprio modo di vivere. Descrive dettagliatamente come esegue il
lavaggio della propria automobile. u77u77
Analisi:
E’ un pezzo di vero teatro: la voce è anonima, il personaggio non ha le caratteristiche di un
personaggio romanzesco bensì quelle caratteristiche che Baldini affida a tutti i suoi protagonisti,
ossia uomini e donne ossessionati dal mezzo meccanico, la nuova ossessione dell’età post-
industriale. Questo tipo di mania sarà la stessa che occuperà la mente dei 29 personaggi
sottoscrittori delle lettere di Autotem: ognuno con la propria mania.
Parlando degli elementi di questa scrittura, ci sono moltissime frasi comuni, luoghi comuni,
parole di tutti i giorni. “In una tirata”, “Come niente”, “Sono arrivato fresco come una rosa”
sono tutti luoghi comuni.
Ma c’è un altro elemento importante della quotidianità: la sgrammaticatura intenzionale
sempre presente in Baldini. “A me guidare mi piace” è un esempio che si ripete 3 volte in questo
testo. In molti altri casi questi anacoluti (errori della scrittura) sono fondati sul “che”
polifunzionale, sul quale si costruiscono discorsi sgrammaticati. Perché le sgrammaticature?
Perché anche queste rappresentano la forza del parlato e non sono poi così condannabili.
Quando infatti Baldini manda una lettera all’amica Rina Macrelli, mentre entrambi si trovavano
in Francia, parlando della scrittura di Pascal Baldini sostiene che gli anacoluti da lui usati siano
splendidi, così come le intenzionali sgrammaticature. Quindi già dalla scrittura della tesi lui
aveva riflettuto su Pascal notando che la forza di quella scrittura era anche data da quelle
intenzionali sgrammaticature.
Sono presenti anche grandi serie enumerative (copri-sedile, copri-volante…) che ricordano
molto da vicino quella enumerazione degli accessori delle automobili americane che Baldini ha
inserito nell’articolo del 1956 in onore della Conferenza di Ginevra. Le tecniche già presenti
negli articoli di Baldini che appartengono a “Settimo giorno” vengono quindi riprese: prima
erano utilizzate come elemento stilistico in funzione del reportage, mentre adesso quelle
caratteristiche di stile diventano delle caratteristiche di teatro. Qui i protagonisti parlano di sé,
dando voce ai propri pensieri, sentimenti che si accavallano. I pensieri che loro rendono udibili
attraverso il monologo sono dei flussi di coscienza dove a governare non è la logica ma un
continuo muoversi da un pensiero all’altro per movimenti analogici che possono portare da un
punto di partenza ad uno di arrivo. Si può riconoscere, in questo tipo di teatralità, un’impronta
di quello che arrivava dalla tradizione narrativa del flusso di coscienza, ma si possono
riconoscere anche sentimenti di dominio di sé e della realtà che avviene attraverso
l’automobile, mentre fuori tutti gli altri non sono che formiche impazzite che viaggiano senza
senso. Questa forte dichiarazione mostra come il personaggio ponga al centro della propria
esistenza qualcosa che non appartiene all’essere umano (la macchina) ma agli strumenti che la
tecnologia ci ha messo a disposizione: ciò determina un cambiamento antropologico che era già
stato denunciato nel 1946 da Pier Paolo Pasolini, e in precedenza anche da Adorno nei “Minima
moralia” e da tanti autori italiani.
Gli apocalittici sono coloro che leggono nel presente ogni presagio di perdita di sé, mentre gli
integrati sono quelli che riescono a creare un dialogo con la realtà.
APOCALITTICI
E senz’altro tra gli autori italiani che potremmo inscrivere sotto la formula degli apocalittici
dobbiamo indicare Pasolini, Franco Fortini e Luciano Bianciardi.
Luciano Bianciardi, in un suo famoso romanzo intitolato “La vita agra”, fa un ritratto del poeta
Vittorio Sereni, un uomo innamorato della sua automobile che dice che quando si trova al suo
interno si sente come chiuso in una scatola di rancore, come se tutto quello che sta fuori da
quell’automobile gli fosse ostile. Il testo di Baldini che abbiamo appena letto è molto vicino a
quest’ idea dove ciò che sta fuori dall’automobile, per il protagonista, se non è ostile è
comunque inesistente, deserto, insensato. Anche lui si isola dalla realtà per assumere la
condizione di onnipotenza e taglia qualsiasi rapporto con il mondo. C’è una denuncia di grave
solitudine che può derivare da questa ossessione per i beni materiali, siamo fuori
dall’umanesimo. Quindi potremmo dire che se pure la scelta di Baldini è una scelta comica in
superficie, al di sotto ci sta la denuncia di perdita di identità, perdita di scopo e di isolamento
dell’uomo nella società, un’impossibilità di contatto con il reale e quindi un’alienazione. Il
teatro di Baldini nasce sempre da un concetto di alienazione e solitudine, e tutto questo lui lo
presagisce nell’epoca in cui l’automobile diventa uno dei nuovi miti.
INTEGRATI
Elio Vittorini
Ci sono poi altri autori che vedremo far parte degli integrati, e tra questi si può citare Elio
Vittorini. Egli fa addirittura un breve ritratto di Calvino che prova un esagerato amore per
l’automobile. Ma questo vale anche per Vittorio Sereni: però in Vittorio Sereni il mezzo
meccanico è uno strumento che serve per cercare di spezzare questi legami con atteggiamenti
nostalgici.
Dino Buzzati
Ma anche altri autori toccano questo tema, per esempio Dino Buzzati. Egli si muove dentro una
situazione di continuo straniamento e di realtà che si stravolge come un incubo: si parla di una
scrittura surrealista. Nel racconto di Buzzati c’è proprio la rappresentazione di un individuo che
ha modificato i suoi organi interiori per sostituirli con pezzi di macchina. Tra le immagini
presenti in Autotem, infatti, ne troviamo una che rappresenta un feto che cresce in uno motore
di automobile.
Tra gli integrati, insieme a Bassani, Buzzati, Sereni si potrebbe inserire anche la scrittura di
Baldini: non sono autori che hanno perso la bussola. Sull’automobile si sono espressi anche
Breckt, Adorno, Roland Bart, Pasolini, Volponi…tutti loro parlano di disumanizzazione che deriva
dalla civiltà delle macchine.
Poi ci sono coloro che lavorano per la rivista “Civiltà delle macchine” che sono considerati
integrati. L’interrogazione sul nuovo rapporto che esiste tra intellettuali e realtà industriale, (e
che non può trovare le risposte sulla letteratura di tradizione perché allora l’automobile non
esisteva), negli anni 1950-60 è davvero vastissima ed urgente. Qualche cenno di questa nuova
interrogazione lo potremo trovare nei capitoli della letteratura industriale, in cui si fa i conti
con la realtà che cambia, con il fenomeno di massa del possesso di certi beni materiali. Oggi
siamo nella post-post modernità.
Anche Panofsky, un grande critico d’arte ed estetica, scrive un testo sulla Roll Royche, quindi
con Baldini siamo dentro una tematica importante e diffusa, affrontata da Baldini in un modo
originale. La cosa sorprendente è che nessuno degli studiosi che si sono occupati di Baldini se ne
è accorto. Perché per esempio Daniele Piccini che nel 1993 ha fatto un’antologia sui motori non
pronuncia il nome di Baldini: eppure il libro Autotem è incredibile.La sua tesi era su Pascal
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