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Negli spazi pubblici, come il centro della città o edifici pubblici dove si può
o
accedere senza pagare (centri commerciali, biblioteche).
Spesso i ragazzi sono sospesi dalle lezioni, e la ricercatrice approfitta di questa
situazione per istituire un progetto educativo, per cui durante la sospensione i ragazzi
vengono accompagnati in biblioteca, al museo, per evitare che la sospensione porti i
ragazzi a cacciarsi nei guai. L’obiettivo è quello di insegnare ai ragazzi come
comportarsi nella biblioteca, e quello di insegnare che per evitare guai bisogna saper
rispettare e intuire le regole di ogni luogo. I ragazzi devono compilare il modulo di
iscrizione ai servizi bibliotecari: in questo momento si nota il grande disagio della
realtà in cui ognuno di loro vive. I ragazzi non sono accolti positivamente dal personale
della biblioteca, che li rimprovera costantemente.
I ragazzi protagonisti della ricerca sono figli di immigrati, ma, a differenza dei loro
padri, non accettano lavori molto sfruttati e poco pagati. Cercano riconoscimento,
dignità, ma spesso cedono alla droga, all’illegalità e finiscono in carcere.
La composizione delle classi non aiuta ragazzi e professori: infatti i ragazzi più
problematici vengono concentrati in un’unica classe, provocando così maggiori
problemi. Le condizioni difficili di queste classi hanno conseguenze:
- Effetto ghettizzazione che demotiva la frequenza scolastica
- Impossibilità di apprendimento per gli studenti
- Difficoltà di gestione per i professori
Molti ragazzi frequentano l’Istituto in questione non per interesse, ma perché
indirizzati dai professori delle medie a causa dello scarso interesse per lo studio e
anche a causa di uno schema sociale che prevede che i figli delle classi popolari meno
agiate frequentino gli istituti professionali. Gli studenti non sentono di appartenere alla
scuola, ma vogliono fuggirne in fretta.
La svalutazione della scuola però non è operata solo dagli studenti, bensì anche dagli
insegnanti, per i quali l’insegnamento all’istituto professionale è una tappa obbligata
per salire in graduatoria, è una scelta dettata dalla comodità (l’istituto è in centro e
facilmente raggiungibile).
Ragazzi e insegnanti vivono una situazione fortemente conflittuale: i professori sono
considerati razzisti, non eseguono a dovere il loro ruolo di educatori.
Nell’istituto è molto frequente la dispersione scolastica (molti studenti abbandonano la
scuola prima di terminare il ciclo di studi). I ragazzi abbandonano la scuola per diversi
motivi: familiari, motivi personali, fattori economici, responsabilità dei professori e
della scuola (la scuola mostra di non essere focalizzata sulla correzione degli errori che
commette, e i professori non hanno a cuore il bene degli studenti; provano sollievo
quando un alunno problematico lascia la scuola, non lo vedono come un fallimento).
Nella scuola esistono progetti per ragazzi con difficoltà, ma tutti questi progetti non
agiscono in sinergia né tra loro, né con il percorso scolastico classico.
Insegnanti
Gli insegnanti sono disinteressati ai ragazzi, non conoscono le loro esperienze, la loro
vita, si interessano solo a cosa fanno in classe e non ai progetti che frequentano in
orario extrascolastico (es. laboratorio di teatro). Pertanto il rapporto anaffettivo nei
confronti della scuola rimproverato agli studenti è il riflesso di uno scarso senso di
appartenenza anche da parte dei docenti.
Gli insegnanti non hanno interesse a conoscere il gruppo dei ragazzi, e quindi non
conoscono le dinamiche che regolano i loro rapporti. Per questo motivo non possono
contare sull’autoregolazione del gruppo, perché non conoscendo a fondo gli elementi
non possono puntare sull’aiuto di nessuno degli stessi ragazzi. Questo disinteresse è
sintomo della scarsa importanza data dagli insegnanti alla dimensione educativa e
inclusiva della scuola. La classe non è importante per i ragazzi, non la sentono come
gruppo di appartenenza (cosa che invece accade per i gruppi culturali).
I conflitti frequenti tra studenti e professori sono dovuti anche all’assenza di uno sforzo
di creazione di un rapporto tra studenti e insegnanti. I conflitti non invadono solo la
sfera scolastica, ma diventano personali, corrodono i ruoli, arrivano allo scontro
violento fisico e verbale. Le relazioni quindi non sono educative né significative, e i
ragazzi spesso reagiscono in maniera violenta alle critiche degli insegnanti.
La maggior parte dei ragazzi, nonostante un percorso di scolarizzazione in Italia, ha
grossi problemi nella lettura e nella scrittura (influenzata dalla scrittura di sms), anche
se sanno usare la lingua anche per giochi di parole e rime. Si notano interferenze
linguistiche da arabo e francese, ma anche da diversi dialetti italiani (bolognese,
napoletano, siciliano). I professori stigmatizzano l’uso di questo linguaggio meticcio,
non lo comprendono e lo condannano, operando una sorta di sfida all’identità culturale
dei ragazzi.
Per i ragazzi la scuola è “la galera”, e vogliono fuggire, finendo poi in situazioni di
devianza (come spaccio, furto...). A scuola quindi sono protagonisti di episodi di
insubordinazione, sono orgogliosi delle sfide lanciate all’istituzione e ai professori.
Gli studenti non hanno libri/quaderni, e i professori attribuiscono la colpa di ciò alle
famiglie che non sono disposte ad investire denaro per l’istruzione; la scuola però non
propone soluzioni a questo problema (es. procurare libri/quaderni per gli studenti), e
neanche i professori (che adottano testi sempre nuovi impedendo l’acquisto usato). La
scuola quindi è un’esperienza estremamente frustrante per entrambe le parti.
Spesso al fallimento scolastico segue una carriera di devianza (furti, spaccio, risse) che
culmina nell’esperienza del carcere, arresti domiciliari o comunità. Gli adolescenti
sognano un successo e un arricchimento rapido; non possono lavorare perché
minorenni, allora si rifugiano nello spaccio e nel furto.
Le azioni e i pensieri dei ragazzi sono condizionati da un determinismo sociale: si
sentono condannati a ripetere le vite dei loro coetanei e dei loro fratelli maggiori. Si
rassegnano quindi ad interpretare il ruolo sociale che pensano gli sia assegnato
I ragazzi che frequentano la scuola sono molto diversi: pochissimi sono nati in Italia,
hanno compiuto solo una parte di formazione in Italia perché sono immigrati per
ricongiungimento familiare. A scuola formano un gruppo legato da esperienze comuni
e da legami di amicizia.
I ragazzi stranieri vengono rappresentati dagli altri (e si auto-rappresentano) secondo
idee razziste e generalizzanti.
Gli insegnanti vedono gli studenti stranieri come pericolosi, da tenere a freno, e sono
poco interessati a cogliere bisogni e necessità educative. Le origini nazionali sono uno
strumento usato per categorizzare i ragazzi, anche se in maniera infondata. A gruppi
etnici vengono assegnati stereotipi di carattere:
- I marocchini (marocchini e tunisini) sono i più difficili da gestire perché
indisciplinati;
- Gli asiatici (cinesi e filippini) sono silenti aggregati sociali, scarsamente
penetrabili perché non interagiscono con gli altri;
- I pachistani (pachistani e bengalesi) sono considerati scarsi a scuola ma docili e
ben visti perché tranquilli.
Diffusa è l’idea secondo cui un ragazzo integrato nel contesto scolastico sarebbe
“disintegrato”, isolato rispetto al suo gruppo di origine.
Spesso a scuola scoppiano conflitti in base alle diverse origini nazionali. Le offese
arrecate da compagni stranieri sono maggiormente accettate rispetto a quelle
arrecate dagli italiani (compagni o personale scolastico). Questo perché gli stranieri
condividono l’estraneità, che invece non è condivisa dagli italiani.
I ragazzi stranieri che frequentano l’istituto spesso si trovano in una situazione di
conflitto tra due culture, ed entrano in crisi perché non sanno come comportarsi. È
importante che i due mondi risultino comunicanti, in modo da rendere la vita e le
azioni dei ragazzi più semplici.
Rispetto alle caratteristiche dei ragazzi studiati da Colombo, questi ragazzi si situano
sul polo opposto: hanno un pessimo rapporto con la famiglia, rimproverano ai padri di
averli portati in Italia, e considerano il percorso dei genitori come un fallimento, perché
in Italia non sono riusciti ad acquisire la ricchezza e la possibilità di diventare
consumatori che era il loro sogno. Il problema principale di questi ragazzi non è quello
di essere tacciati come stranieri, quindi non è un problema culturale di
riconoscimento; bensì si tratta di un problema di classe, perché ciò che loro lamentano
è quello di essere poveri.
Anche i padri, dal canto loro, non riconoscono i figli, perché si considerano Italiani,
intraprendono percorsi devianti. Il rapporto tra figli e padri quindi è molto difficile. La
reazione dei ragazzi alle difficoltà non è la chiusura nella cultura d’origine, perché
questi ragazzi non si sentono marocchini, bengalesi, africani... questi ragazzi, a
differenza dei ragazzi di Colombo, non sanno usare con competenza le due culture che
li caratterizzano; questi ragazzi non si sentono né italiani né marocchini... sono
guardati con sospetto da entrambe le culture. La loro cultura in realtà è la cultura di
strada, fatta di stili di vita, unica sia per gli italiani e gli stranieri. È una subcultura
metropolitana giovanile che unisce i ragazzi di diverse culture. A Bologna questa
subcultura è egemonizzata dai ragazzi stranieri, che importano stili di vita di grandi
città (vestiario, musica, slang) come Casablanca, Tunisi ecc, immaginate in altre
metropoli come Londra, Parigi, New York... Così facendo questi ragazzi rifiutano
l’integrazione subalterna, si oppongono alla categorizzazione (appartenenza a una o
all’altra cultura) aderendo a una cultura di strada insieme ai loro coetanei (l’aspetto
generazionale è fondamentale).
Lavoro
I figli degli immigrati si trovano in un contesto di crisi economica, in cui la domanda di
lavoro è contratta: questa situazione è molto diversa rispetto a quella vissuta dai loro
genitori (giunti in Italia per lavorare, hanno trovato lavoro). I ragazzi si confrontano con
l’esperienza lavorativa dei loro genitori, da cui dipende la permanenza in Italia. I
ragazzi sono preoccupati, cercano in tutti i modi di entrare nel mondo del lavoro
perché il lavoro è visto come la soluzione di tutti i loro problemi (conflitti familiari,
incertezze, difficoltà economiche). Lavorare significa diventare