Appunti completi primo semestre letteratura latina II
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Santo Mazzarino, “Il basso impero. Antico, tardoantico ed era costantiniana” => una delle prime
opere ad utilizzare una divisione di questo tipo. Il tardoantico non esisteva come categoria quando
fu coniata la scansione cronologica della filosofia romana e insieme della filosofia greca.
Ecco la cronologia data da Giovanni Reale:
1. Fase naturalistica/presocratica (VI secolo a. C.)
2. Fase umanistica (V sec. a.C. 491/81 nascita di Protagora - 399 morte di Socrate)
3. Fase classica (IV sec. a.C.)
4. Fase ellenistica (fine IV sec.-fine I sec a.C.; 323-40)
5. Fase imperiale (I sec.-VI secolo d.c. 30-529)
Periodo imperiale (I-III sec d.c.)
Periodo tardoantico (IV-VI sec d.C).
Una parte degli aristocratici di Roma, tra cui il padre di Cicerone, un eques romanus, hanno
annullato le regole nei confronti della filosofia e cercano un’educazione in parte filosofica per i loro
figli. La filosofia antica romana gemma da quella greca ellenistica che ha alle spalle più di mezzo
millennio. Il 155 si inserisce nella 4° fase dello schema, ovvero quella ellenistica, che abbraccia dal
IV secolo fino al I secolo. La filosofia romana si trova alle spalle un panorama variegato.
Nel periodo ellenistico nascono le tre scuole che esauriscono il programma dell’offerta filosofica
greca: Stoicismo, epicureismo (che avevano preso nuovo sistema in due scuole, la Stoà e il
Kepos, il Giardino≈intimità di una casa per filosofare che dà una coloritura informale e amichevole
a questa scuola. Gli epicurei furono l’unica scuola ad ammettere a filosofare le donne e gli schiavi),
Scetticismo (si inserisce all’interno dell’accademia platonica senza un suo luogo). I ginnasi erano
frequentati dai figli degli aristocratici che coltivavano la kaloskaiagathia.
A queste tre scuole vanno aggiunte le due scuole che le precedono, entrambe nate in due diversi
ginnasi: l’Accademia, il Peripato/Liceo (il ginnasio consacrato ad Apollo Lukeos). Queste scuole si
sviluppano nella fase classica, in cui rifacendosi a Platone e Aristotele nascono le due scuole
filosofiche.
Nel 323 muore Alessandro Magno e nel 322 muore Aristotele.
30=> Battaglia di Azio=> viene meno l’ultimo dei regni ellenistici, quello ellenistico dei Tolomei. I
regni ellenistici erano stati i regni dei diadochi, i generali di Alessandro Magno.
Il regno dei Tolomei soccombe a Roma con la morte di Cleopatra.
Dall’età ellenistica si dirama il percorso della filosofia romana. La filosofia non è più monodica.
Parla sia Greco che latino.
Reale parlava di una fase imperiale che prende 6 secoli di storia racchiuse tra il 30 e il 529 d.C.=>
periodo tardoantico.
Il VI secolo è il secolo della cesura tra il mondo antico e quanto segue. Il Medioevo nasce per
categoria immeritatamente negativa in quanto luminosissima per molti aspetti.
CICERONE
A quale scuola filosofica si può ascrivere Cicerone?
Periodizzazione della sua produzione filosofica
Vita:
Cicerone vive 63 anni. Nasce nel 106 a.C. e muore nel 43 a.C. Sono individuati due periodi
Emergenti per quanto riguarda l’interesse dell’autore per la filosofia.
Formazione giovanile 90-77
o Periodo Finale 48-43, quinquennio finale (a questo secondo periodo appartiene
o quasi nella totalità la produzione filosofica dell’autore)
Formazione giovanile:
90 a.C. => data dell’assunzione della toga virile da parte di Cicerone che segnava il rito che
segnava l’ingresso del puer nel mondo degli adulti. Egli l’assume a 16 anni.
A Roma c’era una categoria di donne che doveva usare la toga, ovvero le prostitute; la
legislazione le obbligava a vestirsi da uomo
Prima ci si metteva la tunica interior e sopra metteva tunicae exteriores. La moglie usava
una tunica che arrivava fino alle caviglie, detta talaris. Sopra la donna portava la stola,
un’ampia veste a pieghe che veniva drappeggiata. L’imposizione della toga avveniva a 16-
17 anni e segnalava l’ingresso nel mondo dell’istruzione. Il romano assumeva la toga solo
dopo aver ricevuto un’istruzione elementare da un ludi magister o da un precettore. Il
litterator insegnava i primi rudimenti della grafia, il librarius di grafia, il calculator era il
maestro di aritmetica e il notarius era colui che insegnava a stenografare. Si insegnava
presto a stenografare perchè così si avevano gli interventi in senato già trascritti.
13-14 anni=> Si iniziavano le superiori. Si deponeva la bulla puerile al tempio. La bulla era
una targhetta su cui era scritto il nome e il cognome del bambino. Tutti coloro che erano
sub tutela portavano la bulla. I bambini finchè erano tali, gli schiavi la portavano a vita. (Il
padre di Cicerone si chiamava Marco Tullio e aveva aggiunto senior). Il padre conferiva la
toga e un rotolo legale cioè della legge. Quello che definisce un uomo adulto è l’intendere
se stesso e gli altri come depositari di tutti i diritti. Per i greci si diventava uomini quando si
andava in guerra. A Roma era adulto chi intende i propri diritti e doveri. Anche gli ebrei
fanno cerimonie di passaggio dalla fanciullezza al mondo degli adulti. Nel Bar mitzvah il
ragazzo riceve dal Rabbino il rotolo della Torah e lo legge.
Il 77 è l’anno in cui Cicerone va ad Atene. Il padre vuole far sì che il figlio faccia un salto sociale e
gli dà tutti gli strumenti per farlo. Cicerone è istruito dai maestri migliori e, in seguito, va in Grecia.
Viene mandato col fratello Quinto in Grecia e in Asia minore a rifinire la propria cultura per quasi un
biennio, sia dal punto di vista filosofico che oratorio. (≈Grand Tour ottocenteschi).
Cicerone giunge ad Atene avendo alle spalle un illustre passato avendo incluso una formazione di
tipo filosofico. Se c’è una parola chiave per intendere la forma mentis di Cicerone in questo
appuntamento con il mondo greco è la parola eclettismo. Tra il 90 e gli anni prima del 77 beneficia
grande al patrimonio paterno di una formazione di ampio raggio. Fu allievo di Elio Stilone, il primo
filologo Romano. Egli fu il primo filologo a Roma; porta la filologia dalla Grecia. Egli fa il
discernimento di ciò che è autentico e ciò che non lo è tra le commedie Plautine. Fu allievo di
Marco Antonio e di Licinio Crasso che erano i massimi oratori della sua epoca.
Eclettismo identifica anche il suo essere filosofo: come tutti i filosofi latini non sarà mai un uomo di
scuola, ovvero non apparterrà mai ad un’unica scuola, quanto sarà piuttosto un pensatore pronto
ad accogliere i possibili punti d’accordo tra pensatori diversi per selezionare il meglio con una
finalità ben determinata, ovvero quella di raccogliere il meglio dalle diverse scuole e dai diversi
filosofi per elaborare un’ars vivendi, che non si rassegna al limitarsi ad una sola scuola.
Cicerone fu fin dalla più tenera giovinezza e per la più tenera giovinezza non fu un accademico
puro né uno stoico, ma egli fu fondamentalmente fedele agli insegnamenti della scuola
accademica soprattutto di quella accademia che la storiografia filosofica definisce come la Quarta
Accademia, quella del filone di Larisa che stregò il 18enne Cicerone. Se c’è un personaggio che
marca nel profondo Cicerone è questo è Larisa. Gli dà un modo di approcciarsi alla vita stessa.
13/10/16
Se la mens filosofica risente di diversi apporti di scuola e di singoli, l’ingrediente
principale è quello di Filone di Làrissa, della IV Accademia: il che non fa di Cicerone
un uomo di scuola, un accademico, di rigida obbedienza ad una determinata suola,
ma un uomo di ampia apertura filosofica più sensibile alla IV Accademia.
Delineiamo questa apertura filosofica nella fase della formazione giovanile:
Primo incontro con la filosofia fu mediato proprio da un filosofo accademico.
Era l’88, aveva 18 anni (due anni dopo l’assunzione della toga virile): Filone
di Làrissa (città della Tessaglia) è lo scolarca della IV Accademia (II-I sec.
a.C.) e si trovava nell’88 esule a Roma, perché l’Accademia, che si trovava
fuori Atene, era stato distrutto dagli eserciti romani: tra l’87 e l’86 gli eserciti
di Silla assediano Atene e la mettono a ferro e fuoco. Dispersione degli
accademici, che arrivano anche a Roma, come Antioco di Ascalona.
Trafugamento da parte di Silla e dei suoi luogotenenti di un patrimonio
incredibile di opere filosofiche dalle biblioteche della città: trafugamento
dell’intera biblioteca di Aristotele, portata a Roma e posta nella domus
romana di Silla (non esistono ancora le biblioteche pubbliche, nate nell’età di
Augusto da un disegno di Cesare), anche se la mise a disposizione di un
pubblico di Romani. Ancora una volta le motivazioni erano di politica estera:
Grecia si schiera con il re del Ponto Mitridate che Roma aveva cercato di
combattere in ogni modo, come anche il tentativo di veneficio
(“mitridatizzarsi” = abituare il corpo ad elaborare gli anticorpi, la resistenza,
ad un determinato veleno). Filone di Làrissa è il fondatore della IV
Accademia, caratterizzata dalla correzione in senso probabilistico dello
Scetticismo che era stato proprio delle due fasi precedenti dell’Accademia
(Media e Nuova Accademia, cioè della II e III fase). La Media era stata
fondata da Arcesilao nel IV-III; Nuova o III Accademia (III-II) era stata guidata
da Carneade. La II e la III nega l’esistenza di verità assolute, ma solo
probabile. Filone si distacca da questa impostazione dal punto di vista
epistemologico (cioè della dottrina della conoscenza): verità assoluta esiste,
ma è negata alla conoscenza umana, perché l’uomo non può mai essere
certo di possederla perché gli mancano criteri di giudizio adeguati
(anticipando Kant: noumeno è la verità, ma è inaccessibile all’uomo che
conosce solo manifestazioni fenomeniche di esso). Distacco con lo
Stoicismo che riteneva che l’intelletto umano avesse gli strumenti di
conoscenza per conoscere la verità assoluta. Avvicinamento asintotico alla
verità, quindi non si conclude mai con il possesso dell’oggetto a cui si tende
probabilismo positivo per definire in sintesi la posizione di Filone, di contro
al probabilismo dialettico che è la definizione usuale per marcare le posizioni
gnoseologiche della II e della III Accademia, per le quali il conoscere non si
risolve in un tentativo di avvicinarsi sempre più alla verità, ma dovrebbe
culminare nell’epochè, cioè nell’astensione dal giudizio, confrontarsi tra
uomini in ricerca, sapendo che un giudizio può equivalere ad un altro e che
ogni giudizio razionale ha una dignità. L’indizio confortante che chi cerca la
verità si trovi sulla strada giusta secondo Filone è la consonanza con altri
pensatori e altre scuole indice della probabilità di essere. Filone inaugura
nell’Occidente filosofico una tendenza eclettica, cioè di modificare i propri
dogmi accogliendo teorie di altre scuole.
Probabilismo ed eclettismo devono aver colpito Cicerone che seguì
orazioni romane di Filone poiché sono due caratteristiche emergenti di
Cicerone di tutta la vita. Questo incontro era infatti avvenuto in un’età
duttile.
Pur protendendo per Filone, Cicerone è suggestionato anche da Antioco di
Acalona (Ascalon è una città della Giudea, dell’attuale Israele), un filosofo
parimenti accademico, che incontrò a Roma nel 79, alla vigilia della partenza
per quel “Gran tour” di cui abbiamo parlato. La dossografia (storia della
filosofia antica) indica in Antioco la fondazione della V e ultima Accademia.
Allievo per antonomasia di Filone, esule anche lui da Atene, entrò però in
aspra polemica con il maestro scisma all’interno dell’Accademia: terreno
della contesa è ancora quello epistemologico. Antioco si pone su delle
posizioni diverse dal suo maestro, sostenendo esistenza di verità assolute e
possibilità per l’uomo di conoscerle. Primo membro dell’affermazione
sarebbe stato accolto dal maestro, ma il secondo membro no. In fondo
Filone si stagliava su un panorama moderatamente stoico affermando un
probabilismo. Si ritornava così alle origini dell’Accademia. Pur scontrandosi
con il probabilismo filoniano tornando in fondo ad un certo dogmatismo,
Antioco dava seguito ad un lineamento proprio dell’insegnamento di Filone,
cioè all’orientamento eclettico della sua filosofia. Filone affermava che ci
fosse un’unica filosofia distinta non da differenze contenutistiche, ma
puramente formali, lessicali.
Verso la metà del 79 Cicerone parte per il soggiorno ad Atene, dove seguirà i
corsi di Antioco di Ascalona presso la nuova sede dell’Accademia.
Sussiste un problema storiografico: questi due filosofi non ci sono noti tramite le
loro opere, nulla ci è giunto, solo sparuti frammenti, li conosciamo solamente per la
mediazione di altre fonti antiche, la più importante delle quali è proprio Cicerone.
Rapporto tra Cicerone e un’altra scuola filosofica, lo Stoicismo. Uno degli
incontri più precoci è proprio con uno stoico, Posidonio di Apamèa (città della
Siria), che giunge a Roma non esule, ma come Carneade come
ambasciatore: deve farsi latore di alcune richieste dell’isola di Rodi presso il
Senato (chiese di essere liberata da un feroce embargo) (Rodi è un’altra
delle tappe del “Gran tour” ci Cicerone, che vi si reca per alcuni esercizi di
respirazione: era un problema serio, si rischiava di morire di angina pectoris,
che era la malattia professionale dell’oratore antico e del predicatore, tanto
che ne morì Sant’Ambrogio; a Rodi c’era una scuola oratoria specializzata
tra l’altro proprio in questo irrobustimento della voce). Posidonio è oggetto di
una vera e propria questione posidoniana, perché non ci è giunto nulla, solo
attestazioni di critici o seguaci, con versioni diverse e a volte contraddittorie
della sua teoria. È uno dei rappresentanti della Stoà successiva alla Stoà
delle origini fondata da Zenone: la Stoà di mezzo (II-I) è la fase in cui c’è una
sorta di matrimonio tra lo Stoicismo e l’ethos romano, come per l’Accademia,
cosa che non accadde con l’Epicureismo.
Tanto è imbevuto Cicerone di Stoicismo che sappiamo che per un certo
periodo nella casa romana dei Cicerones fu ospitato un filosofo stoico,
Diòdoto, di cui non sappiamo nulla, un altro regalo di Cicerone il vecchio per
il figlio.
Rapporto tra Cicerone e l’Epicureismo: Cicerone fu profondamente escluso
dal Cicerone maturo e non perse occasione per criticare anche con feroce
ironia le posizioni degli Epicurei. Ma non si tratta di una posizione
preconcetta, perché sappiamo che durante la giovinezza ebbe anche maestri
epicurei.
Un’altra notizia antica ci dice che oltre allo stoico Diòdoto Cicerone il vecchio
accordò ospitalità anche ad un filosofo epicureo, Fedro dialogo
intellettuale formativo tra Marco Tullio, Quinto e Fedro.
Durante il soggiorno greco seguì le lezioni dello scolarca del Giardino, che
allora era Zenone di Sidone.
Per quanto riguarda il Peripato, l’Arisotelismo, non abbiamo fonti in questo
periodo giovanile. Non ci sono stati riferiti particolari circa la frequentazione
giovanile degli scritti di Aristotele da parte di Cicerone. Tuttavia a posteriori,
partendo dalla produzione filosofica del periodo terminale, Cicerone si
manifesta profondamente imbevuto di aristotelismo, quindi è probabile che
anche nell’età della formazione il nostro si sia occupato anche della lettura
delle sue opere. Un certo indizio lo ricaviamo dal De Finibus III, 8: durante
una visita alla biblioteca tuscolana di Lucio Licinio Lucullo (è quello dei pranzi
luculliani, noto per le cene strabilianti, politico, militare), che insieme a quella
di Silla era una delle biblioteche filosofiche presenti a Roma. Il figlio Marco
Licinio aveva incrementato le biblioteche del padre. Cicerone si effigia lì a
consultare delle opere di Aristotele.
48-43 a.C.: il 43 ovviamente è la data della morte tremenda (consiglia di leggere
Tacito a tal proposito); 48 invece è una svolta drammatica, ovvero la battaglia di
Farsalo, dove gli eserciti di Cesare trionfano su quelli di Pompeo (Cicerone ha
avuto sempre la capacità di scegliere politicamente la parte sbagliata) (Cicerone si
presentò in Senato per denunciare Catilina non con la toga, ma in armatura, pur
non essendo un gran militare); Cesare segue Pompeo, ma si ferma a Corfù; sbarca
a Brindisi, temporeggia in Puglia in attesa di capire cosa fare; sa che Cesare lo
perdonerà, perché era un uomo astutissimo (sapeva che nella vita bisogna vincere,
mai stravincere, perché la vita è una ruota, se schiacci qualcuno un domani
potrebbe nuocere): torna a Roma, ma ai margini della vita politica si può
dedicare ad un’intensissima produzione letteraria che è anche filosofica. In questo
quinquennio elabora ben 14 opere filosofiche che constano a volte di molti libri. Nel
prologo libro II del De divinatione (che risale al marzo del 44) espone il piano
complessivo di quest’opera filosofica enciclopedica (schematizzato sulla sua
pagina): aveva già composto a livello di introduzione un protrettico, ovvero il dialogo
Ortensius (pochi frammenti). Per fissare i lineamenti metodologici e ideologici del
suo filosofare, e qui ribadisce la sua adesione fondamentale alla scuola
Accademica: sono gli Accademica, divisi tra priora e posteriora; poi affronta
questioni di etica, vuoi di teleologia (fine a cui punta l’agire morale) con il De finibus
bonorum et malorum, vuoi deontologia (< ta deonta; designa il cammino) con le
Tusculanae disputationes; dice di essere passato al campo teologico: De natura
deorum, De divinatione, De fato; include nel novero delle opere filosofiche anche
quelle di politica e retorica: De republica (politica), De oratore, Brutus e Orator
(retoriche); appendice (questioni particolari di etica): Consolatio (per la morte
dell’amatissima figlia Tulliola, Tullia) e il Cato Maior de senectute. Mancano (perché
probabilmente non ancora composti) il De legibus tra le opere politiche
(incompiuto), il Lelius de amicitia (che probabilmente si inserirebbe nell’appendice),
i Topica (opera di logica, marcatamente aristotelica) e il De officiis (di tipo etico).
L’autore non è stato esente dalla ricerca filosofica nel periodo della maturità, perché
altrimenti non avrebbe potuto comporre in un quinquennio una tale mole di opere
filosofiche, pur attanagliato da questioni di natura politica.
18/10/16
Cicerone presceglie quelli che sono gli elementi che a suo parere sono di verità e sono utili per
delineare una chiarificazione delle principali problematiche del sentire umano e del modus agendi.
Abbiamo visto come esistano delle posizioni di distanza e di polemica molto forte tra ex maestro
ed ex allievo e tuttavia esistono punti di contatto notevoli.
C’è una prospettiva fondamentalmente positiva sulla capacità di avvicinarsi con gradazione diversa
alla verità in modo dialettico o positivo.
Ci sono diversi modi di lettura.
Scanning=> lettura sintetica
Skimming=> lettura generale
Critical reading=> lettura approfondita di un messaggio
Reading and comprehension=> a livello denotativo ti deve essere tutto chiaro
Fase denotativa e la fase connotativa
De Saussurs
Livello denotativo=> tipo di lettura critica. Bisogna impossessarsi della materia informativa. Cosa
dice un testo. Per un testo alloglotto questa operazione culmina nella traduzione.
Livello connotativo=> porta a parlare di forma e ideologia, il come del messaggio e l’oggetto del
messaggio.
Questa tecnica di analisi critica si può utilizzare ad ampio raggio.
Fase denotativa:
1. Contestualizzazione: tutto si può contestualizzare, per esempio un’ideologia
attraverso il riferimento ad un contesto ideologico. È un concetto sfuggente.
Bisogna capire dove si è nel dipanarsi del testo, cose denotative e materiali.
Bisogna dare coordinate crono-spaziali riguardo alla gente e all’argomento trattato.
Se si tratta un excerptum bisogna contestualizzarlo altrimenti non si comprende
nulla. Il contesto è il luogo del significato. Quando, dove, chi, che cosa sono
domande denotative.
2. Accertamento del testo
3. Traduzione del testo II Libro, De natura deorum
Fase denotativa:
1)Contestualizzazione a) Genere letterario
b) Datazione opera
c) Struttura dell’opera
2)Accertamento del testo
3)Traduzione del testo
1.Contestualizzazione:
A.Genere:
Dialogo filosofico ambientato a casa di una amico di Cicerone, Aurelio Cotta, con cui interagiscono
altri personaggi.
Il dialogo si immagina svolto tra 77 e 76. Ciò si arguisce da richiami storici del testo. Allora Cotta
era già pontifex massimus; egli era insignito della più alta carica religiosa prevista dalla tradizione
romana.
Pontifex=> era un esperto di “fas”, ovvero di diritto sacrale. Quando si parla di sacerdote si
pensa ad un celebrante di riti liturgici o sacrificali.
Il pontifex era a capo di un collegio di pontifices e non celebrava riti se non raramente ma
era un giurisperito, ovvero un esperto di diritto sacrale, ovvero il FAS, che si contrappone
allo IUS. (I => semiconsonantica e quindi bisognerebbe dire il IUS).
Ius=> rapporti interumani.
Fas=> norme di età ancestrale che regolano rapporti tra mondo umano e divino che vanno
adeguatamente osservate per non incorrere nell’ira degli dei. Il pontifex curava che nella
vita rituale civile e politica non vi fossero sconfinamenti che fossero ferite inferte a tabù
rituali. Si tratta di colpe rituali non morali.
La religione greco-romana non ha alcuna ricaduta sull’agire morale: per noi il credo
religioso trae dalla morale. Per gli antichi la religione pubblica è un insieme di do ut des,
scambi perfettamente adeguati alla tradizione tra il mondo umano e il mondo divino.
Cotta è un personaggio importante tra il modo di praticare e pensare il culto. Egli aderiva
filosoficamente a posizioni dell’accademia scettica. In campo religioso era saldamente convinto
dell’agnosticismo scettico.
Sorvegliare il culto ha funzione civile per compattare l’umanità, cuius regio et eius religio, e l’altra
funzione è quella di garantirsi la benevolenza degli dei nel caso esistano.
Cotta è il personaggio chiave del De Natura Deorum.
Palatore afferma che in Cotta vi sia l’oligarchia politico-intellettuale latina, che garantisce forme di
religione tradizionale e che aderisce ad un pensiero che ora è dettato dall’epicureismo, ora dallo
stoicismo, ora dello scetticismo.
Cicerone era lui stesso sacerdote in quanto magistrato.
Religio per Cicero deriva da “religere” => atto di scrupolo del sacerdote che si rilegge le elegie
riturgiche per paura di sbagliare perchè se sbagli il rito infrangi il fas, incrinando i rapporti col fas.
B.Datazione:
Estate 44, si inserisce nel fecondo ultimo quinquennio della produzione filosofica. Lo sappiamo
dall’epistolario.
Ci è restituito il Cicerone privato dall’epistolario. Petrarca rimase allibito dalle lettere di Cicerone.
C.Struttura generale:
Tre libri, ciascun libro espone la visione teologica di una scuola diversa.
1. Scuola Epicurea
2. Stoicismo
3. Accademia
Non è Possibile dare una durata precisa a questa discussione in tre libri, che dura più giorni ma
non è possibile quantificarli.
Libro II:
1. Introduzione (c. 1)
2. Esistenza di Dio – prove (cc. 2-16) => alla luce della teologia stoica e ne fornisce
alcune prove.
3. Natura divina (cc. 17-28) => si precisano gli attributi di Dio.
4. Provvidenza divina: il governo dell’universo (cc. 29-61) => accumunata con la
sezione successiva da un argomento comune=> se dio c’è, che rapporti ha con il
mondo e con l’uomo. La domanda è svolta secondo la prospettica stoica che vuole
che i rapporti tra Dio e l’uomo siano provvidenziali. La pronoia o provvidenza è la
marca dello stoicismo. Nulla è lasciato al caso. L’uomo e il cosmo sono esseri che
hanno in sè l’impronta del Logos divino, della razionalità divina. Per Epicuro gli dei
esistono ma sono chiusi negli intermundia, paradisi avulsi. Anche Aristotele
pensava qualcosa di simile su Dio. C’è questo tendere di tutto il mondo verso Dio,
che è indifferente al mondo. Dio ha avviato il mondo e ha impresso un’impronta di
tensione, ma che rimane indifferente al tendere di tutto verso di lui. La divinità che è
impersonale e immanente è la mens razionale insita omnibus.
5. Provvidenza divina: cura per l’uomo (cc. 62-66) => provvidenza divina verso
l’uomo. Tra i capitoli 62-4 siamo all’inizio dell’ultima macrosequenza. Parla uno
stoico di un aspetto della teologia stoica che è quello della provvidenza nei confronti
dell’uomo. L’uomo è la dimostrazione della mens divina che è in lui, nel suo corpo,
nella sua psiche.
2.Accertamento del testo:
Edizione critica ≠ edizione commentata.
Le note a piè di pagina non sono un apparato esegetico ma critico.
Edizione critica=> costituita dalla fase di Recensio ed Emendatio, al fine di determinare il testo
dell’originale ma il testo dell’archetipo adeguatamente corretto.
Si passa dalle fasi ecdotiche al fine di determinare e correggere.
La recensio=> prima fase del lavoro ecdotico che punta a ricostruire il testo
dell’archetipo che è ω, un codice sempre perduto da cui si dirama tutta la tradizione
mss di cui siamo in possesso almeno in parte. La recensio punta a ricostruire ω,
che non è l’originale. L’archetipo è distante secoli dall’originale.
L’emendatio è la seconda fase del lavoro ecdotico e si concretizza
nell’emendamento del testo ottenuto dalla recensio. Ω va purificato con tecniche ad
hoc. Questo lavorio critico è citato nelle note dell’apparato critico.
Non è indifferente scegliere in quale edizione critica leggere il testo.
Quali sono le principali edizioni critiche ancora valide? Quelle che hanno un buon apparato critico
basato su una recensio completa e che sono ancora attuali.
Joseph Mayor, Cambridge 1891, 3vv. (Cambridge Univ. Press.) => non risponde ai
o criteri di attualità ma è una pietra miliare nella storia della costituzione di
un’edizione critica.
Otto Plasberg, Leipzig 1911 (Teubner) => faceva parte di un progetto editoriale
o rimasto non esaurito, ovvero la traduzione dell’Opera Omnia di Cicerone, non
avvenuto per la morte di Plasberg nel 1924. Nella Praefatio lamenta che l’edizione
è uscita non tanto corretta quanto avrebbe voluto. Nonostante il carattere
incompleto e provvisorio, per l’acume con cui si approccia al testo, ancora oggi è
ritenuta la migliore.
Wilhelm Ax, Leipzig 1933 (Teubner) => riprende il lavoro di PLasberg e lo
o perfeziona non solo correggendone gli errori, completandolo dove c’erano
manchevolezze, ma corredandolo di innumerevoli riferimenti bibliografici. È il
perfezionamento del buono.
Arthur Stanley Pease, Cambridge USA 1955-58, 3vv. (Harvard Univ. Press) => è
o enciclopedica e insieme esegetica perchè ha molte note, aggiunge a livello di
recensio qualcosa, che Plasberg non aveva utilizzato. No interventi di grande
qualità.
Harris Rackham, London 1961 (Loeb.) => ha l’apparato critico più risicato ed
o elementare, in quanto è nelle linee editoriali della Loeber Classical Library. È di
divulgazione seria. Ha traduzione inglese a fronte.
Martin van den Bruwaene, Bruxelles 1970, 3vv. (Latomus) => molto ampia, più
o disordinata graficamente rispetto a Pease. Ha una traduzione francese a fronte.
In questo panorama manca un’edizione recente, completa del De Natura Deorum che finisse con
lo stesso metodo di Plasberg e che seguisse una recensio di base il più possibile completa.
Ci sono 121 mss, non vanno recensiti tutti, in quanto una volta fatta la cernita dei codicum
descriptorum. Due case editrici stanno lavorando ad una nuova edizione critica rinnovata sia per i
tipi della Belles Lettres, una tra le collane più famose, oppure per la Oxford University Press.
20/10/16
Il fine dell’analisi denotativa per quanto riguarda testi alloglotti è la traduzione. Se io devo tradurre,
ho bisogno di fissare il testo nella sua forma e questa è la fase dell’accertamento del testo, che
insieme ad altre fasi, fa la differenza fra un pubblico specialistico e i normali fruitori di testi letterari,
per i quali il testo figura ingannevolmente come un dato intangibile, come una realtà ovvia,
scontata, nel caso del testo latino tale e quale appare e semplicemente da tradurre. Invece il testo
e specialmente il testo antico non è mai un dato, ma un esito, risultato del tradere, del tramandare
il testo attraverso il tempo e in questa dialettica di tradizione e recezione del testo si determinano
modifiche che è necessario valutare per tentare di restituire il testo alla sua veste primigenia. Fase
dell’accertamento del testo non è parentetica, ma è quindi fortemente necessaria. Questa fase sta
al letterato, come un restauro di un affresco sta al critico d’arte. Il filologo, l’editore dei testi classici,
fa sul testo esattamente quello che fa il restauratore.
NB Preferibile è un apparato critico positivo.
La seconda fase di questi avvicinamento alla lettura dell’apparato critico è costituita dalla
ricognizione sulla struttura della tradizione manoscritta. Perché dopo ave scelto una edizione
critica è fondamentale ricognizione della struttura della tradizione manoscritta? Per capire quale
metodo prevalente ha utilizzato l’editore (=filologo).
De natura deorum: 121 manoscritti soprattutto tra Francia, Italia, Gran Bretagna.
Stemma codicum che utilizziamo è tratto da una edizione in particolare, non è LO stemma
codicum, ma UNO stemma codicum, è una ipotesi di ricostruzione, non è oggettivo. È riprodotto in
maniera semplificata, con quattro manoscritti sui 121 ritrovati dopo la collatio, quelli antiquiores,
ovvero quelli Altomedievali (termine derivante dalla stemmatica, che è parte dell’ecdotica, che a
sua volta è una parte della filologia che si occupa dell’edizione di testi classici): A, V, B, mentre non
lo è H che è dell’XI secolo. Tradizione è trifida quando si delineano tre classi o famiglie di codici. È
bifida la tradizione che consiste in due rami, come è il nostro caso. Questa distinzione è la prima
cosa da notare guardando uno stemma, perché cambia recensione: meccanica nel caso della
trifida, aperta nel caso della bifida.
Uno dei due rami discendenti dall’archetipo, il più cospicuo, è costituito da tre codici: A, H, V.
Secondo le ipotesi ricostruttive di recensio, tutti e tre appartengono alla stessa famiglia, perché tutti
e tre derivano da y, che è un comune iparchetipo (= manoscritto derivante direttamente, come in
questo caso o per uno o più intermediari ipotizzabili, da cui origina una famiglia di codici).
A è l’indicazione convenzionale di quello che pare il testimone più antico del De natura deorum: è
datato tra la metà del IX secolo e al massimo la fine del X secolo. Codex leidensis vossianus 84.
Come B pervenne alla biblioteca di Leida (Olanda) alla fine del ‘600 da un fondo librario di un
erudito fiammingo del XVII secolo Gerard Johannes Vossius. Formato rettangolare (anche il
formato ha una sua importanza). È stato scritto in carolina minuscola da due mani diverse dello
stesso scriptorium. Come in B diversi interventi di correzione da almeno altre tre mani che sono
intervenute a correggere o a completare tra il IX e il XII secolo. Forse proviene da uno scriptorium
del nord della Francia del IX secolo. Secondo alcuni studiosi sarebbe all’origine dell’intera
tradizione umanistica. Una sua copia francese del IX-X secolo sarebbe un codice F (codex
florentinum marcianum 277) probabilmente copiato in un monastero della Francia settentrionale
nel IX-X secolo poi donato dal vescovo Weinharius nell’XI secolo alla biblioteca capitolare di
Strasburgo, dove lo troverà all’inizio del ‘400 Poggio Bracciolini, che si trovava in prossimità di
Strasburgo perché segretario (notarius) di un antipapa, Giovanni XXIII, che partecipava al Concilio
di Costanza (sul Bodensee) tra il 1414 e il 1418 che tanta di comporre lo scisma dei tre papi. Nei
momenti liberi mangiava lamprede o batteva tutte le biblioteche religiose circonvicine a caccia di
codici: trova questo codice, lo ottiene, ne fa fare una copia ai suoi amanuensi di Firenze e non farà
mai ritorno. Da questo codice discende l’intera tradizione umanistica che secondo questo stemma
codicum risale ad A. Forse è il codice più antico, sicuramente è il più secondo.
V: codex palatinus vindobonensis 189: presso la Biblioteca Palatina di Vienna. È all’incirca coevo
di A, alcuni però lo datano addirittura all’inizio del IX secolo e in questo caso sarebbe il più antico.
Formato quadrato (formato fa differenza perché codici di formato quadrato saranno prodotti quasi
soltanto dagli scriptoria di età carolingia). Forse è stato vergato in Francia, Abbazia dei Santi Pietro
e Paolo di Ferrières (nella Francia centrale non lontana da Orleans) che in età carolingia fu un
fulcro di insegnamento grammaticale molto importante (Lupo di Ferrières fu uno dei più importanti
grammatici).
H: codex heinsianus 118: lo troviamo a Leiden. Deriva da un deposito di un altro erudito del ‘600
fiammingo Nicolas Heinse. È dell’XI secolo. È l’unico di provenienza italiana, da Montecassino
minuscola cassinenses.
B: codex leidensis vossianus 86. È coevo di A e anch’esso proviene dalla Francia settentrionale
non meglio identificabile. Come A, B non contiene solo il De natura deorum, ma contiene il corpus
leidense delle opere ciceroniane, cioè un corpus delle opere filosofiche ciceroniane che ha avuto
una tradizione traduzione del Timeo platonico, De fato, Topica, Paradoxa stoicorum, Accademica
Priora, De legibus.
Oggi possiamo leggere il De natura deorum grazie all’impulso nella tradizione dei
manoscritti avuto in due periodi diversi: tradizione umanistica e, prima ancora,
(quanto noi leggiamo di letteratura latina è solo ciò che sopravvive ad un naufragio
di enormi proporzioni) Rinascita Carolingia. La maggior parte dei codici fin qui
analizzati provengono dagli scriptoria dei monasteri della Francia settentrionale.
L’archetipo doveva essere un codice francese di età carolingia in minuscola del secolo VIII-IX e
doveva essere copia di un antigrafo (=codice modello vs apografo= codice dedotto) già malandato
e lo possiamo dire per gli errori che accomunano tutta la tradizione, nella fattispecie otto lacune
che dovevano esserci già nell’archetipo. Doveva avere un testo già molto disordinato. Tutta la
tradizione più antica (quella che abbiamo menzionato) presenta postposizioni di macro-sequenze
che verranno sanate soltanto dagli studi grammaticali di età umanistica. Già nell’archetipo i
quaternioni erano stati ricomposti malamente dopo che la legatura che li teneva insieme si era
rotta. Dobbiamo considerare il fatto che l’amanuense non era un animale dotto, magari non
capisce quello che copia, quindi non ha possibilità di riconoscere gli errori che vede o che fa. I
quaternioni (cioè i fascicoli) erano finiti in disordine perché la legatura si era rotta e chi lo aveva
rimandato in legatoria li aveva messi insieme in malo modo. Quaternio = insieme di quattro fogli di
pergamena che venivano cuciti insieme e poi quaternione dopo quaternione venivano rilegati
insieme.
La storia della tradizione manoscritta inizia con omega, quindi VIII secolo. L’originale ciceroniano è
della seconda metà del I a.C. => Distanza di almeno otto-nove secoli. Ci sono delle spie che
emergono vuoi dal testo ciceroniano vuoi da informazioni esterne ad esso che ci forniscono delle
notizie: probabilmente la forma testuale presente in omega viene dall’Oriente bizantino e lo
possiamo dire da degli errori nelle trascrizioni di nomi greci < errori di dettato interiore influenzati
dalla pronuncia greca tardo-antica. L’amanuense leggeva pericope, lo ripeteva dentro di sé, si
chinava sull’apografo e lo trascriveva: errori erano in agguato dietro ogni fase, ad esempio un
errore può nascere dalla ripetizione interiore del testo. Bisogna considerare che oggi noi
pronunciamo latino più o meno come Sant’Agostino, mentre i colleghi d’Oltralpe utilizzano la
pronuncia restituta, ovvero la ricostruzione della pronuncia dell’epoca ciceroniana, ma nel
Medioevo esistevano varie pronunce del latino = pronunce nazionali del latino, secondo costumi
fonatori della propria lingua madre (ora non esistono più, salvo in Francia, dove ancora oggi esiste
un centro che promuove la pronuncia medievale latina dell’area francese). L’amanuense scrive
secondo il dettato interiore. Fenomeni come l’itacismo fanno pensare ad una provenienza
dall’Oriente bizantino.
Nel 1471 finisce la tradizione manoscritta perché a distanza di pochi mesi vengono pubblicate due
editiones principes (che è una contraddizione in termini) indipendenti a Roma e a Venezia, che è la
capitale editoriale tra la fine del ‘400 e la prima metà del ‘500.
Risvolto pratico di questo lavoro: chi dispone di una tradizione trifida può usare
nella selezione delle lezioni del metodo del Lachmann, chi dispone di una tradizione
bifida no. Lachmann è l’inventore di un metodo ecdotico che ha due presupposti: è
un metodo meccanico che funziona solo con una tradizione trifida perché è
quantitativo. Funzionava bene per l’edizione di Lucrezio da lui curata, perché aveva
tra famiglie e questo metodo si basa sulla maggioranza delle famiglie (non dei
codici!). L’altra questione è la tradizione verticale del testo. Nel caso di tradizione
bifida non si può usare un metodo meccanicistico e quantitativo come questo, ma ci
si deve affidare ai criteri interni qualitativi: lectio difficilior probabilior o potior, usus
scribendi (questi due sono di tipo linguistico e andrebbero idealmente abbinati) e
l’utrum in alterum (criterio di tipo paleografico che consiste nello spiegare come una
lezione, errata o no, possa essere derivata da un’altra).
Possiamo ora alla letteratura dell’apparato critico dell’edizione Ax Plasberg: lo si legge ponendosi
tra domande a cui dobbiamo dare soddisfazione, che sono tre interrogativi scolastici (nel senso
della Scolastica antica): Quid? Ubi? Cur?
1. Quid è la fase del che cosa leggo, della lettura delle singole note. Per leggere le
singole note è indispensabile uno strumento del tutte le edizioni critiche hanno in
praefatio, ovvero il conspestus siglorum. Non. = è la traduzione usuale di Nonius,
quindi non la troviamo nel conspectus, che contiene solo le sigle specifiche o dei
filosofi che hanno trattato quell’argomento. Questa è una fase relativamente facile.
2. Già ci si orienta verso l’interpretazione: in che fase ecdotica si colloca quanto è
detto nella nota? Fa riferimento alla fase di recensio o di emendatio?
3. Cur: perché questa scelta formale da parte dell’editore, che cosa ha motivato
l’editore a preferire una lezione ad un’altra tra le varie? Questa domanda è quella
che ha una risposta più concettuosa che richiede il ricorso a determinati strumenti.
A monte, come punto zero, per avvicinarci ad un testo di apparato critico, bisogna capire se quello
che ho di fronte a me è un apparato critico di genere positivo o negativo, ancora prima di porgli le
famose tre domande. L’apparato positivo dà ragione tanto della lezione accettata a testo quanto di
quella o quelle rifiutate, quindi è il più completo. Viceversa quello negativo motiva soltanto le
lezioni negate, rifiutate. Esempi sulle slide che sono quelli presenti anche nel suo libro: secondo
caso apparato positivo consta di due parti: quella che precede i due punti è pari alla
motivazione della lezione accettata; nel caso di Vivat riposa sulla testimonianza di un codice
autorevole come B; nel caso di et existo invece non c’è nulla perché si tratta di una emendatio, cui
seguono le lezioni ricusate; primo caso apparato negativo.
Quello di Plasberg è un apparato critico positivo o negativo? Non è facile rispondere, perché non
abbiamo a che fare dal punto di vista grafico con un apparato critico ben distinguibile: a tutta prima
sembrerebbe negativo (perché non ha due punti e poi lezioni ricusate), ma è davvero così?
25/10/16
Tragedie di Seneca, Recitazione o rappresentazione => 17.30
5 DICEMBRE Balza => spettacolo all’Uni di Brescia
Lettura dell’Apparato Critico: l’apparato critico è positivo o negativo?
Bisogna capire quale schema informativo e quale dosaggio di informazione mi viene fornita che è
sensibilmente diverse se si tratti dell’uno o dell’altro apparato.
L’apparato critico è ciò che dà l’insieme delle lezioni documentate a testo accettate e riufiutate.
Lo schema grafico prevede una nota bipartita attorno al perno convenzionale dei due punti. Prima
si menzionano i testimoni o i propositori del testo accettato (nel caso dell’emendatio) dopo le altre
si prendono le lezioni ricusate.
Qui si parla di un apparato positivo che documenta i testimoni delle lezioni scelte.
L’apparato critico positivo del testo non ha però una bipartizione delle note ma c’è menzione dei
testimoni della tradizione manoscritta da cui è tratto il testo. Plasberg cita prima delle note nel loro
insieme i codici A, H, V, B.
Il testo che è ricavato da questi codici è quello che è stampato. L’indicazione che è stampata A H V
B vale per tutto il testo e documenteranno le lezioni ricusate.
Il testo della pagina analizzata non solo presceglie il passo nella forma documentata ma ne
aggiunge dalla riga 25 anche un altro.
Il conspectum siglorum delle abbreviazioni scioglie solo quelle specifiche e non quelle generiche.
“Acc” indica che si aggiunge oltre ai codici considerati il P, Paladinus 1519, perchè prima in esso è
presente una lacuna.
Paragrafo “Canum vero tam fida custodia tamque amans dominorum adulatio tantumque
odium in externos et tam incredibilis ad investigandom sagacitas ...”
In questa pagina vi sono due passi che riguardano il motivo venatorio.
Questo testo non offre grandi problemi ecdotici.
Nota 9=> canum vero tam non. P. 17 (adulatio et reliqua interciderunt)
Non. => sta per “Nonius” (Index Thesaurus Linguae Latinae=> dà
o abbreviazioni per nomi).
Il testo canum vero tam => è ricusato perchè le parole fino ad
o interciderunt caddero, quindi si considera il testo da canum a dominorum.
Questa nota indica che il testo Ciceroniano ricusato, come si ritrova in
Nonio, non è stato citato dall’autore. Nonio è un Grammatico Africano del
IV secolo, autore di un’opera in 20 libri dal titolo De Compendiosa
Doctrina, giuntaci completa, enciclopedica ed erudizione, raccolta per il
figlio e che raccoglie una serie di informazioni varie, dall’abbigliamento,
alla grammatica, dalla storia romana a quella di altri popoli, diluiti sotto
lemmi e vocaboli citati da Nonio. Egli è citato dalla edizione che viene
ritenuta migliore, cioè la normativa, ovvero quella di Wallace Lindsay,
pubblicata nel 1903 in 3 vol. Dalla Toebner.
Nonio p17=> Edizione di Lindsay.
o Si legge un’informazione della tradizione indiretta del testo. È un
o frammento informativo sul grande silenzio che si estende tra le vicende
del testo Ciceroniano tra il 1 a.C. e l’VIII secolo d.C. Il brano citatoci da
Nonio è mutilo, perchè nel testo Noniano interviene una natura.
Questa nota (risposta alla domanda UBI) ci parla di recensio o
o emendatio? Il contenuto della nota cita diverse lezioni alternative tra loro
per costituire l’archetipo o documenta una correzione accettata o
rifiutata? Se la nota documenta diverse lezione del medesimo passo per
sceglierne una è della recensio, vuole costituire l’archetipo paragonando
le lezioni per sceglierne una, se invece corregge il testo sarà di
emendatio. Questa nota si colloca nella recensio o nell’emendatio? Sta
paragonando e quindi appartiene alla fase di Recensio. È una nota di
recensio.
CUR=> Quale motivo ha spinto l’editore a preferire una lezione ad
o un’altra? C’è la distinzione tra errore e variante. L’errore è un termine che
indica una deviazione dal dettato voluto dall’autore sia che questo errare
dal dato originario del testo porti ad una forma plausibile, sia che porti ad
una forma sprovvista di significato. In senso più specifico, errore è quella
deviazione dal dettato originario che porta ad infirmare il testo. Variante
invece è una forma di testo provvista di senso alternativa ad un’altra che
è ugualmente tradito. Anche la variante è un errore in senso più ampio a
meno che non si debba postulare la presenza di più redazioni. Quello che
abbiamo di fronte a noi è un testo che non ha senso o una variante? Si
procederà quindi all’applicazione del criterio dell’utrum in alterum (cfr.
Tassonomia dell’errore). Per scovare un errore si usa un criterio
quantitativo o uno qualitativo, della lectio difficilior o dell’utrum in alterum.
Perchè l’autore ha rifiutato il testo? È un errore in quanto non c’è il verbo.
Il testo è guasto. Perchè Plasberg ha scelto i codici al posto della
tradizione indiretta? Ha scelto il testo completo rispetto a quello
incompleto.
Paragrafo successivo di pagina 115 dove si reperisce un secondo riferimento al motivo
venatorio. “Ex quibus tanta...” fino alla riga 13 “percepimus”
3 aut capiuntur aut sine Hei.
Hei. = Heindorf, abbreviazione. È un filologo ottocentesco che
o evidentemente propone questo aut aut. Capiuntur al posto di caperentur
e sine al posto di nisi. Sicchè, secondo Heindorf avremmo due testi.
1) “E quelli (gli uccelli) non si catturano nemmeno (capiuntur) se non
grazie (nisi) all’abilità e all’astuzia degli uomini”.
2) “E quelli (gli uccelli) non si catturerebbero (caperentur) nemmeno
senza (sine) l’abilità e l’astuzia degli uomini”.
La nota è quindi di emendatio, di correzione.
o CUR=> perchè Plasberg documenta ma rifiuta l’emendazione di
o Heindorf, perchè sappiamo che le note sono tutte quelle versioni rifiutate.
Le due forme proposte sono varianti! Ci sono 3 varianti tutte sensate. Lo
stesso Plasberg avrebbe emendato se fossero state errori. Cita
l’emendazione di un collega ma la rifiuta. Plasberg accetta:
3) “E quelli non si prenderebbero nemmeno se non per l’inganno e
l’astuzia degli uomini”.
Plasberg rifiuta l’edizione perchè si corregge un testo errato, ma il testo non ha
l’errore. Plasberg trova la proposta di Heindorf un ipercorrettismo.
Nota alla riga 7
NAncissimur Ap^ nanc. B1
A primitus (a con p all’esponente). La prima mano che ha vergato
o B con 1 all’esponente significa la prima mano che ha vergato.
o A e B hanno nanciscimur ma una seconda mano ha corretto.
o UBI=> Recensio o emendatio? È una nota di recensio, ovvero accanto alla
o lezione riportata nel testo se ne portano due alternative.
CUR=> perchè l’editore rifiuta nascissimur e nanciscimur=> sono due
o errori perchè sono forme verbali insensate e che non sono provviste di
senso. Se possibile all’errore si rivolge sempre la domanda “Utrum in
alterum”=> Come si sono determinati questi errori? => errore di lettura
dovuto alle condizione in cui si trovava l’antigrafo. Dato che due
amanuensi trascrivono male la stessa parola significa che la parola si
leggeva male: magari perchè scritta male, forse perchè c’era stato un
guasto meccanico (macchia d’inchiostro...). Si tratta verosimilmente di un
errore di lettura.
Nota alla riga 8
“Affinché ce ne cibiamo e affinché ci esercitiamo fisicamente nel cacciare”
Questa espressione è formulare, non è un polisindeto, ma una correlazione. Ci sono due
congiunzioni coordinanti correlative e copulative.
8 et om. V1, B1
et prima di exerceamur
o om=> omittunt
o V(con 1 a esponente) e B1 omettono la congiunzione “et” prima di
o exerceamur.
UBI=> è una recensio, perchè nella maggior parte dei testimoni si ha et,
o nella minoranza c’è la diversa lezione che non presenta et.
CUR=> è un testo corretto o errato? Il testo ricusato è un testo errato,
o perchè manca la correlazione. È un errore di omissione, propiziato dal
corpo molto esiguo della parola omessa. Gli scriptoria non avevano
finestre a vetri e si chiudevano caso mai le finestre con lastre di talco o di
alabastro, faceva freddo.
Nota alla riga 11
Eliciamus dett. Hei.
Hei=> Heindorf
o Dett=> codices deteriores => i codici più tardi e meno pregevoli che
o Plasberg dice nelle sue note di avere trovato e consultato nella
biblioteca apostolica e vaticana. Non c’è traccia in Vaticano di questi
codici Deteriores.
Heindorf si accoda a questi codici
o UBI=> Si documenta una lezione alternativa, recensio.
o CUR=> è variante o errore? Eliciamus = “ricavare”, che si pone in
o alternativa ad Eligamur = “cogliamo”.
Plasberg sceglie per motivazioni quantitative.
1) “Cogliamo rimedi per le nostre malattie e per le nostre ferite”
2) “Ricaviamo rimedi per le nostre malattie e per le nostre ferite”
Note del tratto del testo 11/13, righe 11 e 13.
11 – 13 sicut... percepimus Non p.219 (periclitatio) et 364 (periculum
experimentum).
Al grammatico Nonio serviva un brano per spiegare “periclitatio”
o Lo stesso passo poi lo cita a pagina 364 sotto le parole “periculum
o experimentum” di cui il grammatico cita periclitatio come sinonimo.
Nota di recensio
o
11. Sicut lex Nonii AA (A maiuscola come esponente) p.364, ubi sicuti ex Luc.
Mueller Significa che in un gruppo di manoscritti di Nonio (gli AA) si legge “Sicut
o lex” e si cita la pagina 364 dove la lezione è citata in apparato critico dal
Lindsay nel suo apparato critico a Nonio.
Sicuti ex=> si trova nel testo. Il famoso Mueller dà un’altra edizione di
o Nonio. Lindsay nel testo accetta di correggere Sicuti ex come fa Mueller
ma attesta che c’è anche sicut lex.
La prima parte della nota è di recensio, ma la seconda “ubi sicuti lex” è
o l’emendatio di Mueller.
CUR=> Sicuti ex è una variante perchè sicuti è una variante di sicut.
o Come si sono generate le varianti SICUTI e SICUT? Si sottopone l’errore
all’utrum in alterum=> Un errore di lettura dell’antigrafo=> si è confusa a
“i” minuscola con la “l” minuscola.
Sicuti ex=> per Plasberg è da scartare per motivi quantitativi, perchè
propria soltanto di un’emendatio fornita dal Mueller a partire da questo
errore.
13. Percepimus H percipimus AVB, Nonii L1 AA p364
Recensio, si comparano testimoni che hanno una lezione e l’altra che è
o percipimus.
CUR=> Sono due varianti, hanno senso entrambi. Come mai, quindi, si
o sceglie la versione che è tipica di un solo testimone? Capita l’esatto
contrario della nota 11, dove si era scelto in base alla legge della
quantità. Secondo Plasberg il “percepimus” da lui accettato è lectio
difficilior, che è un criterio ottimo. Tutta l’argomentazione precedente,
dalla riga 1, è svolta al presente. In questa condizione “percipimus” è la
condizione più ovvia. “percepimus” che soppianta il presente con il
perfetto è proprio per questo lectio difficilior, meno ovvia e in quanto lectio
difficilior è anche potior, più probabile. Non vale il criterio della quantità di
fronte alla lectio difficilior. L’utrum in alterum giustifica il cambio dal
perfetto al presente considerato come errore era facilitato dalla
distinzione esigua tra i due tempi, affidata alla sola vocale distintiva “e”
contro “i”. Facilmente si sarebbe potuto passare dall’uno all’altro. Per un
errore di lettura ma anche per uno di scrittura. Bisogna discernere quale
sia la variante da scegliere e si deve scegliere una forma sia che io mi
trovi nel confronto tra un errore e un testo corretto. Tra due errori
bisognerà comunque sceglierne uno e poi curarsene in sede di
emendatio.
1) I cui benefici noi conosciamo (percipimus)
2) I cui benefici noi abbiamo conosciuto (percepimus)
27/10/16
Dobbiamo tradurre noi questi testi, il professore traduce solo passi relativi al motivo venatorio; il
passo 154 esula da questa caratteristica, ma dal punto di vista dell’argomentazione globale è
fondamentale.
La traduzione non deve essere né libera né letterale, ma pertinente, vera, che tende a rendere il
contenuto della forma originale dal punto di vista contenutistico e poi se è possibile dal punto di
vista sintattico, stilistico. Il traditor è il traduttore e il traditore: non si può non tradire il testo
traducendolo, al punto che sia necessario al traduttore per la propria incapacità istituzionale fare
un’operazione che è un ricorso di tipo esegetico, che renda ragione delle scelte effettuate
tradimento motivato e lucido. L’altra caratteristica che la traduzione deve avere, oltre ad essere
vera, in un Italiano vero, è la perspicùitas, la chiarezza. Ricorso esegetico serve a spiegare quale
possa essere il significato ad esempio dell’identità di un personaggio secondario, oppure a che
cosa rimandi un determinato riferimento geografico ad esempio. Non possono esserci informazioni
ambigue o mancanti.
(151) Le altre due menzioni hanno a che fare con le facoltà razionali dell’uomo che si impone
quindi sul mondo circostante, mentre questo passaggio non ha a che fare con questo tema, ma
con la sua superiorità fisica, che consiste nella flessibilità e duttilità delle mani intelligenza e
prospettiva storico-evolutiva molto perspicace per l’epoca, confermata dagli studi più recenti
“Grazie al lavoro degli uomini, cioè delle loro mani, ci si procura un cibo vario e abbondante. Infatti
i campi producono molti frutti coltivati dalle nostre mani, i quali o si consumano subito o dopo averli
invecchiati. Inoltre ci cibiamo di animali terrestri, acquatici, volatili, in parte catturandoli, in parte
allevandoli. Dopo averli domani imponiamo di trasportarci ai quadrupedi la cui velocità e forza
aumenta le nostre. A certi animali imponiamo pesi o gioghi; sfruttiamo a nostro vantaggio gli
acutissimi sensi degli elefanti e la sagacia dei cani.”
(154) “Mi rimane da dimostrare, trattandolo per esteso, che tutto quanto nel mondo esiste e di cui
gli uomini si servono è stato fatto e predisposto per l’uomo. Anzitutto il mondo in sé è stato fatto
per dei e uomini e ciò che si trova in esso è stato preparato e trovato per l’utile degli uomini. Il
mondo è infatti per così dire l’abitazione comune di dei e uomini o la città di entrambi. Infatti essi
sono i soli ad avere il diritto di viverci in quanto dotati di ragione. Come dunque non si può fare a
meno di pensare che Atene e Sparta siano state fatte e costruite per gli Ateniesi e gli Spartani e
come tutto quanto si trova in queste città si dice a ragione che appartenga a quei popoli, così tutto
quanto esiste in ogni parte del mondo lo si deve ritenere degli uomini e degli dei.”
Due ricorsi esegetici, uno a partire da “sono i soli ad aver il diritto di viverci”; letteralmente: “sono i
soli infatti a vivere secondo il diritto e secondo la legge”, ma in questo caso ci dovrebbe essere una
legge, che gli animali non rispettano e gli uomini sì, ma non è questo che voleva dire Cicerone. Ha
compendiato “iure ac lege” > diritto, ma il Latino c’è una dittologia, perché è stato obbligato a
tradire il testo, perché in Italiano ci sarebbe solo una vuota sinonimia. In Latino il ius secondo il
diritto romano arcaico è il diritto consuetudinario, anche religioso, ma non solo, ovvero l’insieme
delle norme codificate dalla tradizione non passate attraverso un processo di legiferazione, ma è
così da sempre, mentre la lex è la legge approvata attraverso un iter specifico, attraverso la
propositio da parte di un magistrato e l’approvazione da parte di un’assemblea pubblica (comitia
vuoi centuriata vuoi tributa). Da “ut igitur” in poi c’è un movimento ripetitivo che fa sì che l’intero
secondo periodo da molti è considerato una ridondanza, che può essere ciceroniana, oppure una
interpolazione, ma una interpolazione così vistosa è rara.
(158) Ritroviamo il tema venatorio relato invece alla supremazia dell’uomo che gli è data
dall’essere ratione utens.
“Cosa altro significano nei cani la difesa fedele dei padroni, la devozione piena d’amore per essi,
l’odio tanto grande verso gli estranei e la finezza del fiuto (sagacitas), tanto incredibile nella ricerca
di tracce, la prontezza nella caccia, se non che essi sono stati per l’utilità dell’uomo.”
Si focalizza sulla natura del cane da caccia in rapporto al suo essere per l’uomo. Non ci sono zone
d’ombra informative.
(160-161) L’animale è di nuovo sottomesso all’uomo per il suo essere ratione utens.
“Che dire del gusto delizioso dei vari pesci ed uccelli che ci dà tanto piacere da far sembrare talora
che la provvidenza sia stata la scuola degli epicurei.”
Humor di Cicerone ha una sfumatura tipicamente romana e italica, ovvero, ancora oggi, l’italum
acetum, deve sempre pizzicare, non è mai benevolo.
“Quegli ultimi (cioè gli uccelli) non si catturerebbero nemmeno senza l’abilità e l’astuzia umana,
sebbene siamo spinti a credere che taluni uccelli che i nostri auguri chiamano alites e oscines
siano fatti per predire il futuro. Inoltre grazie alla caccia catturiamo belve selvagge e feroci.
Uccellagione è il primo riferimento alla caccia. C’è poi un altro riferimento alla caccia, quello delle
belve selvagge e feroci.
“Affinché possiamo nutrircene ed esercitarci nella cacciagione, nel cacciare, come tirocinio alla
guerra e ce ne serviamo, dopo averle sottomesse e mansuefatte, come per esempio gli elefanti, e
cogliamo dai loro corpi molti rimedi per le nostre malattie e ferite, come da certe radici ed erbe, i
cui vantaggi abbiamo conosciuto in seguito all’uso e ad un’esperienza lunghi (?).”
Nota esegetica richiesta ancora una volta dai limiti del tradere: prima abbiamo apportato una
riduzione di un binomio ad una monade concettuale, qui invece abbiamo un vuoto nel lessico
italiano per quanto riguarda il lessico augurale. Gli augures erano dei sacerdoti di tradizione latina
che erano provvisti di facoltà divinatorie, cioè leggendo i segni dati dalla natura predicevano il
futuro. Al contrario degli aruspici raccoglievano auspici dal comportamento dei volatili, mentre gli
aruspici, di tradizione etrusca, leggevano i segni di altri elementi, come le viscere delle vittime
sacrificali o i monstra = fatti eccezionali, ad esempio la pioggia rossa, o in pieno giorno un gufo da
sinistra (> gufare, sinistro); alites = uccelli latori di presagi con il loro modo di volare; ocines =
uccelli che fornivano auguria con il loro canto (< os canere).
Analisi connotativa sintagmatica: analisi che ci porta in un altro regno logico, non più della materia
informativa del quid, ma del come, del quomodo, dello stile. Si può dire la stessa cosa, lo stesso
contenuto materiale, attraverso stili, forme diverse dal punto di vista della loro resa stilistica.
È un’analisi di tipo orizzontale (mentre quella paradigmatica è verticale): cogliere la loro
contaminazione, nel vedere come unità di pari livello si concatenino l’una all’altra nel costituire il
testo. È un saper leggere diverso rispetto a quello denotativo, bisogna individuare le giunture
all’interno di un testo: ci sono giunture tra macro-sequenza ( analisi di tipo macrosequenziale),
ma si può fare anche un’analisi di tipo sequenziale o microsequenziale e a questo livello c’è
l’analisi stilistica a vedere la relazione tra le parole e i sintagmi, nell’ambito delle figure retoriche,
dell’ornatus.
Il punto di partenza è la considerazione della natura del testo: testi diversi si rivelano strutturati in
maniera diversa in rapporto ai loro fini. Si analizzano diversamente il testo narrativo e il testo
argomentativo: il primo narra e descrive, il secondo deve convincere.
Con questo testo non si può usare la narratologia: sì, ci possono essere stralci narrativi all’interno
di un dialogo filosofico, ma l’asse fondamentale è completamente diverso. Per sezionare un testo
come questo bisogna fare capo alla retorica e alla dialettica (capitolo II dedicato alla dispositio,
utile però l’inventio da cui occorre ovviamente partire, del libro per il secondo semestre). Il primo
libro del professore si focalizza nel testo tout court, mentre l’altro è dedicato all’introduzione della
lettura, dell’ermeneutica, di un testo di tipo argomentativo, che ha leggi sue proprie, per le quali la
narratologia non serve.
Analisi sequenziale e una microsequenziale (159-161 che riguardano il mondo venatorio in modo
particolare, su cui ci soffermeremo nella terza parte, quella paradigmatica):
1. Ci farà da maestro Aristotele (Retorica III 13): “Due sono le parti del discorso” =
esordio rivoluzionario per un pubblico pervaso da studi di retorica, che
consideravano le cinque parti dell’orazione, dall’esordio alla conclusione,
inframmezzato da narratio, argumentatio e magari una descrizione centrale.
L’analisi sequenziale aristotelica è basata sulla prothesis = popositio e sulla pistis =
dimostrazione, che singolarmente non sussistono; la pistis è ricerca degli argomenti
retorici che sorreggano la tesi, sono i tibicines, i puntelli su cui poggiare la tesi. =>
Tesi, supporto tesi, confutazione dell’antitesi.
Prothesis (PR): paragrafo 154; è la prothesis del passo che noi analizzeremo, ma
anche dei capitoli successivi. La tesi enunciata da Cicerone: “omnia quae sint in
hoc mundo…parata”;
Pistis: è articolata in argomenti (PI1, PI2, PI3). Quali prove dal punto di vista
tipologico utilizza per supportare la testi pronunciata? Si tratta di signa = secondo la
dialettica e la retorica antica i signa sono un tipo di prove razionali tecniche, ovvero:
la copertina del libro è un mosaico della Vaticana che rappresenta la Retorica come
una splendida donna armata che vuole “animos impellere o movère” fare leva
sulla nostra componente irrazionale, emotiva, ma nello stesso tempo tenta di
convincerti anche ricorrendo alle armi della logica, al percorso razionale => due tipi
diversi di prova: servono ad animos impellere delle prove irrazionali, psicologiche, il
pathos e l’ethos aristotelici, mentre le prove razionali sono quelle che fanno appello
al nostro intelletto e ad un iter razionale. I signa sono delle prove razionali, quindi
non psicologiche. Le prove azionali sono divise in tecniche (o artificiales) o extra-
tecniche (o inartificiales). Le prime derivano dalla competenza professionale o
dall’ars (abilità dell’oratore) e si dividono in: exempla, argumenta (argomenti
probatori) e infine i signa (cioè le prove di fatto), che evidenziano le prove di fatto
pro o contro una determinata tesi (il signum infatti è caratterizzato dalla polisemia,
anche se ci sono dei signa incontrovertibili). Tutte le prove che seguono nella pistis
sono signa, sono prove di fatto, che Cicerone interpreta a favore della tesi che ha
enunciato. Questi signa sono raccolti in sequenze per un criterio di tipo locativo,
cioè per ambiti spaziali:
155: PI1: unico signum: il cielo, gli astri, sono stati fatti per gli uomini;
156-158 (in parte): PI2: interpreta fenomeni della vita vegetale, terrestre dunque, a
supporto della tesi predetta;
158 (da “tamtumque abest”): PI3: interpreta fenomeni di vita animale a supporto
della tesi.
Nel paragrafo 162 non riportato Cicerone continua giungendo a parlare del regno
katactonio, sotterraneo, dimostrando che anche le viscere della terra con i loro
minerali sono “hominum facta est”.
Per ora non si sono emessi giudizi estetici, “mi piace / non mi piace”.
Abbiamo utilizzato unità di pari dignità: prothesis e pisits.
2. Veniamo ora ad analizzare attraverso unità di diverso tipo, microsequenze.
158-161: utilizziamo ancora gli strumenti della retorica classica e antica in modo
particolare.
PI3: “tamtumque abest…videamus”: introduzione alla seconda parte della nostra
pistis, un’introduzione che si lascia segmentare in due parti tra di loro
complementari: la retorica parla di una argumentatio divisa in refutatio e
confirmatio: la refutatio consiste nella confutazione della parte avversa
(“tamtunque…sint” = non è affatto vero che queste cose, cioè i frutti della terra,
siano stati predisposti per il bene degli animali), è la pars destruens; la confirmatio è
la pars construens, è la affermazione, non la confermazione (“al punto che noi
vediamo, ed è un vedere che è una comprensione frutto di un’osservazione, che le
stesse bestie, gli animali in sé, sono stati generati per il bene degli uomini”). La
trattazione successiva consiste in una sequenza di quei signa: le pecore (la pecora
dal punto di vista fisiologico, comportamentale, è uno stupido animale che ha come
unico scopo quello di vestire l’uomo e che non potrebbe nemmeno sopravvivere
senza l’uomo), cane, buoi, asini e muli, maiale (che avrebbe un’anima), pesci,
animali selvaggi con un riferimento alla caccia.
Solo ora abbiamo raggiunto tramite la struttura l’argomento che vogliamo
analizzare, ovvero il carattere venatorio della produzione filosofica, che
analizzeremo dal punto di vista connotativo-paradigmatico.
Analisi connotativo-paradigmatica: non mi interessa più cosa sta prima o dopo, ma cosa sta sopra
o sotto il testo, è un’analisi verticale, è cogliere la presenza in quel testo di altri che gli stanno sotto
più o meno riconoscibili, e la stessa cosa succederà in maniera maggiore o minore a seconda
della fortuna che gli capiterà, diventando ipotesto di una produzione successiva o contemporanea.
Con una categoria molto avvincente è illustrata dall’opera di Gerard Jenette, “Palimpsest”, che
parla di transtestualità per definire l’ambito tipo dell’analisi paradigmatica: l’insieme dei rapporti tra
testo e terso che trascende il testo, che fa sì che si debba misurare con ciò che lo ha prodotto e lo
proietta verso al futuro per essere fagocitato da altri fruitori e speso.
3/11/16
Riassunto ottica metodologica dell’analisi paradigmatica di un testo: analisi in verticale; l’analisi
sintagmatica si occupa di cogliere ciò che sta a fianco, a pari unità gerarchica, mentre quella
paradigmatica si occupa di cogliere ciò che sta sopra o sotto un determinato segmento del testo,
ciò che fa ì che esso sia o ciò che ne deriva; tre tipi emergenti di transtestualità (Gerard Jenettes
“Palinsesti”: prescrive cinque macrotipi, di cui noi consideriamo due): l’intertestualità, l’ipertestualità
e (quella affidata ai) legami tematici (non è una categoria jenettiana). Nell’esame chiede esempi
concreti di questo tipo (es. nella fuga di Enea da Troia emerge il mito di Orfeo ed Euridice).
2 affondi nell’ambito dell’analisi connotativo-paradigmatica (NB La prospettiva è tendenzialmente
infinita del Nachleben = ciò che vive dietro, oltre).
Porfirio (filosofo neoplatonico greco, ma di origine fenicia, allievo diretto di Plotino e
vissuto nel III secolo d.C.): tra le altre opere che ci sono giunte è qui antologizzato
un passaggio del De abstinentia animalium (o De abstinentia ab esu animalium) in
quattro libri, opera in cui riporta il rifiuto a cibarsi della carne di animali e alla
conseguente violenza inferta loro: “Ma credibile è per Zeus…godimenti”
Anche Porfirio si abbevera a Crisippo;
Crisippo (filosofo stoico): all’interno della sezione sugli animali c’è un segmento sui
singoli animali: (160) “Che cosa altro offre il maiale se non carne alimentare per
l’uomo? E perché non imputridisse Crisippo afferma che gli sia stato concesso che
il sale lo conservasse come vivo (animam ipsam pro sale datam).”
Paragone tra sale – carne del maiale e anima – corpo umano: il sale concede al
maiale uno spezzone di eternità, esattamente come l’anima razionale concede
all’essere umano di continuare a vivere dopo morto.
“Inoltre poiché serviva nutrire gli animali la natura non ha creato nulla di più fecondo
di questa bestia”
Citando Crisippo, Cicerone ci permette di scoprire cosa ci sia sotto il suo testo.
Qui abbiamo a che fare con un episodio di intertestualità e in particolare di quel tipo
di intertestualità che definiremmo citazione riassuntiva di un’opera non citata di
Crisippo di Soli (che insieme a Zenone e a Cliante compone la triade della Prima
Stoà o Stoà Antica), che si dice che scrisse 700 opere, ma ci sono giunti solo
frammenti per tradizione indiretta, come in questo caso; ultimamente però qualcosa
di tradizione diretta sta riaffiorando grazie alle scoperte papirologiche della Villa dei
Pisoni o Villa dei Papiri di Ercolano, una famosa villa del clan gentilizio romano dei
Pisoni che era sede di un cenacolo epicureo e che aveva nella propria biblioteca
che aveva al proprio interno un ingente quantitativo di opere filosofiche greche e
latine non solo epicuree: da lì sono emerse alcuni frammenti di opere come del De
providentia in cui questa testimonianza si collocherebbe benissimo. La citazione è
un riuso di una fonte che abbia anzitutto carattere esplicito: chi cita mantiene
l’alterità del testo citato in qualche modo, anzitutto enunciando la provenienza
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Marti3003 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura latina II e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Cattolica del Sacro Cuore - Milano Unicatt o del prof Rivoltella Massimo.
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