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LA GUERRA DEL VIETNAM
I protagonisti della guerra del Vietnam sono il Viet Minh (partito comunista del Vietnam) e il regime di
Saigon nel Vietnam del Sud. Il Viet Minh aveva avviato una guerra di liberazione che aveva portato alla
vittoria con gli accordi di Ginevra, essi sanciscono la divisione tre Vietnam del Nord con a capo il Viet Minh
e il Vietnam del Sud in cui c’è un governo filo-occidentale sostenuto dagli Stati Uniti. Il Vietnam del Nord ha
una leadership cattolica, espressione di una piccola minoranza e di una classe sociale separata dalle masse
popolari. I francesi hanno cercato di perpetuare la loro presenza attraverso loro, ma non aveva funzionato.
Diem riesce a guadagnare un ruolo superiore rispetto a Bao Dai grazie agli americani. Il regime di Diem è
autoritario e antidemocratico. A nord c’è un regime comunista. Contro questo sistema tra il 1954 e i 1959 i
regimi lavorano al proprio consolidamento interno ma poi inizia l’attività del Viet Minh che nel 1960 avvia
una campagna per la riunificazione del Vietnam sotto il proprio controllo con il rovesciamento del regime di
Saigon. Questo passa attraverso l’attività militare ma anche attraverso la creazione del Fronte di Liberazione
Nazionale presente a sud. Entrambi godono di assistenza cinese. Da parte statunitense con Kennedy la
preoccupazione arriva dal Laos perché li non c’era una forte presenza occidentale. Dal 1960 il Viet Minh
opera costantemente per arrivare alla caduta del regime di Saigon. Si tratta di operazioni di guerriglia
portate vicino ai centri del potere dello stato del sud. Il momento di svolta arriva nel gennaio 1968 con
l’offensiva del Tet, quando con un’operazione che colpisce in molti punti contemporaneamente, si tenta
un’insurrezione generale per far crollare il regime. Questo non avviene, infatti militarmente l’offensiva è un
fallimento, ma politicamente è un successo perché dimostra che gli USA non sono ancora riusciti ad
espellere i nemici e ad avere il controllo nella propria parte del Vietnam. Dopo l’offensiva Johnson rinuncia
a candidarsi alle elezioni prendendo atto del fallimento della sua strategia militare e gli americani si
convincono quindi che la guerra non può essere vinta e che devono cercare una via d’uscita dal conflitto
negoziando. Il disimpegno americano arriverà solo nel 1973, e due anni dopo avverrà la caduta di Saigon e
la riunificazione del paese. Gli americani cercano di rispondere alla sfida politica della guerra del Vietnam,
l’idea è che ogni conflitto non valga per se stesso ma vale perché la sua caduta potrebbe innescare un
meccanismo di rivoluzioni (effetto domino). In Vietnam quindi non si poteva perdere per questo motivo, la
sconfitta avrebbe infatti provocato la caduta del Laos, Cambogia e altri stati. L’amministrazione Kennedy
affronta la crisi del Vietnam con gli strumenti della teoria della modernizzazione: per affrontare il comunismo
del sud est asiatico si deve favorire lo sviluppo economico attraverso investimenti che permettano la
crescita economica e la democratizzazione del sistema e che disinnescheranno la minaccia del comunismo.
In Vietnam del sud si avvia questa politica di investimenti e di democratizzazione del regime. Uno dei
problemi è che la volontà degli USA per lavorare alla trasformazione dei regimi va contro la resistenza delle
elites beneficiare di quel regime e che non sono disposte a cedere su nulla. Questo è quello che cercherà di
fare il regime sud vietnamita. Nel 1973, al fallimento della strategia americana, si decide di favorire un
colpo di stato che porterà all’assassinio di Diem. In realtà non si riesce a sostituirlo con un’elites efficiente
per contrastare il comunismo o che sia disponibile alla democratizzazione e allo sviluppo economico.
Johnson e Nixon dovranno gestire una situazione che si stava deteriorando. Gli americani continueranno a
mandare forze armate (escalation militare) impegnandosi sempre di più dal punto di vista militare. Johnson
ha manipolato il congresso nel 1964 con la risoluzione del golfo del Tonchino, ovvero uno stratagemma con
cui l’amministrazione consapevolmente fa intendere al congresso che le forze americane sono state
attaccate dalle forze del nord nel golfo del Tonchino per convincere il congresso ad autorizzare il presidente
ad allargare le operazioni militari al territorio del Vietnam del Nord. Con questa soluzione si accelera quindi
il conflitto. Si capisce però che il conflitto non si poteva allargare al di la del Vietnam del Nord a causa della
presenza della Cina, non si poteva internazionalizzare il conflitto e gli USA si trovano incatenati in questa
guerra che blocca il processo di distensione. Finche la guerra non è chiusa gli americani non possono
davanti all’opinione pubblica negoziare con l’URSS accordi di distensione, perché l’URSS era considerato il
responsabile della guerra del Vietnam.
LA GRANDE DISTENSIONE
La guerra del Vietnam ha ripercussioni sulla società americana e sulla qualità della leadership americana sul
blocco occidentale. Prima della guerra del Vietnam non c’era l’idea che gli Stati Uniti non disponessero di
una potenza militare, economica, politica e culturale efficiente, nessuno dubitava che questa super potenza
non fosse realmente tale. I rapporti di forza tra i due modelli (occidentale e comunista) era stato sempre a
vantaggio degli USA. Questo paese dominava a livello globale, l’URSS tentava la sfida a questa egemonia.
Tutto questo dura fino alla guerra del Vietnam, che ha significato non per gli equilibri geopolitici (gli USA
perdono solo un piccolo alleato della penisola indocinese) ma per la perdita da parte degli Stati Uniti del
loro ruolo di super potenza e del modello assoluto di democrazia. Gli ambienti più nazionalisti criticavano il
modello individualista americano ma complessivamente il ruolo degli USA sembrava inattaccabile, meritato
e unicamente giustificato. Gli americani non riescono a vincere la guerra del Vietnam nonostante la quantità
di risorse utilizzate. Questo per la credibilità di una leadership globale non è accettabile. Le difficoltà della
guerra producono conseguenze importanti perché Johnson si era dato il compito di attuare la
trasformazione interna alla società americana prevista già da Kennedy. L’amministrazione Johnson aveva
questo come obiettivo centrale della presidenza. Aveva il progetto della Great Society, che doveva,
superata la fase conservatrice di Eisenhower, costruire uno stato sociale con un sistema di sicurezze e
garanzie (aveva in mente anche il problema della discriminazione razziale). La società americana aveva
bisogno di trasformarsi per ragioni di coerenza con i principi del partito democratico e quelli che predicava
a livello internazionale ma anche per affrontare le crisi economiche. L’economia americana risente della
competizione europea e poi di quella giapponese. Johnson non ha un marcato profilo internazionale ma è
importante sul piano interno. Il suo programma non riesce ad essere attuato a causa della mancanza delle
risorse che erano state impiegate nella guerra del Vietnam. Sul piano interno si deve quindi affrontare la
contestazione degli ambienti afro-americani e della nuova generazione di giovani universitari. Questa
combinazione di fattori rende la società molto esigente rispetto a quello che lo stato ha promesso di dare.
In cambio viene data la possibilità di andare a combattere in Vietnam, ma questo non viene gradito. C’è
inoltre la crisi dell’immagine internazionale degli USA e della loro credibilità come alleati. La guerra del
Vietnam fa indebolire gli Stati Uniti sul piano esterno e interno, soprattutto in termini di credibilità
economica e di modello sociale e culturale e quindi concorre a motivare gli USA alla ricerca della
distensione.
L’amministrazione Nixon prende poi la decisione della “vietnamizzazione”, ovvero il programma di mettere
fine alla guerra del Vietnam in una posizione forte e credibile. Voleva far credere che i risultati fossero stati
raggiunti in modo da giustificare l’uscita dal conflitto e lasciare gli accordi al Vietnam del Nord e del Sud.
Per conquistare questa posizione si voleva convincere i sud vietnamiti a combattere la guerra senza gli
americani. Il conflitto viene poi ampliato per cercare di infliggere sconfitte al Vietnam del Nord in modo da
riuscire a uscire dalla guerra, si coinvolgono Laos e Cambogia. Dietro alla distensione c’è quindi questa
esperienza di debolezza e difficoltà.
La distensione è il processo in cui l’USA e l’URSS avviano con difficoltà e lentezza un dialogo che privilegia
l’ambito dei negoziati nucleari. E’ in realtà un processo politico complessivo che mira a ridimensionare e
controllare lo scontro politico considerato inevitabile. Sulla base dell’equilibrio del terrore e della presa
d’atto del fatto che ci sono dei terreni comuni si va alla ricerca di un negoziato che metta la competizione in
una fase di stallo. La distensione non elimina la differenza tra i regimi ma stabilisce che si può coesistere e
collaborare per il bene collettivo dell’umanità. E’ una forma di riconoscimento reciproco, idea che non era
mai esistita.
Ci sono obiettivi strutturali: gli Stati Uniti vogliono stabilizzare il conflitto per rilanciare su basi più realistiche
la leadership globale e riguadagnare libertà d’azione. Negli anni della guerra del Vietnam gli USA si erano
ritrovati a fare cose che non avevano interesse a fare. Nixon promuove la dottrina Nixon, la quale afferma
che in Medio Oriente non aveva senso sostenere tutti quei paesi che chiedevano l’alleanza, agli USA
bastava l’alleanza con Israele. Volevano quindi ridimensionare gli impegni perché non riuscivano a
mantenerli tutti, non avevano più risorse per mantenere un impero troppo esteso.
L’obiettivo strutturale dell’URSS è quello di ottenere dagli USA il riconoscimento di una parità strategica per
proseguire la sfida globale riducendo i rischi e guadagnando tempo. L’URSS è infatti ancora convinta che il
destino sia la vittoria del socialismo. L’URSS vuole essere legittimata come un interlocutore pari agli USA e
voleva ottenere scambi tecnologici con l’occidente.
Non c’è un messa da parte della conflittualità. Dietro questi obiettivi strutturali ci sono questioni concrete.
In primo luogo ci sono i costi della corsa agli armamenti che sta provocando difficoltà interne. Nel 1971 la
situazione economica è cosi compromessa che gli USA mettono fine al sistema di Bretton Woods e quindi
alla centralità del dollaro come moneta più importante. Anche l’URSS ha problemi di questo tipo perché la
leadership di Breznev mirava a una normalizzazione del potere ma per fare questo doveva rius