LA PRIMAVERA DI PRAGA
Verso la metà degli anni Sessanta all’interno del partito comunista cecoslovacco cominciarono a manifestarsi
tendenze riformatrici che sottolineavano l’esigenza di una via nazionale al comunismo e la necessità di affermare un
socialismo dal volto umano, il quale potesse consentire forme di dibattito democratico e che trovasse una
legittimazione nel consenso popolare. Questa tendenza fu nota proprio come la “primavera di Praga”, a capo della
quale vi fu Alexander Dubcek che, nel 1968, divenne anche segretario del partito comunista cecoslovacco.
Quest’ultimo inaugurò una serie di riforme che prevedevano alcune misure di liberalizzazione nell’economia e anche
una certa libertà di discussione, non solo all’interno del partito ma anche nella società.
tuttavia, questo movimento suscitò la preoccupazione sia dell’Unione Sovietica che della democrazia popolare
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tedesca e quella polacca, poiché si temeva che esso potesse estendersi anche in altri paesi del blocco sovietico.
Questa tensione portò, nell’estate del 1968, all’invasione del territorio cecoslovacco da parte delle truppe sovietiche e
di altri paesi del patto di Varsavia. In seguito a ciò, Dubcek e altri esponenti liberali vennero trasferiti a Mosca, dove
furono costretti ad accettare le condizioni dei leader sovietici. Infatti, sebbene non venne subito allontanato dal
partito, Dubcek venne sostituito da Gustav Husak, il quale diede avvio a una dura repressione degli elementi
riformatori; inoltre, vi fu l’imposizione di un regime che, per alcune caratteristiche, sembrò replicare lo stalinismo.
Inoltre, in seguito alla primavera di Praga, venne introdotta la cosiddetta dottrina Breznev, la quale prevedeva la
possibilità da parte dell’Unione Sovietica di intervenire negli affari interni dei suoi paesi satelliti
bisogna sottolineare che, in realtà, non tutti i paesi del Patto di Varsavia avevano preso parte all’invasione della
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Cecoslovacchia:
- la Romania di Nicolae Ceauçescu aveva cominciato ad assumere un atteggiamento indipendente da Mosca, il quale
avrebbe portato il governo di Bucarest a restare fuori dalla repressione praghese e a instaurare dei rapporti di
collaborazione economica con l’Occidente.
- la Polonia, in seguito a uno sciopero attuato dai lavoratori dei cantiere navali di Danzica, Gomulka venne sostituito
da Edward Gierek, il quale si impegnò nell’attuare una serie di riforme economiche per migliorare le condizioni di
vita dei polacchi.
- anche l’Unione Sovietica sembrò dimostrare alcuni segnali di sofferenza, soprattutto provocati dall’opposizione, i
cui membri vennero processati e/o condannati al carcere o all’internamento. Ciò nonostante, essa si proiettava verso
l’esterno come una superpotenza solida e con un ruolo di primo rango.
CAPITOLO 7
GLI ANNI ‘70
Quando parliamo di anni ‘70 ci riferiamo a quel periodo che va dal 1968 al 1980, decennio che venne considerato da
uno studioso francese come “le origini della nostra modernità”. In modo particolare, quando parliamo di Sessantotto
ci riferiamo a un fenomeno che ebbe una forte connotazione internazionale, soprattutto dal punto di vista sociale.
Infatti, si assistette all’imporsi di una generazione giovanile che, oltre a criticare le varie forme del potere, contestava
anche l’insofferenza nei confronti del capitalismo e si oppose alla guerra del Vietnam.
Inoltre, a partire dai primi anni Settanta, le società occidentali e quelle del blocco comunista introdussero
progressivamente valori e comportamenti che fino a qualche anno prima sarebbero stati considerati impensabili. Di
conseguenza, i vari gruppi dirigenti dovettero adeguare le proprie scelte politiche a queste trasformazioni, tra le quali
ricordiamo ad esempio: la forte sensibilità nei confronti dell’ambiente e dell’ecologia e il ruolo conquistato dalle
donne. Naturalmente, tutti questi cambiamenti non poterono non avere riflessi anche nelle relazioni internazionali e
nelle politiche estere delle maggiori potenze, soprattutto se si considerano fenomeni quali l’antiamericanismo,
l’anticapitalismo, l’opposizione alle multinazionali.
Un altro aspetto che caratterizzò questi anni fu senza dubbio l’evoluzione dei mezzi di comunicazione in Occidente,
tra cui ad esempio la televisione, la quale fu in grado di influenzare talmente tanto l’opinione pubblica che la
mancanza di una copertura mediatica per alcuni conflitti avrebbe determinato il disinteresse delle leadership politiche.
Una grande rilevanza venne acquisita anche dalla stampa internazionale, nella quale i leader politici e militari, nonché
gli apparati democratici, divennero i principali bersagli di critiche quotidiane.
Infine, la distensione aveva comportato una serie di scambi culturali e il turismo, con i quali i modi e le mode
dell’Occidente cominciarono a penetrare fra le giovani generazioni delle nazioni dell’Europa centrale e orientale e
persino nell’Unione Sovietica.
la crisi del capitalismo:
Sul finire degli anni Sessanta e gli inizi degli anni Settanta l’economia occidentale cominciò a registrare una prima
fase di rallentamento, determinata dalla crescente debolezza dell’economia americana. Infatti, nel 1971 si verificò un
primo shock che colpì il sistema capitalistico, causato dalla decisione da parte del presidente statunitense Nixon di
interrompere la convertibilità tra il dollaro e l’oro. Significativo fu anche lo shock petrolifero verificatosi nell’inverno
del 1973-1974 in seguito alla guerra del Kippur.
Dunque, a causa di questi avvenimenti, si iniziò a diffondere la convinzione che il sistema capitalistico stesse
entrando in una fase di decadenza quasi inarrestabile; convinzione che, a dispetto della preoccupazione delle
leadership occidentali, sembrò confortare le nazioni del Terzo mondo, poiché vedevano in questa crisi un’opportunità
per uscira dalla condizione di dipendenza economica e di imporre un nuovo ordine economico internazionale.
ciò sarebbe stato consentito dal fatto che, le nazioni in via di sviluppo, erano in possesso di alcune materie prime,
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tra cui il petrolio, senza le quali le nazioni industrializzate avrebbero visto il blocco del proprio sistema economico.
Inoltre, verso la fine del decennio iniziò a emergere la fede nel “libero mercato”, svolta che sarebbe stata confermata
dalla contemporanea decadenza dell’economia di stampo sovietico e dal diffondersi di innovazioni tecnologiche che
avrebbero rivoluzionato il sistema economico su scala mondiale.
nuovi leader e scenari politici:
La potenza degli Stati Uniti e il suo ruolo mondiale iniziò ad essere messa in discussione a partire dal 1973-1974, in
seguito allo scandalo di Watergate e le dimissioni di Nixon, al cui quadro si aggiunse anche una crisi economica. La
crisi americana, quasi naturalmente, ebbe delle ripercussioni sull’Europa occidentale dove, da un punto di vista
politico, vi fu uno spostamento degli equilibri politici verso sinistra (= in Italia, per esempio, il partito comunista
capeggiato da Enrico Berlinguer sembrò essere sul punto di divenire partito di governo). Inoltre, verso la metà degli
anni Settanta, crollarono anche gli ultimi regimi autoritari presenti in Europa occidentale, tra cui quelli di Portogallo,
Grecia e Spagna.
D’altra parte, sebbene in apparenza l’Unione Sovietica mostrasse un’immagine di solidità, nei paesi europei del
blocco comunista e in quasi tutti i paesi del patto di Varsavia iniziarono a verificarsi segnali di insofferenza, nonché
un intensificarsi della repressione, alla quale si unirono anche alcuni tentativi di riforma economica. Inoltre, nel Terzo
mondo, iniziarono ad affermarsi movimenti radicali d’impronta antioccidentale.
Infine, nel corso degli anni Settanta si verificarono due fenomeni che avrebbero caratterizzato la dimensione politica
e quella delle relazioni internazionali. Il primo fu l’affermarsi del terrorismo come strumento di azione politica e, a
tal senso, tipica fu l’azione dei gruppi palestinesi. Il secondo fenomeno, invece, su quello religioso: infatti, a discapito
della realtà occidentale e di quella sovietica che sembravano poter fare a meno della religione, alcuni settori del
mondo (= tra cui soprattutto i paesi islamici) ritenevano che il fattore religioso potesse avere delle importanti ricadute
di natura politica.
HENRY KISSINGER
La sua figura fu fortemente collegata al fenomeno della distensione e, inoltre, la politica estera americana dei primi
anni Settanta fu fortemente influenzata dalle sue iniziative. In particolar modo, la visione del sistema internazionale
per Kissinger era caratterizzata da alcuni punti fondamentali:
- equilibrio, ritenuto come l’obiettivo fondamentale per gli interessi della superpotenza statunitense;
- visione pessimista degli Stati Uniti, che lo condussero a pensare che per Washington sarebbe stato impossibile
ricoprire quella posizione di predominio che aveva sperimentato negli anni Quarante e Cinquanta, sia a causa del
ridimensionamento del ruolo economico, sia per via del rafforzamento dell’Unione Sovietica;
- approccio realista, che lo spinse a lasciare da parte gli aspetti ideali che avevano caratterizzato fino a quel
momento sia le amministrazioni democratiche che quelle repubblicane.
Dunque, da queste premesse, nacque l’ipotesi di un sistema internazionale tendenzialmente bipolare, fondato su un
accordo di fondo tra Stati Uniti e Unione Sovietica che favorisse una condizione stabile di equilibrio. Questa strategia
sarebbe stata possibile solo se si sarebbe riconosciuta l’URSS come superpotenza, se si fossero accantonate le
contrapposizione ideologiche di comunismo e capitalismo e si fosse ricorso allo strumento negoziale per risolvere le
crisi regionali. In realtà, nel corso della sua carriera come artefice della politica estera statunitense, Kissinger elaborò
un sistema tripolare che vedeva il coinvolgimento anche della Repubblica popolare cinese e, dal punto di vista
economico, studiò un sistema pentapolare che comprendesse la Comunità Europea e il Giappone.
SOLUZIONE CRISI INDOCINESE
L’amministrazione Nixon, nei meriti della guerra del Vietnam, non appena venne eletto presidente aveva punto a una
“vietnamizzazione” del conflitto, con l’obiettivo di evitare la sconfitta da parte degli Stati Uniti e di consentire al
governo di Saigon di sopravvivere e fronteggia autonomamente la minaccia comunista. D’altra parte, lo scopo della
leadership nordvietnamita continuava a essere la riunificazione del paese e, in questo senso, costanti erano le
pressioni che le forze del Vietnam del nord e i Viet Cong continuavano a esercitare nel sud del paese, ossia a Saigon.
Davanti a questa situazione, il duo Nixon-Kissinger convennero sul fatto che lo strumento mili
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