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GOZZANO
Il senso della vecchiezza, del passare del tempo, del disfacimento della persona, è presente sia in Leopardi che in Gozzano.
23 luglio del 1827, pagina 4287 dello Zibaldone:
“Passati i venticinque anni, ogni uomo è conscio a sé stesso di una sventura amarissima: della decadenza del suo corpo ... e della
perdita irrecuperabile della sua cara gioventù.
Entrambi hanno una “data” di decadenza: i 25 anni.
Gozzano apre il libro dei Colloqui con una poesia fondamentale, (Colloqui 1), la quale è la chiave di interpretazione dell'intera opera,
con un distico che sembrerebbe preso da un altro poeta; in effetti a livello contenutistico è ripreso da Giacomo Leopardi: “reduce
dall'Amore e dalla Morte, gli hanno mentito le due cose belle.”. In realtà è un gioco perché è un’autocitazione.
Gozzano apre il libro dei Colloqui con:
Venticinqu'anni!... Sono vecchio, sono vecchio! Passò la giovinezza prima, il dono mi lasciò dell'abbandono!
È evidente che entrambi preferiscono la morte al disfacimento. In Leopardi la condizione di indifferenza era fuori da sé stesso, qui
invece Gozzano ha una cultura diversa, è lui l’altro da sé.
La condizione (che Mirko chiama) del “capolinea”, come per Leopardi era stato il Ciclo di Aspasia, viene ristrutturata in Gozzano con:
“non vivo, solo, gelido, in disparte, sorrido [miro e sorrido] e guardo vivere me stesso”.
Nella “Via del rifugio” abbiamo due possibili strade di amori. Nei Colloqui ci sono solo (quasi) poesie d’amore di donna speranza, non
riferite ad Amalia Gulglielminetti poiché la conosce dopo, ma ad un’altra amica. Vi è una forte presenza del dialogo, e un
abbassamento della poesia a prosa.
Una donna abbraccia l’altra e lui le compara. C’è un passo di L. dove egli parla della freschezza di una diciottenne, cosa che qui fa
anche Gozzano. C’è un momento unico, infinitesimale, in cui si vede lo sfiorire di una donna “troppo bella ora e non più bella tra
poco”. = sfacelo dell’amica rispetto alla giovane.
Contemporanea all’influenza leopardiana, in Gozzano vi è anche quella dei futuristi (la macchina e la ruota).
UNDICESIMA LEZIONE: 06/04/2016
44264427 dello Zibaldone, a proposito di quella che è la poetica fondamentale leopardiana. Riguardano la rimembranza, il ricordo, il
vago, l’indefinito.
Un oggetto qualunque, p.e. un luogo, un sito, una campagna, per bella che sia, se non desta alcuna rimembranza, non è poetica
punto a vederla. La medesima, ed anche un sito, un oggetto qualunque, affatto impoetico in se, sarà poetichissimo a rimembrarlo.
La rimembranza è essenziale e principale nel sentimento poetico, non per altro, se non perchè il presente, qual ch'egli sia, non può
esser poetico; e il poetico, in uno o in altro modo, si trova sempre consistere nel lontano, nell'indefinito, nel vago.
Avevamo conosciuto nell’età più giovanile nei piccoli idilli la dimensione del vago e indefinito, che si confonde con l’infinito. Qui
rafforza quel ricordo e rimembranza, fondamentale anche nella teoria del piacere. (ci ricordiamo la dolcezza del sentimento di
speranza e desiderio).
Nella pagina 4427, siamo nel ‘29
[4427] Alla p. preced. Il piacere che ci danno un certo stile semplice e naturale (come l'omerico), le immagini fanciullesche, e quindi
popolari, circa i fenomeni, la cosmografia ec.; in somma il piacere che ci dà la poesia, dico la poesia antica e d'immagini; tra le sue
cagioni, ha per una delle principali, se non la principale assolutamente, la rimembranza confusa della nostra fanciullezza che ci è
destata da tal poesia. La qual rimembranza è, fra tutte, la più grata e la più poetica; e ciò, principalmente forse, perchè essa è più
rimembranza che le altre, cioè a dire, perchè è la più lontana e più vaga.
Lui vede la poesia moderna come una poesia di pensiero e non di immaginazione. Siamo in pieno 1829, e sta scrivendo “le
ricordanze”. Quanto più è lontano e più vago, tanto più è poetico.
Amore e morte
Nel 1832, esattamente nell’epistolario di Leopardi, Fanny e Leopardi si conoscono da un anno, sta pensando al canto amore e morte
e le scrive: cara Fanny, vi scrivo non per domandarvi di notizie, ma ringraziarvi della mia lettera, ecc.
Nel gioco della Fanny e di Giacomo, si inserisce l’amico Antonio Ranieri fino alla morte del ’37, e poi sarà il curatore fino al ’35 e poi
pubblicherà parte delle opere complete. È uno strano triangolo, perché la Fanny faceva entrare Leopardi perché era interessato ad
averlo nel suo salotto per motivi poetici, ma lei aveva una relazione clandestina con Antonio, che era un gigolò. Ranieri, è sempre a
Bologna, perché è scappato con una attrice. Nella lettera insiste sui due sentimenti forti di amore e morte. “l’amore e la morte solo le
sole cose e belle che ha il mondo” (versi 99100 del Consalvo e l’intero canto di “Amore e morte”). Giacomo fa un po’ da intruso tra
Antonio e Fanny.
In aggiunta, nell’agosto del ’32 scrive anche a Paolina. Già nel settembre del ’27 Leopardi aveva conosciuto per la prima volta
Stendhal a Firenze, e in quella presentazione si incontrano anche con Manzoni, che era andato a presentare i Promessi Sposi (nel
’27 escono i Promessi sposi e le Operette morali). Nel ’32 rivede di nuovo Stendhal a Firenze, che era stato nominato ambasciatore
di Francia a Civitavecchia.
Nella lettera, si lamenta inizialmente del gran caldo di Firenze, e dei dolori agli occhi. Dice “ho riveduto il tuo Stendhal”, perché
Paolina era grande lettrice e sostenitrice. La venuta del morbo in Italia: si riferisce al colera. La lettera è per sottolineare la
conoscenza con Stendhal, sebbene nessuno dei due conoscesse gli scritti dell’altro.
Legge il canto
La morte non viene chiesta come sentimento di suicidio, ma come qualcosa che possa azzerare questo sentimento forte, questo
pensiero amoroso che è un pensiero dominante.
“bellissima fanciulla”: cambia quella che era nell’iconografia italiana quella che era la morte, che era una donna orribile, la falce;
mentre qui è una bellissima ragazze, così come la “donna vestita di nulla” di Gozzano.
Aveva accennato alla Tozzetti, dicendo che amore e morte sono due sentimenti che vanno insieme. L’amore vero, possente. “il suo
pensier figura”: significa creare nella propria fantasia una finzione dell’io che non corrisponde con la realtà esterna.
La morte non è l’infelicità, la morte avviene perché l’affannoso amante non ce la fa più, perché questa passione stanca.
Quante volte le notti non riesce a dormire; anche gli essere più ignoranti (il contadino o la donzelletta timidetta e schiva) nella loro
passione amorosa, comprendono la gentilezza del morire.
“Ai fervidi, ai felici, agli animosi ingegni” guardare il pensiero 82, soltanto chi non ha provato la passione d’amore non diventa grande,
maturo.
Noi lo sappiamo che Leopardi ha invocato la morte laddove si sentiva infelice. Invoca, siamo dentro al sentimento amoroso, siamo
ancora nella grande passione e cristallizzazione per Fanny, di quella Fanny che si è creato e immaginato; e siccome il sentimento è
così forte, invoca la morte.
C’è un Giacomo Leopardi forte, eroico, titanico, che essendo un animoso ingegno, va incontro alla morte.
“Ogni vana speranza e ogni conforto stolto” sono le illusioni e in effetti l’inganno estremo sono le illusioni, dolci e care, ma comunque
degli errori, vane speranze e conforti stolti. Siamo ancora dentro alla follia e alla fantasia amorosa di Leopardi, ma con quel
sentimento del vano.
Guido Gozzano non ha questa forte, ma ha una forza ironica. Leopardi userà una grande forza nel Tristano, ma entra un supporto
ironico, che è la base di Gozzano, che è ironico e autoironico.
A sé stesso
Siamo nel 1833. Giacomo Leopardi ha un’idea diversa della natura, che nella prima fase era indifferente alle sorti dell’umanità, ma
almeno aveva dato all’uomo lo strumento delle illusioni. Man mano che va avanti, ora nel ’33, Leopardi ormai vede, e supera il
Dialogo della Natura e di un Islandese, arrivando ad una natura che ha invece programmato tutto contro di noi, è una natura
matrigna. Scrive un abbozzo di un inno, in cui paragona la natura al Dio persiano del male.
AD ARIMANE
Re delle cose, autor del mondo, arcana
malvagità, sommo potere e somma
intelligenza, eterno
dator de' mali e reggitor del moto,
io non so se questo ti faccia felice, ma mira e godi ec. contemplando eternam. ec.
Produzione e distruzione ec. per uccidere partorisce ec. sistema del mondo, tutto patimen. Natura è come un bambino che disfa
subito il fatto. Vecchiezza. Noia o passioni piene di dolore e disperazioni: amore.
I selvaggi e le tribù primitive, sotto diverse forme, non riconoscono che te. Ma i popoli civili ec. te con diversi nomi il volgo appella
fato, natura e Dio. Ma tu sei Arimane, tu quello che ec.
E il mondo civile t'invoca.
taccio le tempeste, le pesti, ec. tuoi doni, che altro non sai donare. (la Ginestra è un appello alla solidarietà umana, degli individui,
delle masse in genere, per contrastare almeno i danni della natura) Tu dai gli ardori e i ghiacci.
E il mondo delira cercando nuovi ordini e leggi e spera perfezione. Ma l'opra tua rimane immutabile, perché p. natura dell'uomo
sempre regneranno. L'ardimento e l'inganno, e la sincerità e la modestia resteranno indietro, e la fortuna sarà nemica al valore, e il
merito non sarà buono a farsi largo, e il giusto e il debole sarà oppresso ec. ec.
Vivi, Arimane e trionfi, e sempre trionferai.
Invidia dagli antichi attribuita agli dèi verso gli uomini.
Animali destinati in cibo. Serpente Boa. Nume pietoso ec.
Perché, dio del male, hai tu posto nella vita qualche apparenza di piacere? (ecco le illusioni, che negli anni precedenti vedeva come
un dono della natura, per quanto indifferente) L'amore? Per travagliarci col desiderio, col confronto degli altri e del tempo nostro
passato ec.? (siamo nel ’33, si rompe il cristallo, scrive “A sé stesso”, ma noi leggiamo quello spiraglio di spia malinconica già in
“Amore e morte).
Io non so se tu ami le lodi o le bestemmie ec. Tua lode sarà il pianto, testimonio del nostro patire. Pianto da me per certo Tu non
avrai: ben mille volte dal mio labbro il tuo nome maledetto sarà ec.
Ma io non mi rassegnerò ec.
Se mai gr