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La soluzione proposta da Esping Andersen
Secondo Esping Andersen, la soluzione sarebbe aumentare il numero dei posti di lavoro e ridurre il costo del lavoro. Per quanto riguarda nello specifico i regimi corporativo-conservatori, si suggerisce di accettare che la famiglia esca dalla sua auto-sufficienza (dovuta al lavoro femminile domestico) e acquisti sul mercato beni e servizi, liberando la madre dal carico famigliare, rendendola disponibile al lavoro extra-domestico. Ciò avrebbe un impatto economico positivo sulla donna (meno dipendente dal marito), sui figli (ad es. in caso di divorzio) e sulla famiglia (meno rischi in caso di licenziamento di uno dei due partner).
Per "defamilizzazione", si intende attivare una rete esterna alla famiglia di servizi e beni che ricadono sotto il dominio del lavoro riproduttivo (lavoro domestico e lavoro di cura) che libera il tempo della donna per il mercato e crea posti di lavoro. "Si crea una rete di servizi esterna alla famiglia, le donne con figli hanno...
L'opportunità di lavorare per il mercato e quindi avere soldi per acquistare i servizi. Se si crea una rete di servizi esterni alla famiglia, si creano posti di lavoro. Si crea un circuito della solidarietà intra-gender: donne che lavorano per altre donne, aumentando, in questo modo, le opportunità per tutte, anche di fare un numero più elevato di figli. Come dice esplicitamente Esping-Andersen, le casalinghe, le donne con elevato carico di cura devono solo "mercificare", vendere sul mercato ciò che fanno in casa gratis" - Esping Andersen 1999. La creazione di tale rete non può essere di responsabilità dello Stato, sia per i costi sempre più insostenibili per le finanze pubbliche, sia per la "bassa qualità" richiesta dal lavoro domestico, che non necessita di lavoratori molto qualificati, sia perché, infine, il mercato deve essere in grado di produrre servizi accessibili per tutte.
Le tasche, quindi servizi differenziati in base al prezzo e alla qualità. Secondo i limiti della prospettiva di Esping Andersen, a fronte di una crisi che ha tagliato i posti di lavoro, soprattutto delle donne, appare difficile capire come le donne disoccupate possano inventarsi un lavoro, anche nei servizi, attivando processi di auto-imprenditorialità senza una rete di politiche sociali che le aiuti. Il lavoro di cura viene presentato solo come un "costo" e non come un valore: il costo dei figli per donne e famiglie, il costo del mancato impiego produttivo delle donne, il costo che grava sugli attivi (che devono finanziare i trasferimenti: assegni familiari e di maternità pre-post partum, congedi genitoriali, etc.), sul mercato (costo del lavoro) e sui sistemi di welfare (il costo dei servizi alla persona). Ogni società umana è caratterizzata dalla produzione di mezzi di produzione, mezzi di sussistenza e forza lavoro, generata dalle famiglie.
Le analisi marxiste non prendono in analisi la formazione di forza lavoro e questo ha reso il lavoro riproduttivo della famiglia (e delle donne dentro essa) sostanzialmente invisibile qualcosa che resta nella sfera del privato. La logica della defamilizzazione non ribalta la prospettiva, poiché non valorizza il lavoro di cura ma mira ad abbassarne i costi individuali e sociali. Ribaltare la prospettiva significa "riconoscere" che il lavoro di cura, ai fini del mantenimento del nostro modello di sviluppo, è un lavoro socialmente utile non perché le famiglie facciano più figli ("perché" finale e strumentale), ma perché è centrale ai fini della crescita del capitale umano e sociale di una collettività ("perché" causale).
Naldini, Saraceno – "Social and family policies in Italy"
L'articolo analizza le principali trasformazioni del discorso pubblico e politico.
società italiana: i minori, gli anziani e i bisogni di cura. Negli anni '90 e 2000, l'Italia ha iniziato a riconoscere l'importanza di queste tematiche e ha avviato politiche specifiche per affrontarle. Per quanto riguarda i minori, sono state introdotte leggi per proteggere i loro diritti e garantire loro opportunità di sviluppo. Sono stati istituiti servizi di assistenza all'infanzia, come asili nido e scuole dell'infanzia, per supportare le famiglie nel prendersi cura dei propri figli. Gli anziani sono diventati un'altra priorità per il governo italiano. Sono state implementate politiche per garantire loro una vita dignitosa e un adeguato sostegno sociale. Sono stati creati centri diurni e residenze per anziani, al fine di offrire loro assistenza e compagnia. Infine, i bisogni di cura sono stati riconosciuti come una questione cruciale. Sono state promosse politiche per sostenere le famiglie che si occupano di persone con disabilità o malattie croniche. Sono stati istituiti servizi di assistenza domiciliare e centri di riabilitazione per offrire supporto alle famiglie e migliorare la qualità della vita di coloro che necessitano di cure speciali. Queste politiche hanno contribuito a migliorare la qualità della vita delle famiglie italiane e a garantire una maggiore equità sociale. Tuttavia, rimangono ancora sfide da affrontare e miglioramenti da apportare per garantire una piena inclusione e protezione per tutte le famiglie.società italiana e nel medesimo dibattito politico: la questione della bassa natalità, la questione dei bisogni dei minori, del costo dei figli e la questione dell'invecchiamento della popolazione.
Per molti anni, la questione della bassa natalità è stata una sorta di taboo per due ragioni: l'eredità fascista e la percezione che l'Italia fosse un paese fortemente fecondo. Solo dagli anni '90 il tema entra nel dibattito politico, viene introdotto soprattutto dai partiti di destra in relazione alla tematica dell'immigrazione. Questa questione viene presentata nei termini di un pericolo per la sopravvivenza della cultura e dell'etnia italiana a fronte dell'immigrazione.
I partiti di sinistra, nel frattempo, si dimostrano spaesati poiché prima degli anni '90 non si erano mai occupati della questione e iniziano a farlo dalla fine degli anni '90, anche a seguito dell'indebolimento delle
ideologie politiche e dellacrisi dei partiti tradizionali (DC e PCI). Se ne inizia a parlare, ma la natalità resta una questione femminile, collegataspecificamente alla conciliazione tra lavoro e famiglia. Alcune politiche di flessibilizzazione del lavoro vengonogiustificate anche facendo riferimento ai presunti benefici che avrebbero apportato in termini di conciliazione per ledonne (Pacchetto Treu e Legge Biagi). Questa lettura della questione della bassa natalità presenta diversi limiti:
- Non prendere in considerazione le differenze e disuguaglianze di genere nella divisione del lavoro e delleresponsabilità;
- Limita l'attenzione ai problemi legati alla presenza di figli piccoli in famiglia;
- La bassa natalità è un problema maschile solo nella misura in cui l'uomo non è capace di guadagnare abbastanzaper mantenere la famiglia.
Il tema del costo dei figli entra nel dibattito pubblico alla fine degli anni '90.
In Italia non esistono contributi universali per i figli, ma solo limitati sgravi fiscali per genitori con figli a carico. Si è sviluppato un dibattito relativo alla creazione di un contributo per i figli che, tuttavia, non è mai andato oltre le parole ("Contributo universale o selettivo?": al momento destinato solo a famiglie con basso reddito. "Legato ad un accertamento delle capacità economiche (come è adesso) o no?", "Contributo diretto o sgravi fiscali?"). In comparazione con altri paesi, la questione dei diritti dei minori è stata solo marginalmente affrontata dal dibattito pubblico italiano, con un'unica eccezione la riforma della scuola e l'introduzione dell'obbligo scolastico (1962). I diritti dei minori sono spesso intesi e presentati come diritti della famiglia o dei genitori dei minori. Il rapido invecchiamento della popolazione ha portato la questione della cura per le persone anziane.Al centro del dibattito pubblico nazionale. Tuttavia, le politiche pubbliche nazionali e locali sono largamente inadeguate rispetto ai bisogni della popolazione anziana. Tra i paesi dell'UE, l'Italia ha il più basso livello di copertura per quanto riguarda i servizi per anziani in difficoltà il tradizionale sistema di cura basato sulla famiglia è quindi sotto pressione, la principale soluzione è stata individuata nel mercato (badanti).
La legge 53/2000 riguardo i congedi parentali fu preceduta dalla legge 25/1999, la quale eliminava le garanzie di esenzione dai turni di notte per le donne, ma le estendeva alle madri e ai padri di bambini con meno di 3 anni la responsabilità di cura e non il genere divenivano il criterio per l'esenzione. La legge 53/2000 prevede che i padri lavoratori di figli neonati abbiano individualmente diritto ad una porzione di congedo parentale (10 mesi in totale fino a quando il bambino non
Infanzia: questo ha stimolato la nascita di servizi per bambini e ristrutturato il discorso sui bisogni e i diritti dei minori non solo come diritti/bisogni della famiglia o dei genitori.
Non ci fu nessuna riforma relativa alla cura delle persone non autosufficienti (anziani e disabili). L'unica soluzione è stata individuata nel mercato e, più nello specifico, nei servizi offerti da donne migranti, spesso impiegate con contratti non regolari: le "badanti".
Ci fu una transizione da un modello di cura familiare ad un modello di cura "della famiglia con migrante"; ciò permette di mantenere il tradizionale modello di cura basato sull'informalità e sulla dimensione familiare.
Di fatto, le stesse politiche pubbliche per le persone non autosufficienti tendono a sostenere questa tendenza, un'indennità di accompagnamento e assegno di cura. I bassi prezzi dei servizi offerti dalle "badanti" hanno permesso
anche a famiglie di medio reddito di accedere a questa forma di cura. La legge 328/2000 e riforma costituzionale del Titolo V (2001). La legge 328/2000 sulla riforma dei servizi sociali, mirava ad organizzare e definire le regole di governance del sistema dei servizi sociali e le responsabilità dello Stato.