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CAPITOLO QUATTRO: ISTITUZIONI E LEGISLAZIONI
In Italia i soggetti istituzionalmente preposti alla conservazione, tutela e valorizzazione del patrimonio sono lo Stato, le
Regioni, le Province e tutti gli enti locali. La costituzione italiana (titolo V) stabilisce che lo Stato, che ha la potestà legislativa
sui Beni, si occupi della tutela, tramite le sue ramificazioni, e le Regioni della valorizzazione, tramite le proprie struttu re e
mediante gli strumenti propri della programmazione.
LO STATO: La normativa statale del 1998, in materia di beni culturali prevede la tutela e la valorizzazione dei beni DEA,
mentre la legislazione precedente li citava in modo ambiguo e comunque superficiale, come è evidente nella legge del 1939
"Tutela delle cose d'interesse artistico o storico", dove l'etnografia è sostanzialmente abbinata agli studi sulla preistoria e la
paleoetnologia. Si ebbe un accenno al patrimonio culturale DEA nel DPR 27 del 1977, anche se il decreto era incentrato su
altri tipi più tradizionali di patrimonio. Il regolamento di organizzazione del MIBAC, colloca le competenze per i beni DEA
nella direzione generale per il patrimonio storico, artistico e DEA, nel comitato tecnico-scientifico per il per il patrimonio
storico, artistico e DEA, nelle soprintendenze per lo stesso patrimonio. Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio tratta i
beni culturali in modo unitario a quelli paesaggistici. Nel codice però i beni vengono chiamati solo etnoantropologici
(difficoltà per i paesi esteri a riconoscere il prefisso demo-), e li riguardano 5 articoli del testo, e vediamo che l'importante
non è tanto come vengono chiamati quanto he siano nominati e descritti nelle leggi. L'impostazione alla base
dell'individuazione del bene resta comunque tuttavia ancora distante dalla specificità DEA, sebbene l'apertura al paesaggio
apra nuovi, interessanti, scenari. Infatti c'è una forte demarcazione fra le idee di "beni" e "cose" è sempre stata presente in
materia di beni culturali nella legislazione italiana, dalla nozione di bene proposta dalla commissione Franceschini al testo
unico del 1999, nel quale il bene è "una testimonianza materiale avente valore di civiltà", e anche il codice parla di "cose".
Inoltre per i beni DEA il Codice fissa parametri cronologici e d'autore, che sono applicabili solo al patrimonio archeologico ed
artistico: propone infatti ch sia considerato un bene culturale solo ciò che ha più di 50 anni ed è d'autore. Infatti non erano
considerati beni culturali quelle opere che avevano meno di 50 anni o che avevano ancora l'autore o l'autrice vivente. Se si
esclude proprio il suo carattere vivente e contemporaneo, se non si comprende come esso caratterizzi la società di oggi e sia al
centro di estesi processi di patrimonializzazione, non resta di tale patrimonio, che una pallida proiezione in senso passatista.
Proprio la natura contemporanea dei beni DEA collega tali beni alle opere d'arte contemporanea, per le quali il MIBAC ha
mostrato grande sensibilità istituendo, nel 2001, la Direzione generale per l'architettura e l'arte contemporanea. c'è dunque
da chiedersi quali siano i beni DEA individuati dal codice: se solo quelli afferenti alle grandi raccolte storiche o museali,
oppure anche i beni viventi sul territorio. Se solo i primi possono avere pieno riconoscimento, allora, la gran parte del
patrimonio resta escluso dalla tutela: ma quale tutela? E' evidente che la logica di una tutela realizzata attraverso l'apposizione
di vincoli e una valorizzazione subordinata alla tutela stessa appare poco compatibile con l'insieme del patrimonio DEA
materiale: abbiamo visto che i beni immateriali non sono conservabili in quanto tali, per la loro natura volatile, e che l'unica
forma di tutela possibile sia la loro riproduzione e ricerca. Anche la richiesta avanzata da più parti per l'apertura di un istituto
speciale per i beni etnoantropologici non è stata presa in considerazione dal MIBAC. I Beni etnoantropologici, sono al
momento rappresentati dal MNATP (museo nazionale delle arti e delle tradizioni popolari) e dalla soprintendenza del museo
nazionale preistorico etnografico Luigi Pigorini, che svolge compiti di consulenza a livello nazionale. Il MNATP nasce nel
1923, a partire dalle collezioni del museo di etnografia italiana di Firenze, create da Lamberto Loria per l'Esposizione
universale di Roma del 1911. Il museo fu allestito solo nel 1956, guidato da Paolo Toschi. Per quanto riguarda il Pigorini, fu
invece inaugurato nel 1876, basato sulle collezioni di manufatti extraeuropei di Pigorini stesso e e della collezione Kircher.
E'un museo che presenta una doppia identità: preistorica ed etnografica. Tuttavia i due musei fanno capo a due direzioni
generali diverse: il MNATP a quella per il patrimonio artistico, storico e etnoantropologico, il Pigorini a quella per il
patrimonio archeologico. Nel 1998 il MIBAC ha istituito nell'ambito della direzione generale la commissione nazionale per lo
studio e la conservazione dei beni DEA, guidata da Valeria Petrucci.
REGIONI ED ENTI LOCALI:A livello regionale la pluralità delle normative che affrontano la materia dei beni culturali
presenta una crescente attenzione al patrimonio DEA, come elemento di distinzione ed identità locale. Il loro ruolo nella
politica dei beni culturali, è complementare a quello dello Stato, con cui concorrono per la valorizzazione dei beni culturali.
A esse fanno riscontro i numerosi centri di documentazione, sorti intorno all'esigenza di indagare il territorio per poterlo
conoscere. Diverse ragioni, nei loro statuti presentano riferimenti al patrimonio DEA: è il caso del Piemonte "costume", del
Lazio e del Molise "tradizioni popolari". Interessante è i caso della Lombardia, autrice di numerose ricerche sul suo territorio,
e che ha istituito il servizio "cultura popolare" , pubblicando due importanti collane: una per libri dedicati a singole province,
una tematica di dischi. La Regione Sicilia si è distinta attivando delle Soprintendenze speciali, e riaprendo il museo Pitrè,
mentre la regione Lazio ha insistito sulla tutela del dialetto e delle tradizioni popolari, raccogliendo testimonianze scritte su
filastrocche, fiabe, proverbi e indovinelli, ricordi e memorie riguardanti anche l'alimentazione e la medicina popolare, canti e
musiche (registrati su supporti audiovisivi), feste, riti e credenze, giochi e passatempi. In molte regioni sono stati creati
specifici centri di documentazione legati al patrimonio DEA, come in Friuli, in Trentino, in Sicilia e in Veneto. Resta però
problematica la questione delle competenze e delle professionalità nel trattamento di questi beni, aspetto che è stato fino ad
ora trascurato. Quasi nessuna regione, infatti, possiede specifici profili professionali, e la gestione dei beni DEA viene affidata,
spesso con casualità ad altre figure professionali.
LE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI:A livello internazionale, le politiche dell'UNESCO (UNITED NATIONS
EDUCATIONAL, SCIENTIFIC AND CULTURAL ORGANIZATION) e dell' ICOM (international council of museums)
hanno aperto importanti fronti di attenzione e di valorizzazione per il patrimonio DEA materiale e immateriale, con
particolare riguardo per quest'ultimo. Unesco ha iniziato già dal 1989 a d affrontare in modo serio e impegnato la questione
della salvaguardia del patrimonio popolare con la Recommendation della XXV conferenza generale. . In seguito, nel 1998,
uNESCo ha agito con progetti concreti in questo settore, includendo nei patrimoni immateriali (su cui ha concentrato
particolarmnete la sua attenzione) tanto l eespressioni popolari e tradizionali quanto gli spazi culturale. Ha tutelato per
questo i Masterpieces of oral and intangible Heritage of Humaninity, che avviene ogni due anni su segnalazione dei comitati
nazionali a partire dal 2001: l'Italia ha avuto riconoscimenti per il teatro dei pupi siciliani e il canto a tenore della Sardegna.
Unesco ha pensato poi di inserire liste ed elenchi nazionali di beni da tutelare, creando due liste: una riguardante i beni d a
tutelare, una i beni particolarmente a rischio. L'ICOM nel 202 ha tenuto una conferenza in Brasile sul patrimonio
intangibile, ed ha sponsorizzato la giornata internazionale dei musei. E' emerso, alla XX conferenza generale di Seul,
nell'Ottobre 2004 che la cultura non si manifesta solo in forme tangibili, ma anche attraverso forme immateriali, trasmesse
di generazione in generazione mediante la lingua, la musica e il teatro, i comportamenti, i gesti e le pratiche.
ORGANIZZAZIONI ITALIANE: Fra le organizzazioni nazionali di settore l'AISEA (associazione italiana per le scienze
etnoantropologiche),che ha dedicato due congressi nazionali al tema dei beni DEA, e che gestisce la rivista
"Etnoantropologia". L'altra grande associazione è SIMBDEA (società italiana per la museografia e i beni
demoetnoantropologici), e la sua branca simbdea-am (antropologia museale) attiva dal 1992 al 2001, che si occupa in parte
della promozione del patrimonio DEA. Alla società fa riferimento la rivista "Antropologia museale", nata nel 2002. Altre
riviste importanti sono "Antropologia" diretta da Irene Maffi e "Lares" fondata nel 1912 da Lamberto Loria e diretta da Pietro
Clemente. Da segnalare, inoltre, "La ricerca folklorica" diretta da Glauco Sanga.
CAPITOLO CINQUE: CATALOGAZIONE
La catalogazione DEA si colloca nell'ambito delle più generali operazioni applicate ai beni culturali e ambientali, volte al
riconoscimento e alla conoscenza del patrimonio culturale, ai fini della sua valorizzazione e tutela. Per questo nel 1968
nacque l'ICCD,che ha il compito, fra gli altri di , di elaborare programmi di catalogazione generale di beni, fissandone la
metodologia. Con l'attuale regolamento di organizzazione del MIBAC, l'ICCD mantiene i suoi compiti di indirizzo e in
relazione alle metodologie di catalogazione, acquisendo anche competenze nell'ambito della formazione per lo stesso settore
disciplinare. Già a partire dall'inizio degli anni '70 l'ufficio centrale per il catalogo e la documentazione inizia a progettare
modelli di schede cartacee, da applicare alla catalogazione di diverse tipologie di beni culturali. Alla fine di quello stesso
decennio, l'ufficio comincia a strutturare le schede per la loro informatizzazione, mediante appositi database, fino ad arrivare,
nel 2003, alla creazione di un elaborato sistema informativo generale di catalogo (SIGEC). Il SIGEC non accoglie solo schede,
am anche documenti multimediali a esse connessi. Parallelamente l'ICCD affina e amplia la produzione di schede, per offrire
degli strumenti sempre più mirati a restituire la complessità dei beni, mobili e immobili all'interno delle varie categorie
previste dalla normativa statale. Tali normative catalografiche sono segnalate dalla sigla 3.00