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RIFUGIATI
• : oggetti assistenziali, vittime impotenti senza identità.
Il rischio di un approccio biopolitico è di restituire una raffigurazione dei profughi come una massa
di ‘nuda vita’, anonima e indifferenziata.
infrapolitica
Una possibile via d’uscita è quella dell’ dei gruppi subordinati. Si apre così la
possibilità di concepire i rifugismi come fenomeni di risocializzazione, e i campi profughi come
forme di urbanizzazione.
Capitolo 6- CAMPI DI ACCOGLIENZA PER RICHIEDENTI ASILO
campo
La storia europea delle migrazioni del ‘900 ha riconosciuto il come struttura circoscritta in
cui confinare e gestire soggetti migranti: si pensi, per esempio, ai campi usati per le politiche di
reclutamento o in cui confinare i lavoratori migranti o ai campi profughi.
campo oggi
Il è una modalità umanitaria e violenta di governo delle forme migratorie considerate
non desiderabili. In Italia abbiamo: Centri di Identificazione e di Espulsione, Permanenza
Temporanea, Centri di Accoglienza.
Coloro che sono ammessi alla procedura di richiesta di asilo politico accedono a un altro percorso,
ma ugualmente caratterizzato da esperienze di confinamento e segregazione sociale.
Pertanto i campi sono visti come dispositivi di governo usati dagli stati riceventi per
amministrare, controllare e assistere le migrazioni per asilo. Materialmente i campi sono
strutture circoscritte a cui sono destinati i soggetti richiedenti asilo: costruiti ai margini dei centri
urbani, caratterizzati da misure di controllo restrittive. Dal punto di vista delle istituzioni, i campi
per richiedenti asilo sono centri di accoglienza. Dal punto di vista dell’antropologia sono prima
di tutto strutture di sorveglianza e di controllo.
6.1 Uno sguardo alle politiche
Recentemente, le politiche nazionali ed europee si sono sempre più direzionate verso l’uso dei
campi come forma politica per amministrare e controllare le migrazioni per asilo.
In Italia, il sistema dei campi è realizzato attraverso i CARA, Centri di Accoglienza per
Richiedenti Asilo, istituiti nel 2008, strutture in cui uomini e donne richiedenti asilo sono ospitati
dal momento in cui, dopo l’approdo, presentano la domanda di asilo sino alla risposta della
Commissione Territoriale per l’Asilo. I CARA fanno riferimento al Mistero dell’Interno e sono dati
cooperative organizzazioni umanitarie
in appalto a oppure quali la Croce Rossa.
Oltre ai CARA ci sono altre strutture gestire dal Sistema di Protezione Rifugiati Richiedenti Asilo
(SPRAR). Arrivati sul territorio italiano via mare, aerea o terrestre, i migranti che chiedono asilo
entrano in un iter burocratico che inizia con la compilazione in questura di un modello chiamato C/3
in cui vengono registrate informazioni biografiche e ripercorsa la traiettoria e la motivazione di
fuga. Dopo sono assegnati ad un centro di accoglienza.
Nei CARA i richiedenti attendono quasi sempre oltre i sei mesi previsti dalla legge per avere una
risposta rispetto alla loro futura posizione. L’ATTESA è la dimensione che caratterizza la vita nei
campi.
All’interno dei CARA il rifugiato entra in contatto con: Operatori sociali, figure mediche e sanitarie,
polizia, avvocati, personale di agenzie internazionali, figure religiose e laiche. Il rifugiato viene
oggetto di cura e controllo
visto come “ ”.
6.2 La ricerca antropologica sui campi: prospettive ed esempi etnografici
Per gli stati che ricevono migrazioni per asilo, i campi sono strutture di accoglienza e di protezione
in cui uomini, donne e bambini divengono destinatari di pratiche di assistenza mentre attendono una
risposta rispetto al loro futuro giuridico.
Per la ricerca antropologica i campi per richiedenti asilo sono frutto dell’intervento umanitario
combinato a pratiche di controllo messe in atto da istituzioni nazionali per gestire le migrazioni,
rendendo così i campi dispositivi polizieschi, alimentari e sanitari, dove le vittime sono
mantenute al minimo della vita, rispettando le norme della sopravvivenza.
Queste pratiche denotano l’ossessione del controllo che spinge i paesi di accoglienza a raggruppare
i richiedenti asilo anziché lasciare che si disperdano nella popolazione.
I campi dunque pur definiti come strutture di protezione, hanno la funzione di garantire la
sicurezza di chi sta fuori dai soggetti che vivono all’interno di essi.
È a partire dal 1948, con la nascita di agenzie internazionali umanitarie che rifugiati, profughi e
richiedenti asilo nascono come popolazione da proteggere (oggetto di cura e di controllo).
Il campo di accoglienza è oggi considerato il ‘dispositivo di potere’ attraverso cui lo stato può
controllare e assistere i soggetti non appartenenti al suo territorio. L’isolamento spaziale del campo,
il personale specialistico composto da amministratori, programmi igienici e sanitari, la raccolta di
documenti caratterizzano il sistema campo e, attraverso questi processi, il richiedente asilo emerge
come oggetto di analisi e si controllo.
6.2.1 Alcuni riferimenti teorici
Secondo alcuni, il campo è finalizzato ad amministrare la vita, secondo altri, invece, è uno spazio
collocato all’interno dello stato, ma in esso confinato e da esso separato; è temporaneo, ma si
protrae sino a divenire durevole.
I campi diventano, così, zone di sospensione delle regole di cittadinanza, condizione di attesa e
di incertezza giuridica, riduzione della soggettività a corpo da curare e sorvegliare.
6.2.2 Tempo e spazio
Spazio e tempo sono due elementi decisivi per comprendere la dimensione di violenza insita nei
campi. Si parla di spazi recintati o confinati, circondati da mura, fisicamente separati dai centri
urbani. Il tempo è un tempo di attesa protratta e soprattutto di incertezza, che rende il tempo
presente una dimensione che lascia in sospeso il riconoscimento di un passato che annulla la
dimensione del futuro.
TEMPO: attesa perdurante, incertezza tra passato violento e futuro incerto.
SPAZIO: struttura confinata, separata dal contesto urbano (“chiusi dentro”)
6.2.3 Pratiche, disciplina, morale
Agenzie internazionali come Amnesty International, siti di informazione hanno denunciato nei loro
rapporti la situazione dei campi in Italia: ‘ sei letti per stanza, materassi per terra, mancanza di
acqua, nessuna separazione degli spazi tra le famiglie, uomini e donne, condizioni igieniche e
alimentari al limite della dignità.
Nei CARA italiani, rigide regole scandiscono la vita quotidiana: ogni richiedente asilo che esce dal
campo deve richiedere un permesso, e ogni persona che entra in visita deve passare dal controllo dei
documenti, e la cura dei bambini avviene sotto lo sguardo delle assistenti sociali che vigilano anche
sull’esercizio della genitorialità; la distribuzione del cibo avviene ad orari prestabiliti, in confezioni
di plastica e non è prevista la possibilità di decidere cosa mangiare, sono stati eliminati tavoli e
sedie, perché considerati potenziali armi di rivolta.
Umanitario e politico si sovrappongono nella gestione della vita, dei corpi e delle storie di chi
chiede asilo, mostrando la doppia faccia della compassione e della repressione, della cura e del
controllo.
I campi sono dunque dei luoghi di sospensione delle regole di cittadinanza, ma, al medesimo tempo,
in essi non sono assenti le regole dello stato.
Posto in una situazione passiva di ricevente il dono, senza la possibilità di restituirlo, il richiedente
asilo rimane imprigionato per molto tempo in una relazione di aiuto asimmetrica.
6.2.5 Miopia, ambiguità, incertezza
Il rifugiato non viene ammesso a una vita sociale e politica. È spogliato della propria storia (“fra
pietà e controllo”). sistema
Per Foucault il potere di un’istituzione, come quella del campo, è riassumibile nel
panottico : il potere cioè è reso efficace dal fatto di non essere visto dai soggetti controllati e dal
fatto che questi soggetti sanno essere visti.
Nel caso dei campi per richiedenti asilo, viene usata l’espressione miopia. Lo sguardo miope del
sistema campo è realizzato nei modi con cui è gestita la vita quotidiana dei richiedenti asilo.
Sarebbe necessario non perdere di vista la loro soggettività e i processi con cui tentano di ricostruire
la vita nella fuga.
Capitolo 7 - DIASPORA
7.1 Sul concetto di diaspora
Diaspora Studies
Oggi per si intendono sia gli studi sui fenomeni diasporici reali sia quelli che
utilizzano la metafora diasporica per argomentare il particolare posizionamento dell’identità politica
e culturale di alcuni gruppi umani.
Pur riconoscendo che la tradizione ebraica, ove la diaspora si connota negativamente poiché causata
Robin
da un evento catastrofico, sia la radice di ogni definizione e interpretazione del concetto, è
Cohen (1997) fra i primi sociologi a suggerire come la condizione diasporica appartenga a
numerose altre comunità culturali, che vivono al di fuori della terra nativa e si riconoscono nella
lingua, nella religione o nella cultura d’origine. È importante riconoscere la forte implicazione della
storia ebraica sul linguaggio della diaspora senza, però, fare di essa un modello definitivo e senza,
allo stesso tempo, cadere nel rischio opposto, ossia quello di far perdere rilevanza e merito al
concetto, applicandolo a tutti i movimenti e migrazioni.
Van Hear, invece, definisce la diaspora come possibile risulto di una crisi migratoria e assume
come condizione indispensabile al consolidamento di una comunità diasporica la durata nel tempo
della dispersione. Quindi secondo V.H. , una diaspora è identificabile ex-post, solamente cioè se,
trascorso un certo tempo, vengono mantenute tre condizioni:
1. la dispersione della popolazione della patria in almeno due o più territori;
2. la presenza duratura delle comunità all’estero;
3. infine, una qualche forma di scambio fra le comunità spazialmente distanti ma che
appartengono alla medesima diaspora.
Le prospettive di altri studiosi invece sono più orientate a esplorare le autorappresentazioni e
proiezioni interne alle comunità diasporiche stesse, in chiave emica ed ermeneutica.
Numerose sono le accezioni di diaspora; dall’ essere interpretata come la dispersione di popolazioni
che conservano il mito della purezza della loro origine al porre maggiore attenzione sull’aspetto
transnazionalistico, di attraversamento ed eterogeneità culturale.
Si possono infatti distinguere diverse forme di diaspora:
diaspore vittime (africana e palestinese),
- diaspore lavorative (indiana),
- diaspore commerciali (cinese o libanese),
- diaspore imperialistiche (britannica)
- diaspore culturali (caraibica).
-
7.2 Qualche nota sulla diaspora palestinese
La diasp