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I CORPI
Premessa
Nella popolazione tongana si riscontra un costante riferimento alla propria grandezza fisica. L’ab-
bondanza e la grandezza sono attribuiti positivi e necessari nel consumo e offerta di cibo, ma risul-
tano altrettanto positivi nella percezione della corporeità tanto che sottolineare l’aumento di peso
di qualcuno vale come complimento. Tuttavia, anche il concetto di “corpo grosso” ha delle sfuma-
ture e c’è un modo di essere “grossi e obesi”, “grossi e sodi”, “grossi e magri”. In un contesto in cui
l’abbondanza di risorse e l’abbondanza fisica sono positivamente collegate allo status sociale sareb-
be un errore credere che non vi sia un confine tra la grandezza e la grassezza: se è vero che i tonga -
ni hanno biologicamente corpi grandi e pesanti, è anche vero che un corpo grasso non piace. Gli
atteggiamenti verso grasso, bellezza e forma fisica hanno più nuances di quanto ci si aspetta.
La Cottino ha precedentemente studiato la condizione di obesità nelle Hawaii, che è diventata a
essere rielaborata culturalmente come segno distintivo dell’indigenato: ma a Tonga non è osser-
vabile una generalizzata condizione di obesità. I tongani hanno una biologica e genetica grossa cor-
poratura e la questione del peso assume forme molto diverse. Ad esempio vengono considerati
molto diversi i tongani che vivono nel regno e mangiano in parte cibo locale e quelli emigrati ol-
treoceano dove domina il cibo estremamente calorico dei fast food.
Margaret Lock ha avvertito sul fatto che la singola esperienza corporea è mutualmente costituita
dalla biologia e dalla cultura: è un invito a non credere che esista un corpo universale, uguale a
ogni latitudine perché composto dalle stesse parti, e di non “culturalizzare” tutto ciò che è extra-
europeo. Come afferma la Pollock, a Tonga «i valori culturali si incastrano con quelli biologici e per
questo vanno capiti insieme». Corpi biologicamente grossi valorizzano la grandezza.
Due elementi sono importanti per comprendere il contesto tongano. Il primo è l’unione dell’anima
del corpo, a differenza dell’opposizione cartesiana fra i due a cui noi occidentali siamo abituati. Il
secondo è la dimensione familiare della bellezza: fino al matrimonio la cura del sé è prassi univer-
sale, a partire dalla nascita del primo figlio tale attenzione viene meno per essere proiettata sulla
progenie. Questo elemento definisce un importante spartiacque generazionale. Un’anziana verreb-
be schernita se si truccasse: la sua bellezza dovrebbe passare attraverso figli e nipoti perché è una
famiglia numerosa e in buona salute a renderla bella. Il copro è uno strumento che connette le
persone attraverso la parentela.
«La gente un tempo stava bene grassa»
Uno dei primi esploratori che nel Seicento visitò Tonga scrisse «per quanto sia possibile agli esseri
umani essere civilizzati, i tongani hanno raggiunto un livello quasi perfetto». Nel Settecento, il ca-
pitano James Cook fu il primo a esplorare con più precisione le isole dell'arcipelago, visitandole più
volte. Dopo che anche francesi e spagnoli si avventurarono nelle isole, la London Missionary Socie-
ty riuscì a mettere insieme i soldi per salpare alla volta di Tahiti, Tonga e le Marchesi, anche se i
dieci missionari che arrivarono a Tonga non aveva idee precise su come diffondere efficacemente il
messaggio cristiano: la popolazione era pagana, i missionari non sapevano il tongano. I primi dieci
anni li videro impegnati in un lento e cauto insediamento: all’inizio compirono lavori comuni per
meglio venire a contatto con la popolazione, un proposito che venivano inficiato dal fatto che per il
resto vivessero sostanzialmente tra di loro. Solo uno di loro, George Vason, usò la “tattica dell’im-
mersione” ritrovandosi a gettare la tonaca e diventare, sposando una nativa, un tongano.
Una straordinaria testimonianza è offerta da William Mariner: nel 1806 l’equipaggio con cui era
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approdato sull’isola fu sterminato e soltanto lui venne graziato, adottato dal capo locale che aveva
perduto il suo primogenito. I suoi diari sono i documenti di inizio Ottocento più attenti e completi
di cui disponiamo.
Le descrizioni di questi viaggiatori parlando di uomini di statura superiore alla media (bisogna
ricordare che gli esploratori di fine Settecento erano di statura molto più bassa di quella odierna!),
con fattezze muscolose e tornite. Stupì il fatto che, a differenza dei tahitiani, i tongani fossero fisi-
camente omogenei, con una variazione di statura interna alla popolazione molto limitata. Gli os-
servatori, naturalmente, riportano pareri discordanti sulla bellezza della popolazione. Uomini e
donne portavano capelli corti, tinti di rosso o blu, avevano una pelle “color castagna” e avevano
l’abitudine di ungersi di olio la pelle tatuata in una cura attenta e quotidiana. L’abbigliamento,
uguale per tutti, consisteva in una stuoia avvolta alla vita ce dal petto arrivava sotto le ginocchia.
I primi lavori di misurazione condotti con precisione sulla popolazione risalgono al Novecento, rive-
lando come quella tongana fosse uno dei gruppi più alti del genere umano, con un’altezza media di
173 cm per gli uomini e di 163 per le donne.
Le interviste condotte dalla Cottino evidenziano come tra la popolazione vi sia la convinzione gli
antenati fossero più alti e corpulenti. Bisogna considerare che la convinzione di un corpo grosso
come corpo bello si sia sviluppato anche perché i capi e i nobili erano in possesso di risorse che ne
modificavano visibilmente i corpi, tanto che la letteratura antropologia attesta a Tonga rituali d’in-
grassamento. È plausibile che la popolazione tongana, sebbene sia sempre stata grossa, un tempo
fosse più sana e l’alimentazione è il primo responsabile di questo cambiamento che ha influenzato
in maniera evidente anche gli ideali di bellezza delle ultimissime generazioni.
«Le gambe magre no!»
Sebbene la bellezza sia considerata diversamente da anziani e giovani, la generale predilezione è
per un corpo grosso. Lo stigma si riversa sui corpi gracili e magri. Capacità di governare, alto status
sociale e grandezza fisica sono tutte caratteristiche dei capi e perciò sono stati considerati per se-
coli i modelli di bellezza; mentre la magrezza è segno di scarsità di risorse e chiaro indicatore della
classe sociale, oltre che essere sinonimo di malattia e incapacità riproduttiva. Un corpo grosso è le-
gato anche alla percezione di una corrispondente forza fisica.
Le grandi dimensioni dei corpi delle donne sono un segno distintivo: da un lato il corpo della donna
acquista peso con l’avanzare degli stadi della vita sociale, dall’altro la grandezza sembra essere una
caratteristica femminile che ne ricalca la posizione gerarchica. Per capire ciò è necessario compren-
dere i concetti di mana, il potere mitico e magico e di pule, l’alienabile potere secolare e politico. Il
mana era l’incarnazione delle divinità, in particolare nella forma femminile, il che determinava una
posizione divina delle sorelle sui fratelli, ad esempio. Pule era la capacità di comandare dei capi nel
sistema politica ed è associato ai fratelli in relazione alle sorelle, alle persone anziane in relazione
alle giovani e ai detentori di titoli in relazione alla gente comune. Ma questa non deve essere inter -
pretata come una dicotomia netta, per cui le donne possederebbe un sacro potere passivo e i fra-
telli un secolare potere attivo; piuttosto il mana e il pule appartengono a donne e fratelli, ma la for-
za del mana della sorella ingloba il suo contrario, il pule del fratello: infatti, quando c’è una disputa
riguardante faccende di pertinenza maschile come la terra è il parere della sorella maggiore a rap-
presentare la decisione finale. Il rapporto fratello-sorella è ricco di tabù e i fratelli temono le male-
dizioni derivanti dalla rottura dei divieti. Naturalmente, tutto questo panorama “tradizionale” è
stato reso più complesso e variegato dal nascere di un sistema complessivo di alternanza e dall’e -
mergere di una classe sociale media che si è distaccata dalla gente comune. La sensazione è che le
donne siano legate alle norme consuetudinarie che definiscono diritti e doveri ma al contempo sia-
no attratte dalle idee occidentali di emancipazioni, come rappresentato dalla battaglia contro la
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trasmissione patrilineare della terra.
«La bellezza tongana è eleganza»
Nel domandare cosa fosse la bellezza la Cottino otteneva risposta orientate verso la valorizzazione
dell’interiorità a discapito dell’estetica. La forma corporea femminile tradizionalmente ammirata,
infatti, non necessariamente si riferiva a caratteristica fisiche. La bellezza interiore ed esteriore
sono interconnesse. La bellezza è legata alla percezione dell’eleganza e più che essere individuale
è collettiva, perché i confini tra famiglia villaggio e società sono porosi. Parte della bellezza è la ca-
pacità di contribuire alla creazione di una famiglia.
Quando la Cottino ha fatto domande più mirate su che cosa determini la bellezza di un corpo, le ri-
sposte hanno tracciato un panorama complesso basto su caratteristiche dettata dalla distinzione
tra un corpo considerato bello “per tradizione” (il sino fakatonga, “corpo alla tongana”) e un cor-
po che piace soggettivamente (il sino lelei, “corpo armonioso”). Vi è una moderna distinzione fisica
tra sino kapapulu in associazione a va’e kapaka che indicano un corpo grosso e ben formato ma
gambe magre e meno proporzionate e sino kapa’ika in associazione a va’e kapalulu che indicano
un corpo magro e poco proporzionato ma gambe grosse e proporzionate – quest’ultime, molto va-
lorizzate.
Sino fakatonga
– Il corpo alla maniera tongana è un corpo con specifiche caratteristiche: in primis rappresen-
tato dalle gambe grosse e proporzionate che, insieme ai fianchi larghi, sono simboliche ella
fertilità femminile. Queste caratteristiche fisiche sono necessarie per mettere in scena le
danze locali nelle quali un corpo magro sarebbe «meno efficace». Anche la pelle deve ave-
re caratteristiche precise, con una colorazione “intermedia” tra il chiaro e lo scuro e omoge-
nea, segno che la propria madre ha avuto l’accortezza durante l’infanzia di massaggiare la
pelle con olio. I capelli sono un segno della bellezza femminile, vengono portati raccolti e
sciolti solo per precise occasioni e non vengono tagliati se non quando muore il padre (ma
su ci