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Estratto del documento

La costruzione di identità e discriminazione è parte integrante della cultura giapponese. L'identità è stata di

fondamentale importanza, soprattutto nei periodi di instabilità politico­economica. Lo stesso isolamento dei

kaitaku è stato sfruttato, dai suoi stessi abitanti, come motivo di coesione.

Motivi principali di esclusione sono, come detto, spazialità (isolamento fisico del villaggio) e temporalità (la

relativa giovinezza del kaitaku).

5. Creazione e gestione del gruppo

5.1 Il modello relazionale

In molte descrizioni antropologiche del Giappone, vediamo come il gruppo e le sue relazioni prevalgano sulla

realizzazione dell'individuo. L'antropologa Nakane Chie mette in evidenza come la forza coesiva della società

giapponese sia da ricercare nell'armonia tra strutture gerarchiche di potere (verticali) e legami di solidarietà e

parentela (orizzontali), sottolineando come questi due aspetti non formino una dicotomia ma una intersecazione.

La convinzione di molti studiosi sulla tendenza aggregatrice dei giapponesi è confermata dalla struttura

corporativa di molte imprese giapponesi.

Nel giapponese è molto presente il concetto di amae (rapporto affettivo e, nel contempo, di dipendenza tra due

individui, come madre­figlio) e quello di giri (il senso del dovere in quanto essere sociale). Solo nei contesti in cui è

permessa l'amae, il giapponese si lascia andare alla propria natura, mentre verso tutto ciò che è esterno al gruppo,

egli assume un comportamento di circostanza (contegno e deferenza). Anche all'interno del gruppo, però, ogni

parola deve essere soppesata, per poter gestire efficacemente le relazioni e per poter proteggere il proprio ruolo

all'interno del gruppo. La forte dipendenza dal gruppo, psicologiamente, può essere vista come la continuazione del

rapporto madre­figlio.

5.2 La fase del dissenso e il principio egalitario a Mikazuki

Mikazuki fu quindi la negazione della teoria secondo cui la scarsità di beni è un freno alla nascità di coesione e

solidarietà. Gli altri due kaitaku, come detto, non erano formati solo da coloni, ma anche da membri di villaggi

locali, che avevano contatti con le famiglie di origine (il che consentiva loro di avere benefici economici); furono

individui di questo tipo ad essere nominati capovillaggio, mentre a Mikazuki questa figura non nacque prima degli

anni 70. Il modello giapponese di legami verticali e orizzontali non sembrerebbe dunque applicabile a questo

villaggio. L'assenza di legami di sangue che giustificassero posizioni di potere, fu il segreto della coesione

(danketsu) nel villaggio, che comunque ebbe periodi di crisi soprattutto dopo la fine degli stanziamenti del governo

verso i kaitaku.

5.3 Danketsu tra teoria e pratica. La cooperativa porta al progresso

Danketsu significa dunque unione di un gruppo formato per un preciso scopo. Esso, a Mikazuki, fu sicuramente

rafforzato dai legami di sangue tra famiglie della stessa comunità e dal fatto di appartenere alla Cooperativa

Esecutiva di Mikazuki, fondata nel 1947, con lo scopo di ripartire i finanziamenti del governo a sostegno

dell'agricoltura (l'introduzione della cooperativa fu un passo cruciale per migliorare la stabilità economica del

kaitaku). Questo sistema di lavoro collettivo, chiaramente, tolse le premesse per impegnarsi per l'interesse personale.

Tramite la cooperativa venivano trasmesse le conoscenze tecniche e, dopo le apposite riunioni, si stanziavano fondi

per acquistare macchinari ad uso collettivo.

5.4 Le basi della disuguaglianza

La pressochè medesima condizione economica degli abitanti ha evitato una stratificazione sociale. L'unica

differenza è rintracciabile nella maggior abilità dei coloni, rispetto agli altri abitanti, ad organizzare la produzione

e la logistica del kaitaku, grazie all'esperienza coloniale.

Dalla fine degli anni 50 molte famiglie iniziarono ad abbandonare Mikazuki, vendendo i possedimenti e andando

a cercare fortuna in città.

Il danketsu si incrinò quando la differenza tra chi possedeva (e coltivava) la terra e chi non la possedeva (e

lavorava fuori dal villaggio) aumento fortemente, dal momento in cui la terrà iniziò a rendere in modo esponenziale

grazie alla frutticoltura. Alla cessazione del Piano, chi aveva la terra aveva anche una casa dignitosa, mentre chi

non l'aveva continuava a vivere nelle catapecchie degli anni 40. Dagli anni 70­80 le condizioni economiche dei

non­agricoltori aumentarono il proprio gap in negativo, e iniziarono a non presentarsi alle manifestazioni di

gruppo e alle assemblee, causando malumori nelle altre famiglie del villaggio. Non a caso, ancora oggi la paura di

molti membri di Mikazuki è che alcuni dei suoi membri possano danneggiare la comunità perseguendo obbiettivi

egoisti. Il danketsu non era, quindi, realtà effettiva.

6. L'esodo forzato: il lavoro stagionale. Le migrazioni interne

Nel 73 il Piano arrivò alla conclusione e i nuovi villaggi furono lasciati a loro stessi. La coltivazione di mele dava i

suoi risultati, ma il gap con i redditi dei settori secondario e terziario rimaneva forte.

Il diseguale sviluppo economico in Giappone ha lasciato sacche di povertà causando cosi il fenomeno del lavoro

migratorio verso zone più prospere. Nel dopoguerra (50­58), questo fenomeno, il dekasegi, fu evidente, anche perché

fu tolto il divieto di trasferirsi da zone rurali a zone urbane. Alcune zone (Tokyo, Osaka, Yokohama, Kyoto,

Nagoya) diventarono calamite per la manodopera. Aomori fu ovviamente una zona fornitrice di manodopera,

soprattutto maschi (inizialmente trentenni, poi gradualmente fino a sessantenni). Il fenomeno prevedeva comunque

il ritorno al villaggio, al contrario delle emigrazioni definitive di alcuni giovani. Il dekasegi ha avuto un effetto

devastante: mancando manodopera, gli agricoltori acquistavano manodopera indebitandosi, e il debito era

ripagabile solo grazie a lavoro fuori dal villaggio: era un circolo vizioso, che si è attenuato sempre più ma rimane

ancora oggi presente.

6.1 La vergogna di partire

Il dekasegi è un concetto difficile da accettare in un paese legato alla propria terra di nascita come il Giappone.

Partire era quindi un dramma: da un lato si abbandonavano i propri cari, e dall'altro si mostrava a tutti il bisogno

di guadagnare soldi necessari alla sopravvivenza. Sempre la Benedict è la responsabile dell'introduzione della

teoria antropologica secondo cui il giapponese ha un perenne senso di vergogna. Tale emozione, insieme al senso di

colpa (la prima è un'emozione più forte, che viene dall'io più intimo, ed è meno razionale) porta a una costante

auto­riflessione. Non a caso il senso di colpa è rispecchiato da moltissimi termini per scusarsi ed esprimere il proprio

rammarico (primo fra tutti suimimasen). La differenza netta è che la vergogna è manifestata in pubblico, al

contrario del senso di colpa. Il senso di colpa poi, all'interno di un gruppo, funziona da collante: crea una costante

situazione di mutua dipendenza ed indebitamento che rafforza il gruppo.

6.2 Tra scelta e necessità

Il dekasegi a Mikazuki si manifestò dagli anni 50, inizialmente come spostamento breve verso l'isola di Hokkaido

dove ci si recava per tagliare la legna e pescare. Il fenomeno fu accentuato negli anni 60 a causa dei giochi olimpici

di Tokyo. Gli abitanti di Mikazuki raccontano con vergogna il viaggio in massa sui treni verso le città per recarsi al

lavoro. Dagli anni 70 molte famiglie abbandonarono definitivamente la terra per dedicarsi al lavoro trovato

tramite dekasegi; la trasformazione in lavoro stabile ridusse nettamente il senso di disadattamento e vergogna. In

pochi decenni, il dekasegi divenne quasi una prova di vita per uomini duri, che ora se ne vantavano al posto che

vergognarsene. Gli anni 90 furono gli ultimi del vero dekasegi a causa della manodopera immigrata e della

recessione.

6.3 Conclusione

Diversamente dalla migrazione sud­nord italiana, quella giapponese mantenne il carattere stagionale. Entrambe

furono causa dello sviluppo indistriale predominante nelle aree­bersaglio dei movimenti migratori.

La vergogna è stata quindi considerata un risultato della rottura delle tradizioni sociali attraverso una scelta come

quella del dekasegi; tale sentimento fu sicuramente rafforzato per chi partiva da Mikazuki, un kaitaku che quindi

aveva intrinsecamente un motivante per vergognarsi.

7. Da sussistenza a produzione: le tappe del progresso economico

Il Piano attuato nel Giappone postbellico fu il caso di maggior successo a livello mondiale per quanto riguarda il

settore primario. Sicuramente lo sviluppo industriale e, più in generale, della ricchezza del paese, ha aiutato a

finanziare un settore sempre meno considerato nei paesi sviluppati.

L'area di Tsugaru, però, è un esempio delle difficoltà del settore primario dal 1945 al 2005: il clima rigido ha

precluso la coltivazione del riso. Oggi la produzione consiste in mele o riso (non “e”, ma “o”). L'ascesa del valore

delle mele rispetto a quello del riso, dagli anni 80, ha simboleggiato una rivincita della gente povera di questa area.

Ciò aiutò molto anche l'immagine della prefettura di Aomori.

7.1 Le fasi dello sviluppo economico

Economicamente, le fasi in cui è passato Mikazuki furono:

­Sussistenza (46­55): bonifica e consumo domestico.

­Tecnica (55­73): diversificazione delle colture, inizio del progresso. Nascita di cooperative agricole per ogni singolo

prodotto.

­Monoculturale (74­oggi): sussidi economici, sviluppo delle tecniche agricole.

7.2 Alla ricerca della perfezione

Il passaggio alla monocoltura definitivo è stato sancito dalla fine del piano di assistenza ai Kaitaku. Il nuovo e

sconosciuto prodotto è stato un ulteriore motivo di collaborazione e coesione per il villaggio, e motivo di vanto,

soprattutto tenendo conto della bellezza esteriore del frutto (meno per la sua reale bontà). Il processo per ottenere

il frutto perfetto è lungo e delicato, e la pioggia può rovinare tutto. Le fasi di lavoro sono tre: selezione dei fiori

adatti, potatura delle foglie e raccolto. Tutte queste fasi vengono svolte in modo rapido e intensivo, mentre

l'incartamento nelle apposite plastiche e la vendita sono svolte con più calma.

7.3 La logica dell'inclusione: reciprocità e aiuto

Nella frutticoltura l'uso di macchinari è scarso, al contrario della risicoltura, quasi completamente meccanizzata.

Nelle fasi intensive spesso si ricorre a manodopera esterna alla famiglia e agli amici, che ovviamente viene

retribuita, mentre le fasi più tranquille beneficiano dell'aiuto di parenti, vicini e amici. Questa pratica si inserisce

nel concetto di “on” della Benedict, ossia un sistema di

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Publisher
A.A. 2013-2014
7 pagine
2 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-DEA/01 Discipline demoetnoantropologiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher pietrolicini di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Antropologia culturale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bergamo o del prof Torsello Davide.