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SCHEMA.
TACITA MUTA:
divinità infera romana (divinità dei morti) onorata il 21 febbraio;
il suo nome contiene due riferimenti al silenzio;
la sua storia è raccontata nei Fasti di Ovidio: Tacita era una ninfa (una
Naiade) figlia del fiume Almone. Il suo nome era LARA (o LALA o
LARUNDA), nome che deriva dal verbo laleo (dal greco, significa
«parlare»). Prima di diventare Tacita, Lara parlava troppo: rivelò alla
Giuturna l’amore che Giove nutriva per lei, rendendo vani i
sorella
tentativi di seduzione del dio. Giove la punì strappandole la lingua, poi la
affidò a Mercurio affinché la conducesse nel Regno dei morti; durante il
viaggio Mercurio violentò Tacita e da quella violenza nacquero due
gemelli, i Lari Campitales;
veniva onorata anche con il nome di ACCA, la Mater Larum, e celebrata
come la dea del Silenzio con un rito particolare;
Tacita, dea del silenzio, quanto era ancora Lara, aveva fatto cattivo uso
della parola, aveva parlato a sproposito perché era una donna, per una
caratteristica e un difetto tipicamente femminili (secondo Sofocle, tacere
non era solo una virtù, era un dovere delle donne). Tacita, dunque, era un
SIMBOLO.
AIUS LOCUTIUS vs TACITA MUTA:
AIUS LOCUTIUS: anch’egli simbolo come Tacita Muta,
a) è un dio, che si era
manifestato una sola volta (nel 390 a.C.);
b) il suo nome contiene due riferimenti alla parola (Aius da aio;
Locutius da loquor)
In opposizione a Tacita Muta, alla parola di Aius (dunque alla parola
maschile) si poteva e si doveva credere.
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1. ALLA RICERCA DEL POTERE PERDUTO.
1. LA QUESTIONE MATRIARCALE DA BACHOFEN A GIMBUTAS.
Per capire la CONDIZIONE REALE DELLE DONNE ROMANE bisognerebbe
basarsi sulle LEGGENDE, che narrano di personaggi femminili il cui ruolo e le
cui gesta sono assai difficilmente conciliabili con l’immagine di una donna
sottomessa e dominata.
Ciò rivelerebbe l’importanza del RUOLO FEMMINILE, la sua dignità, e i
riconoscimenti di cui le donne godevano in famiglia e nella società.
“forte”
Così, il discorso sulla presenza delle donne nella società riconduce alle
vecchie ma sempreverdi ipotesi matriarcali, e la ragione è molto semplice: fu
di una presenza femminile “forte”
proprio partendo dalla constatazione e
basandosi sulle leggende che nell’Ottocento si giunse a sostenere l’esistenza
storica di un PERIODO DI POTERE FEMMINILE, attraverso il quale sarebbero
passati i popoli dell’antichità, ivi compresi quelli ITALICI.
Il primo a sostenere questa ipotesi, nel celebre DAS MUTTERRECHT (1861) fu
lo storico svizzero JOHANN JAKOB BACHOFEN, secondo il quale tutti i
popoli, nel loro cammino verso la civiltà, dovevano necessariamente e
inevitabilmente attraversare una serie di FASI, che nella ricostruzione
bachofeniana sarebbero state, nell’ordine:
DI PROMISCUITÀ (o “AFRODISISMO”),
1) PRIMA FASE: un PERIODO
nel quale gli uomini, grazie alla loro superiore forza fisica, avrebbero
sottomesso le donne;
2) SECONDA FASE: una seconda fase nella quale le donne, dopo aver
tentato di RIBELLARSI con le armi, usando il potere legato al loro
superiore senso religioso, avrebbero costretto gli uomini ad accettare il
MATRIMONIO MONOGAMICO, impossessandosi del potere sociale e
politico: imponendo quindi la “GINECOCRAZIA”, e dando vita a un
periodo felice, pacifico e democratico, in cui sarebbero prevalsi i valori
12
tipici della natura delle donne, quali la giustizia, l’uguaglianza e la
clemenza;
3) TERZA FASE: infine una terza fase in cui gli uomini, essendo forma e
spirito, a differenza delle donne che erano natura e materia, avrebbero
affermato i superiori valori maschili, e con essi la FAMIGLIA
PATRIARCALE, che avrebbe consentito la NASCITA DELLO STATO,
creazione ultima e suprema dello spazio umano.
Questa prima ipotesi, del SECOLO SCORSO, dunque prospettò che il
MATRIARCATO fosse una realtà storica; inoltre, nella visione bachofeniana
della fase “ginecocratica” sarebbe possibile trovare traccia anche in territorio
italico.
Ma veniamo AI NOSTRI GIORNI.
Vi è un’altra TEORIA.
L’ipotesi del potere femminile torna periodicamente a essere evocata, o
quantomeno torna a essere evocato il ricordo di un’epoca nella quale le donne,
pur non essendo matriarche nel senso tecnico del termine (ovvero, uniche
detentrici del potere politico), avrebbero tuttavia goduto di poteri
successivamente scomparsi.
Questo, infatti è quel che ha sostenuto di recente MARIJA GIMBUTAS, in
un’opera monumentale che ha avuto grandissimo consenso (THE LANGUAGE
OF THE GODDESS, 1989; IL LINGUAGGIO DELLA DEA, 1990).
Dopo aver analizzato all’incirca 2000 manufatti preistorici, GIMBUTAS ha
sostenuto che in EUROPA tra il 7000 e il 3500 a.C. sarebbe esistita una società
caratterizzata dall’UGUAGLIANZA TRA I SESSI: e quindi, tecnicamente,
diversa dal matriarcato. Ma a ben vedere in qualche modo assai simile a questo:
le donne, infatti, avrebbero ricoperto in questa società un ruolo dominante come:
sacerdotesse o
capi clan, 13
e la vita sarebbe stata governata da una GRANDE DEA, simbolo della nascita,
della morte e del rinnovamento.
Ma questa pacifica società sarebbe stata spazzata via da una CULTURA
DIVERSA, emersa dal bacino del Volga, che seppelliva i morti in tombe
circolari e che per questa ragione GIMBUTAS definisce KURGAN (in russo,
«TUMULO»).
Una SOCIETÀ/NUOVA CULTURA in cui si addomesticava il cavallo e si
producevano armi letali, che si sarebbe imposta tra il 4300 e il 2800 a.C., e che
avrebbe trasformato l’autentica cultura europea in una cultura
ANDROCENTRICA e PATRILINEARE, cambiando per sempre il corso della
storia.
L’affermazione che le DONNE, in un lontano passato, avrebbero detenuto il
potere, appare spesso l’espressione di un DESIDERIO: il desiderio di credere
che, come un giorno è esistita una società senza soprusi, che rispettata la natura e
non conosceva la guerra, così un giorno tornerà a esistere un mondo migliore.
Il POTERE DELLE DONNE come desiderio di un mondo migliore, dunque: e
che a un simile desiderio non si voglia rinunziare è più che comprensibile; ma la
storia non è fatta di desideri. È scritta su documenti, su prove, o quantomeno su
indizi.
È necessario soffermarsi sulle DONNE ROMANE: e concentrandosi sulla zona
geografica che ci interessa, il territorio italico, è importante vedere in che misura
trovano riscontro nella realtà delle fonti.
Ci sono alcune ipotesi che non parlano di un vero e proprio matriarcato; a volte,
infatti, parlano di un potere ricollegato al fatto che un tempo la società sarebbe
stata MATRILINEARE.
In altre parole sarebbe stata una società nella quale l’appartenenza alla famiglia,
il nome e i diritti ereditari sarebbero stati trasmessi in linea femminile.
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Altre volte affermano che le DONNE avrebbero goduto di una totale libertà di
movimento, di una completa capacità giuridica (in materia di diritto privato) e di
un grande rispetto sociale.
In altri casi queste ipotesi ricollegano la posizione di dominio delle donne alla
considerazione che il potere politico sarebbe stato trasmesso PER FEMINAS.
SCHEMA.
Ipotesi matriarcali e di un periodo di potere femminile:
JOHANN JAKOB BACHOFEN:
a) storico svizzero che nel suo Das Mutterrecht del 1861 afferma che
tutti i popoli, nel loro cammino verso la civiltà, dovevano
necessariamente attraversare tre fasi: “afroditismo”;
1) prima fase: periodo di promiscuità o
2) seconda fase: le donne impongono la ginecocrazia e
costringono gli uomini ad accettare il matrimonio
monogamico. Periodo felice;
3) terza fase: gli uomini impongono i superiori valori maschili e
la famiglia patriarcale. Ciò consente la nascita dello Stato.
MARIJA GIMBUTAS:
a) nel suo The language of the Goddess del 1989 sostiene che in
Europa tra il 7000 e il 3500 a.C. . sarebbe esistita una società
caratterizzata dall’uguaglianza tra i sessi, quindi diversa dal
matriarcato. Le donne avrebbero ricoperto in questa società
dominante come sacerdotesse o capi clan, e la vita sarebbe
governata da una grande dea;
b) secondo Gimbutas questa società sarebbe stata spazzata via da una
cultura diversa proveniente dal bacino del Volga che avrebbe
trasformato l’autentica cultura europea in una cultura androcentrica
e patrilineare. 15
2. LEGGENDA O REALTÀ? TANAQUIL E LE DONNE
ETRUSCHE.
TANAQUIL, LA REGINA.
Il personaggio dal quale parte questa ricerca è TANAQUIL, la regina etrusca alla
cui storia, nel 1870, BACHOFEN dedicò un celebre saggio, che a lungo rimase
uno dei fondamenti della teoria matriarcale e che ancor oggi viene citato da
coloro che non vogliono rinunciare a credere nella realtà di un’antica scomparsa
influenza delle DONNE sulle istituzioni politiche.
TANAQUIL, un personaggio straordinario.
Regina di Roma (fu moglie di TARQUINIO PRISCO/LUCUMONE) ma non
romana: una donna dalle capacità significative, esperta come tutti gli etruschi di
PRODIGI.
E di molti prodigi TANAQUIL diede interpretazioni rilevantissime per la storia
di Roma.
Ripercorriamo le tappe fondamentali della sua storia: ELLA, con il marito
destinato a diventare re, che allora si chiamava LUCUMONE, lasciò la natia
Etruria per cercare fortuna a Roma; non perché la sua vita in Etruria non fosse
già più che agiata, piuttosto perché era donna di grandi ambizioni, che essendo
nata da nobilissima famiglia, mal sopportava, dopo aver sposato LUCUMONE,
di trovarsi in una condizione sociale inferiore a quella di origine.
LUCUMONE, infatti, pur essendo ricchissimo, era figlio di un profugo straniero,
DEMERATO CORINZIO.
Per questo gli ETRUSCHI lo disprezzavano.
TANAQUIL, dunque, aveva deciso che a Roma, nuova città, il marito avrebbe
potuto far valere le sue capacità, conquistando quel potere al quale
disperatamente ella ambiva. 16
Dopo aver facilmente convinto LUCUMONE, a sua volta avido di onori,
TANAQUIL aveva quindi intrapreso il viaggio verso la città che le avrebbe dato
la gloria.
Ecco come TANAQUIL diede prova delle sue capacità di interprete:
1. nel corso del viaggio verso Roma, camminando e arrivando nei pressi del
Gianicolo, seduta sul carro accanto al marito, aveva assistito a un
prodigio: un’aquila era scesa sulla testa di LUCUMONE, planando, e gli
aveva volto il berretto (PILLEUM). Volteggiando quindi sul carro come se
adempisse a una missione divina, glielo aveva rimesso su