Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
I GRANDI PROCESSI ALLE AVVELENATRICI.
Vi furono numerosi processi contro donne accusate di AVVELENAMENTO
(VENEFICIUM), un reato che i Romani, e prima di loro i greci, consideravano,
da sempre, tipicamente femminile.
Il PRIMO di questi processi venne celebrato nel 331 a.C.
Durante il consolato di M. CLAUDIO VALERIO e C. VALERIO POTINO,
alcuni notissimi personaggi erano morti in circostanze misteriose.
Ma una schiava, dopo aver chiesto e ottenuto l’impunità in cambio della
rivelazione, raccontò all’edile curule Q. FABIO MASSIMO che la strage era
stata la conseguenza di una “frode femminile” (muliebris fraus): alcune matrone
avevano preparato e somministrato alle vittime dei potenti veleni. E fece dei
nomi. A questo punto gli eventi precipitarono: nelle case delle accusate furono
trovate delle pozioni misteriose, che furono portate nel Foro, ove vennero
convocate una ventina di matrone.
Due di esse, CORNELIA e SERGIA (ambedue di stirpe patrizia), dissero che si
trattava di VENENA BONA, vale a dire di farmaci benefici: medicinali, dunque.
Ma la loro accusatrice le sfidò a berli, e dopo averli bevuti le matrone morirono.
Tutte e venti.
Il fatto era così grave che fu necessario purificare la città: quanto era accaduto
non poteva essere che un PRODIGIUM, un segno dell’ira divina, che andava
placata con un atto espiatorio.
Le altre indiziate, ben 170, furono tutte condannate a morte.
Questo episodio sconcertante è stato interpretato negli anni settanta come un atto
di RIVOLTA FEMMINISTA, come un momento di lotta femminista, combattuta
contro gli uomini con le armi che le donne ritenevano giusto venissero utilizzate
tra uomini nella lotta di classe.
Questi numerosi processi indicavano l’inizio di una rivolta femminile e
l’esistenza di un serio problema nel rapporto fra i sessi, chiaramente turbato da
69
un’atmosfera di diffidenza e di sospetto, che col passare del tempo diventava
sempre più pesante.
Gli uomini, infatti, erano sempre più assenti, in guerra o ad adempiere il loro
dovere nelle province: e questo fatto, anche se avvantaggiava patrimonialmente
le donne e dava loro maggior libertà, era tuttavia al tempo stesso fonte di disagio
d’irrequietezza.
e
Così, si diffusero rapidamente a Roma i CULTI BACCHICI, che nei primi
decenni del II secolo a.C. lo Stato represse ferocemente.
Questi culti portavano con sé una promiscuità sessuale doppiamente
inammissibile, perché al culto di Bacco erano ammessi anche gli schiavi.
Il pericolo sociale era evidente.
Cos’erano i VENENA?
I VENENA, che le donne conoscevano e preparavano, di regola, non erano
farmaci letali, bensì medicamenti.
Dall’antichità più remota, le DONNE RACCOGLITRICI avevano imparato a
conoscere le proprietà buone e cattive delle erbe, delle bacche e delle spezie.
Non a caso dunque, nel mondo greco, le donne erano tradizionalmente
considerate maghe: non solo quando, come CIRCE, lo facevano per così dire di
mestiere (ai danni degli uomini), ma anche quando, come ELENA, erano capaci
di preparare pozioni miracolose, che davano il benessere e l’oblio.
Anche le DONNE ROMANE conoscevano le proprietà benefiche e malefiche
delle sostanze naturali.
Con queste preparavano medicinali destinati essenzialmente a curare malattie
ginecologiche.
E così, a margine di alcuni culti femminili rigorosamente vietati agli uomini,
come il culto di BONA DEA, si era creata una circolazione di conoscenze
mediche, destinate appunto ad aiutare le donne durante la gravidanza e dopo il
parto. 70
Presso il tempio di Bona Dea, scrive MACROBIO, si trovava una farmacia, ove
venivano conservate le erbe con le quali le sacerdotesse confezionavano i
medicamenti.
Ma questo non impediva che, talvolta, dei VENENA le donne facessero anche un
cattivo uso: ad esempio, quando li usavano per procurarsi un aborto all’insaputa
della prole”,
del marito (l’“avvelenamento punito da ROMOLO con il
RIPUDIO), o anche per uccidere.
Ma non necessariamente i mariti; col veleno si spegnevano i dissapori coniugali e
quelli familiari: si parla di donne che uccisero le proprie madri, i propri figli, e
via dicendo.
Le donne, infine, avevano acquistato sempre maggior libertà e indipendenza.
71
L’EMANCIPAZIONE.
1. LE NUOVE REGOLE GIURIDICHE.
Col passare del tempo, le regole giuridiche originarie erano state superate, e
avevano lasciato spazio a un nuovo tessuto di regole, che nel tempo consentì una
notevole evoluzione della condizione femminile.
72
IL MATRIMONIO CONSENSUALE.
A partire dal II secolo a.C. l’abitudine di trasferire la moglie nella famiglia del
marito cominciò a cadere in desuetudine: questa abitudine era una problema già
nel periodo delle XII Tavole: se la moglie si allontanata ogni anno per tre notti
dalla casa del marito, compiendo l’atto detto TRINOCTIUM o TRINOCTIS
USURPATIO (affinché il termine della usucapione non si compisse), il marito
non acquistava la manus su di lei, così lei restava sotto il potere paterno.
Per chi era nata la regola del TRINOCTIUM?
Secondo alcuni era nata per l’interesse delle donne, a seguito di un processo
sociale influenzato dalla volontà di queste. Ma questa ipotesi sembra
incompatibile con la cultura dell’epoca. Quando nacque il TRINOCTIUM
(presumibilmente prima della metà del V secolo a.C., momento in cui fu
codificato nelle XII Tavole), le donne non avevano alcuna autonomia di
desiderio e di volontà.
Anche se l’allontanamento dalla casa maritale presupponeva la collaborazione
della moglie, dunque, questo non significa che fosse da lei voluto.
Volontario era solo un atto autonomamente deliberato.
E il TRINOCTIUM realizzava una decisione che non era di chi materialmente lo
compiva.
A decidere l’allontanamento di una moglie dalla casa coniugale (così come a
decidere del suo matrimonio) erano il PATER FAMILIAS e il futuro MARITO di
lei.
La scelta tra un matrimonio CUM MANU e uno SINE MANU (come vengono
rispettivamente denominati i matrimoni accompagnati e quelli non accompagnati
dal passaggio della donna nella nuova famiglia).
Non riguardava esclusivamente i due coniugi. Riguardava le due famiglie, una
delle quali (quella della donna), perdeva un erede, mentre l’altra (quella del
marito) ne acquistava uno. 73
Il TRINOCTIUM era, insomma, una questione patrimoniale.
A partire dal II secolo a.C. il matrimonio CUM MANU divenne sempre più raro.
Le unioni matrimoniali contraevano sempre più spesso senza alcuna formalità
costitutiva.
Il che non significa, peraltro, che l’inizio della convivenza avvenisse
informalmente. Esso continuava a essere accompagnato da cerimonie che
solennizzavano e rendevano di pubblico dominio la nascita del nuovo focolare
domestico.
Abitualmente il costume prevedeva che, dopo che erano stati presi gli auspici e
che erano stati compiuti i sacrifici, nella casa della sposa venisse offerto un
banchetto.
La sposa quindi veniva accompagnata in processione, al lume delle torce, nella
casa del marito, mentre gli amici dello sposo cantavano canzoni che esaltavano la
virilità di questi e gettavano sugli sposi delle noci, come augurio di fecondità.
Giunta nella futura casa, la sposa ne varcava la soglia sulle braccia del marito e
offriva agli dèi acqua e fuoco.
Forse, secondo la tradizione, continuava a pronunciare la celebre frase: UBI TU
GAIUS, IBI EGO GAIA, quasi certamente già in uso ai tempi della
CONFERREATIO.
Ma forse questa parte caffè in desuetudine, così come, forse era caduto in disuso
il rito della COELIBARIS HASTA.
A questo punto, il matrimonio esisteva quando due persone fornite della capacità
matrimoniale stabilivano una convivenza accompagnata dalla MARITALIS
AFFECTIO, vale a dire dall’intenzione di essere marito e moglie.
Certamente, un cambiamento non da poco rispetto ai tempi antichi, un modo
diverso di concepire il matrimonio: un modo più libero che ha spesso indotto a
esaltare il matrimonio romano classico come ispirato al massimo rispetto e alla
massima valorizzazione del consenso. Donde la definizione di questo matrimonio
come “CONSENSUALE”. 74
il matrimonio fosse veramente “consensuale”
Ma che è cosa assai discutibile, o
quantomeno, è cosa che dipende dal significato che si attribuisce a questo
termine. 75
QUALE CONSENSO? “libero”.
Il matrimonio era ormai
Ma non significava che fosse liberamente e autonomamente deciso dagli sposi.
Il matrimonio era libero nel senso che non richiedeva forme costitutive; nel senso
che esisteva quando la convivenza tra due persone fornite di CONUBIUM era
accompagnata dall’intenzione degli sposi di essere marito e moglie.
Ma accanto a questa intenzione degli sposi (peraltro indispensabile per
l’esistenza del matrimonio), se questi erano ALIENI IURIS, era necessaria anche
“intenzione”.
un’altra
Perché il matrimonio esistesse, in questo caso, era necessario il consenso dei
rispettivi PATERFAMILIAS, la cui volontà del resto cominciava a mostrare il suo
peso fin dal momento del fidanzamento.
Le fonti, infatti, pur chiarendo che il fidanzamento non poteva essere concluso
senza il consenso dei futuri sposi, sono altrettanto chiare nel segnalare che non
poteva esistere un FIDANZAMENTO che prescindesse dalla volontà paterna.
E lo stesso principio valeva anche con riferimento al MATRIMONIO.
Il matrimonio non può esistere se non vi è consenso di tutti, di coloro che si
sposano e di coloro che hanno la potestas su di essi.
Bisogna però dire che il CONSENSO FILIALE, considerato necessario, era un
“consenso passivo”, che non necessariamente comportava il desiderio di sposarsi,
o di sposare quella determinata persona.
E non è tutto: quantomeno sino al II secolo d.C., quando questo diritto cominciò
a essere contestato, i padri potevano interrompere il matrimonio dei figli,
femmine o maschi che fossero.
Il fatto che il CONSENSO PATERNO fosse indispensabile all’esistenza del
matrimonio, infatti, comportava che il venir meno di questo portasse allo
scioglimento del vincolo. 76
Per concludere, il matrimonio poteva essere liberamente scelto dai coniugi e
basato esclusivamente sul loro consenso solo nel caso che questi fossero
entrambi SUI IURIS.
Ma ciononostante, rispetto ai primi secoli, le cose erano notevolmente cambiate.
Nei primi secoli, la moglie non poteva chiedere il DIVORZIO, ma il marito
poteva ripudiare la moglie.
E una legge attribuita a Romolo stabiliva, come unico limite a suo carico, che se
lo faceva senza una “giusta causa” fosse tenuto a pagare una fo