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La funzione informativa attribuita al conto economico non può essere unicamente la determinazione
periodica del risultato netto, ma è piuttosto illustrare come tale risultato sia stato ottenuto, evidenziando
l’incidenza quali-quantitativa sul medesimo dei suoi vari elementi componenti, in modo da permettere di
apprezzare il “peso” delle aree caratteristica, accessoria, finanziaria, straordinaria e fiscale sull’andamento
economico-reddituale della gestione aziendale.
Sono molteplici le strutture di conto economico derivanti da specifici criteri di riclassificazione, tuttavia
l’elemento unificante dovrebbe essere costituito dal consentire un’analisi delle cause gestionali che su tale
risultato finale hanno inciso nel periodo. Ciò che differenzia i diversi schemi utilizzabili è il criterio
adottabile per organizzare l’esposizione dei componenti economici scaturenti, in via ordinaria, dalla
gestione caratteristica.
1. Conto economico a costo del venduto: permette un immediato confronto tra il valore dei ricavi di
vendita e il valore dei correlativi costi caratteristici.
La logica che permea questo schema postula la piena conoscenza e disponibilità di dati che per le
imprese industriali normalmente non sono rinvenibili dai bilanci di esercizio pubblicati. Ciò limita
quindi l’adottabilità dello schema ai soli analisti interni.
La classificazione dei costi accolta è quella di tipo destinativo-funzionale e non quella per natura
richiesta per la redazione del conto economico destinato a pubblicazione.
Va quindi osservato che se è possibile affermare che la valenza informativa di questo schema di
riclassificazione è massima per le imprese manifatturiere, è proprio per queste che esso si rivela
sostanzialmente inadottabile per gli analisti esterni.
2. Conto economico a PILc e VANc: qui, la logica di rappresentazione della dinamica economico-
reddituale riflette una diversa nozione di ricavo e costo, intendendosi per ricavo ogni reintegro o
incremento di valore e per costo ogni consumo o perdita di valore connessi al processo
produttivo. Essa è riconducibile alla struttura di conto economico a “costi e ricavi integrali della
produzione di periodo”, propria della dottrina ragioneristica tedesca.
NB. In questa impostazione non è più il momento della vendita a risultare dominante, bensì quello della
produzione: il conto economico è chiamato a illustrare in primo luogo la misura della nuova ricchezza lorda
prodotta dall’impresa nell’ambito dei propri processi produttivi caratteristici (PILc), in secondo luogo la
misura della “ricchezza” che è stato necessario sacrificare nell’ambito del processo produttivo per
pervenire alla determinazione del valore differenziale (VANc).
Le imprese sono quindi soggetti il cui compito è di generare nuova ricchezza netta per il complessivo
sistema economico. Tale ricchezza netta viene poi a essere distribuita tra:
Soggetti che hanno permesso che il processo produttivo potesse avere luogo:
- Lavoratori
- Soggetti che hanno dato all’impresa la disponibilità di capitali (soci, etc.)
Lo Stato, per la sua funzione redistributiva della ricchezza prodotta e a fronte delle infrastrutture e
servizi pubblici di cui è titolare.
Idealmente dunque il conto economico è composto di due parti distinte:
a) La prima parte illustra come l’impresa ha saputo generare valore aggiunto caratteristico;
b) La seconda parte come questo sia stato distribuito.
Questa modalità di rappresentazione comporta il mantenimento del criterio classificatorio “per natura” per
permettere di cogliere l’incidenza delle diverse tipologie di “ricavo” sul PILc, quindi l’incidenza delle diverse
tipologie di consumo sul PILc medesimo, fino a permettere un confronto tra il VAN così determinato e la
parte di questo che l’impresa ha attribuito ai dipendenti, sotto forma di costo del lavoro.
Ciò consente di ottenere informazioni utili ai fini dell’apprezzamento delle complessive condizioni di
produttività con cui l’azienda stessa ha operato.
La significatività di questo schema di CE è massima nelle imprese industriali.
3. Conto economico a PILc e MOLc: anche questo schema deriva concettualmente dal costo
economico a costi e ricavi integrali di produzione di matrice tedesca.
Concretamente è simile a quello a PILc e VANc, con la stessa struttura fino alla determinazione del
Valore Aggiunto Lordo caratteristico (VALc), e qui si discosta: inverte la sequenza in relazione ai
consumi e alle perdite di valore di fattori produttivi durevoli e al costo del lavoro.
Si determina il Margine Operativo Lordo caratteristico (MOLc= VALc – retrib. – oneri) sottraendo al
VALc le retribuzioni e gli oneri a essere relative.
Dal MOLc ci si riporta al ROC (ROC= MOLc – amm.ti – acc.ti – altre perdite) sottraendo
ammortamenti, accantonamenti e le altre perdite di valore degli elementi del circolante.
Il MOLc (noto anche come EBITDA – Earning Before Interest Taxes Depreciation and Amortization) è una
grandezza di elevate significatività ed esprime ciò che rimane a disposizione dell’impresa dopo aver coperto
tutti I costi caratteristici di natura finanziaria. È caratterizzato da un più elevato grado di attendibilità, in
quanto non risente della soggettività determinativa propria delle stime e congetture da cui scaturiscono gli
ammortamenti, gli accantonamenti e talune svalutazioni.
4. Conti economici a margini di contribuzioni: tipici delle elaborazioni volte a supportare i processi di
programmazione e controllo dell’attività aziendale – costituiscono dunque degli strumenti interni,
di supporto al processo gestionale dell’impresa.
Derivano da un’impostazione teorica che distingue i costi in due macrotipologie: i costi variabili e i costi
fissi. Secondo questo approccio, solo i costi variabili possono essere considerati come costi di “prodotto”
in quanto sono gli unici che si modificano a livello totale al variare dei volumi di attività. I costi fissi invece
non dipendono dai volumi di attività, dunque vanno considerati come costi di “periodo”, non di
“prodotto”.
Qui, i Margini Lordi di Contribuzione indicano quanto resta a disposizione dell’impresa per contribuire alla
copertura dei costi fissi e alla complessiva generazione di reddito, dopo che dai ricavi di vendita sono stati
sottratti i costi variabili.
NB. In altri termini, il margine di contribuzione di una produzione indica il contributo che tale produzione
offre alla copertura dei costi di “periodo” (i costi fissi) e alla generazione di reddito operativo caratteristico.
Stato patrimoniale riclassificato
La funzione informativa dello SP è quella di illustrare la composizione quali-quantitativa del capitale di
funzionamento esistente alla fine del periodo cui il bilancio si riferisce. Sotto il profilo formale si presenta
tradizionalmente a sezioni divise e accostate o sovrapposte.
Anche qui, le strutture di stato patrimoniale riclassificato sono molteplici.
1. Stato patrimoniale finanziario: in questo schema gli elementi patrimoniali vengono osservati
secondo un’ottica che vede nei valori dell’attivo e del passivo rispettivamente operazioni di
investimento e di finanziamento in corso. Lo SP finanziario “ordina” le voci di cui si compone
secondo un criterio basato sul grado di liquidità per gli investimenti e di esigibilità per i
finanziamenti.
La macro-organizzazione è la seguente:
Investimenti:
- Disponibilità
- Immobilizzazioni
Finanziamenti:
- Finanziamenti di breve termine
- Finanziamenti di medio-lungo termine
- Finanziamenti permanenti
Il riferimento alla logica finanziario-monetaria privilegia gli aspetti sostanziali delle operazioni aziendali,
piuttosto che quelli giuridico-formali, in quanto la gestione aziendale viene colta nella sua interezza come
sistema di operazioni in atto. Questo enfatizza l’importanza del danaro come elemento unificante i diversi
“circuiti”.
Questa struttura consente di individuare opportune correlazioni orizzontali, le quali danno modo di
esaminare congiuntamente gli equilibri (o i disequilibri) esistenti nella struttura degli investimenti e dei
finanziamenti stessi. Consente inoltre:
Di vedere come sono stati finanziariamente “coperti” gli investimenti durevoli, sapendo che la
condizione di ottimo sarebbe quella in cui tale copertura fosse stata integralmente ottenuta dai
finanziamenti permanenti;
Di vedere l’incidenza dei finanziamenti di breve sulle disponibilità, sapendo che l’ammontare dei
primi non deve mai superare l’ammontare delle seconde, se non a rischio di fortissimi e imminenti
problemi di solvibilità.
2. Stato patrimoniale destinativo-soggettivo: gli elementi patrimoniali vengono osservati secondo
un’ottica che vede nei valori dell’attivo e del passivo prevalentemente beni e debiti. L’aggettivo
“destinativo-soggettivo” richiama esplicitamente i criteri classificatori che lo caratterizzano,
costituiti da:
- Destinazione d’uso prevista dagli amministratori, per gli elementi dell’attivo;
- Provenienza soggettiva per gli elementi del passivo.
Questo schema di SP organizza gli elementi costituenti il patrimonio aziendale nei seguenti macro-
raggruppamenti:
Per gli elementi patrimoniali attivi:
- Attività circolanti (capitale circolante): “beni” destinati a “rigirarsi” più volte all’anno
nell’ambito dei cicli operativi dell’impresa, beni che rilasciano la loro utilità in un unico
atto/momento produttivo – che rappresentano dunque impieghi di risorse a rapida e diretta
rotazione;
- Attività fisse (capitale fisso): “beni” destinati a un utilizzo durevole, che si rigirano lentamente
attraverso una pluriennale partecipazione ai processi produttivi dell’impresa – rilasciano la loro
utilità gradualmente.
Per gli elementi patrimoniali passivi:
- Passività di terzi (capitale di credito): capitale direttamente o indirettamente proveniente dai
soggetti terzi, cioè i debiti
- Passività proprie (capitale proprio): capitale proveniente dai soci.
I pregi di questo schema di SP risiedono essenzialmente nella possibilità di esaminare la composizione
quali-quantitativa del patrimonio aziendale con particolare riferimento:
alla provenienza delle risorse ottenute e alle modalità di loro impiego;
all’apprezzamento del grado di elasticità/rigidità delle attività;
all’apprezzamento del grado di dipendenza/indipendenza dalle passività di terzi.
3. Stato patrimoniale della