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2. LAUDES REGIAE DI SOISSONS

Si tratta di una serie di acclamazioni formulari in onore di papa Adriano I, di Carlo Magno,

della moglie Fastrada, e dei figli del sovrano. Devono essere anteriori al 794, anno della

morte di Fastrada, e anche al 792, dato che ancora è menzionato il figlio Pipino il Gobbo, in

quell'anno caduto in disgrazia presso il padre.

Ci troviamo davanti a una fissazione di un costrutto orale di “latino della parola”.

Le Laudes recuperano una tradizione cerimoniale risalente agli ultimi secoli dell'impero

romano: quella della pronuncia collettiva di formule di omaggio, ad esempio o al momento

di incoronazione del sovrano, o durante assemblee, feste, cerimonie religiose.

Esse rivelano, sia sul piano fonetico sia su quello del lessico, della sintassi e della

morfologia, la loro appartenenza ad un livello linguistico molto basso: lo stesso

dell'assemblea popolare che era tenuta a pronunciarle.

E' indubbio che anche il livello del trascrittore (monaco) non doveva essere molto

superiore, sono infatti da imputare a lui alcune delle deviazioni del testo della norma latina.

3. GLOSSE SILENSI

Situazione comunicativa ambigua: consapevolezza del volgare meno netta rispetto alla

delibera XVII del Concilio di Tours.

Glosse provenienti da Santo Domingo de Silos. Qui, il copista non aggiunge le glosse, ma

le copia insieme col Penitenziale, cioè trascrive un esemplare – perduto – di questo

Penitenziale già a sua volta fornito di glosse; assistiamo dunque al processo di diffusione di

un manuale di peccati e relative penitenze “facilitato”, cioè ad uso di confessori che ormai

faticavano a comprendere le prescrizioni ecclesiastiche.

La lingua delle glosse iberiche è senza dubbio volgare: almeno nella coscienza degli ignoti

monaci glossatori, il sistema linguistico latino e quello neolatino appaiono due entità

nettamente distinte.

4. GIULLARI

5. NOTA EMILANENSE

Vistosamente connessa con la circolazione di stranieri sul Cammino di Santiago, questa

precocissima allusione appare una delle conferme alla tesi di Bedier, secondo cui l'attività

combinata di monaci e giullari lungo le grandi vie di pellegrinaggio sarebbe determinante

per la diffusione dell'epica romanza.

Si tratta della Nota Emilanense, riassunto in prosa latina di un perduto testo rolandiano

proveniente dal monastero di San Millán de la Cogolla, punto di riferimento obbligato per i

pellegrini diretti al santuario galiziano.

La Nota è costituita dal breve ma preciso sunto delle vicende della campagna francese del

778, culminata nello scontro di Roncisvalle; venne trascritta da un copista dell'XI secolo,

che faceva ancora uso della littera visigotica, nella parte rimasta vuota di un manoscritto

del secolo precedente. La si attribuisce alla mano di un notaio o di un monaco scoliasta.

Appartiene quindi ad un'epoca cui non possiamo riferire nessun'altra testimonianza che ci

renda nota l'esistenza di una qualche versione della Chanson de Roland.

È un reperto dal tenore già letterario, presenta un'elaborazione reale degli avvenimenti,

lontana delle testimonianze cronachistiche o storiche tra cui quella di Eginardo.

La Nota vira in senso letterario: nei testi storiografici non compare per esempio l'uccisione

di Rolando da parte dei musulmani; nella tradizione letteraria a noi pervenuta attraverso il

manoscritto capostipite della Chanson, quello di Oxford, la versione degli avvenimenti è

molto distante.

Le differenze riguardano sia omissioni che aggiunte: non si parla del tradimento di Gano,

né di Olivieri come compagno privilegiato di Rolando, vengono invece inseriti personaggi

appartenenti ad altri cicli leggendari come Guglielmo d'Orange.

Questo breve sunto ci mette sulle tracce di un’elaborazione arcaica della leggenda

rolandiana, probabilmente già sfociata in un vero e autonomo prodotto letterario, diffuso per

tramite giullaresco: troppo preciso e ricco di dettagli per pensare che l’estensore della Nota

abbia semplicemente appuntato sulla pergamena la traccia di una leggenda orale giuntagli

all’orecchio.

Meno facile sembrano le considerazioni riguardo la lingua del testo di ispirazione: si

trattava di un testo francese o di uno già tradotto in castigliano?

Considerazione fonetica  Di sicuro la fonte del monaco di San Millán doveva essere

metrica: l'epica medievale, in quanto genere cantato e dotato di accompagnamento

musicale, obbligava all'uso del verso. L’elemento che ci spinge a pensare che i versi di cui

si componeva il poema perduto fossero castigliani: due forme (Rodlane e Bertlane) recano

la presenza della cosiddetta e paragogica, tratto tipico del verso epico spagnolo che, non

tollerando parole ossitone in rima (come Rodlan, Bertlan etc..), le rendeva parossitone

mediante l'aggiunta di una -e atona.

6. I GIURAMENTI DI STRASBURGO

Il 14 febbraio dell'842 i due figli minori del defunto imperatore Ludovico il Pio, Ludovico il

Germanico (re dei franchi orientali di lingua tedesca) e Carlo il Calvo (re dei franchi

occidentali) consolidano la loro alleanza contro il fratello primogenito, l'imperatore Lotario.

Il giuramento, che coinvolge direttamente anche gli eserciti, è descritto fedelmente dallo

storico Nitardo, osservatore acuto di vicende politiche che spesso lo ebbero testimone

oculare. Egli si rende conto dell'importanza, formale e sostanziale della cerimonia di

Strasburgo: sceglie quindi di riportare nell'Historia le formule del giuramento in tutta la loro

esattezza linguistica, evitando qualsiasi tipo di travestimento latino.

Ciascun esercito giura nella propria lingua, ogni sovrano giura nella lingua dell'altro

sovrano e dell'arto esercito: è evidente che nella formulazione dei doppi giuramenti si deve

essere ricorsi a una lingua standardizzata, ai fini di renderlo comprensibili a soldati

provenienti dalle diverse regioni dei due domini linguistici.

L'unico manoscritto conservato dell'Historia è posteriore di circa un secolo alla redazione

dell'opera, tuttavia sembra che il copista si sia mantenuto fedele al suo modello: vi è la

presenza di vistosi arcaismi nelle formule francesi (i in luogo di è, u in luogo di ò; incertezze

nella resa delle finali semi-mute; mancanza di qualsiasi tipo di articolo).

Che origine hanno le formule di giuramento riportate da Nitardo? Sicuramente non ci

troviamo di fronte a un testo improvvisato al momento; le formule sono marcatamente

tecniche, già fissate nella consuetudine, anche se si tratta di costrutti che solo nell'oralità

possono esprimere tutto il loro effetto e le loro potenzialità locutive.

Wunderli ha parlato di 'oralité conceptionelle': pur redatte in ambiente cancelleresco e sulla

base di un modello latino, sono comunque formule obbligate a realizzarsi in un atto di

parola, che, in questo caso, costituisce l'essenza stessa del rito.

7. Passione di Augsburg

Molto recente è anche il ritrovamento di un secondo brevissimo testo occitanico, questa

volta in versi, da riferire al pieno X secolo.

Il poemetto allude ad alcuni episodi della passione di Cristo ed è nettamente diviso in sei

unità metriche, due delle quali si ripetono identiche in terza e sesta posizione.

<Ailas,> als poins batraunt sos caus,

et lab escar diraunt sos laus,

et en la crux l’apenderaunt,

et ab l’azed lo potaraunt,

si greu est a parlar,

et en la crux l’apenderaunt.

Il testo riprodotto, proposto da Hilty, rispecchia solo a partire dal v. 3 la situazione

effettivamente riscontrabile nel manoscritto: Hilty propone infatti un'ipotesi correttoria volta

a togliere una patina oitanica sovrappostasi al testo durante il suo passaggio dal Sud al

Nord. Nonostante l'interventismo massiccio di Hilty, che si contrappone all'atteggiamento

conservativo del primo editore Shmidt, le sue proposte devono essere accolte poiché

hanno il merito di ricostruire un testo più coerente con il racconto evangelico.

Hilty tende inoltre a dividere il testo in due distici ritmati ottosillabici, seguiti da un verso

finale esasillabico: il testo si esaurirebbe dunque in un unico organismo strofico di cinque

versi, nel quale però non si vede come inserire il sesto e ultimo verso.

Il primo problema da risolvere nel discutere l'assetto metrico della Passione, è se si tratti di

un frammento o di un testo completo.

Se il testo fosse completo, il sesto verso non potrebbe essere staccato dalla serie che lo

precede, ma dovrebbe trovare una collocazione coerente all'interno dello schema

prosodico. Non ci sono seri ostacoli ad accogliere l'ipotesi di integrità: sul piano dei

contenuti esso condensa tutti i momenti più drammatici del racconto evangelico, gli episodi

sono inoltre riportati nello stesso ordine del Vangelo. La ripresa dislocata del terzo verso

non risponde quindi a una logica di tipo narrativo, bensì a una di tipo marcatamente

espressivo: trasformato in refrain e destinato all'esecuzione corale, il verso diventa il vero

centro drammatico del testo. La presenza di un verso di refrain in terza e in ultima

posizione potrebbe spingerci ad avvicinare il nostro testo ad alcuni esempi di strutture

strofiche che presentano i due refrain, venendo così a costituire i primi esempi di una forma

fissa che avrà enorme fortuna nella poesia francese del tardo Medioevo: il rondeau. La

Passione di Augbsurg potrebbe essere un tropo costruito sul tipo dei rondeaux arcaici.

8. Benedizioni di Clermont-Ferrand

Bernahard Bischoff, qualche anno fa, scoprì che, sui margini di un manoscritto di fine IX o

inizi X secolo, una mano di alcuni decenni più tarda di quella del copista principale

(risalente alla metà del X secolo) aveva trascritto due formule facenti entrambe parte del

filone paralettereario delle benedizioni (o incantesimi, o scongiuri) destinate a guarire i

postumi di determinati incidenti o malattie.

La tradizione di queste formule è documentata fin dall'epoca romana e l'avvento del

Cristianesimo non ne bloccò la fortuna.

Nella prima delle due, la più interessante a livello linguistico, abbiamo una notevole ricerca

di assonanze e di effetti ritmici, e, soprattutto, la costruzione di un'architettura formale dal

carattere marcatamente simbolico.

L’idea della tumefazione (la terapia per guarire) è espressa dall’aggettivo tumidus. Con ogni

probabilità si tratta di una tumefazione del bambino nominato nel testo, che deve essere

guarita.

Ma il concetto di 'tumefazione' invade tutto il testo, non soltanto il corpo del bambino, ma

anche la madre e le armi (bastone e ferro) stesse che l'hanno provocata.

Anche la struttura della seconda parte imita le presunte tappe dell'abbandono, da parte

della malattia, del

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
14 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/09 Filologia e linguistica romanza

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Cleira12 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filologia romanza e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Sacchi Luca.