Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Paradiso e indicandone, in un certo modo, l’ardua altezza, richiamando
quello che nel Medioevo era ritenuto il sommo tra i poeti.
Sì come quando Marsia traesti
De la vagina de le membra sue
Rifacendosi, come di consueto alle Metamorfosi di Ovidio, che costituisce
il testo principale di mitologia degli scrittori medievali, Dante colloca
qui, sintetizzato in due versi, il racconto della gara poetica tra Apollo ed
il satiro Marsia, per indicare la straordinaria forza della poesia che si
manifesta proprio in una lotta. Non a caso, Dante adopera la parola
“aringo”. “ Quando così ebbe riferito, né so chi sia stato, la miserabile
fine di quegli uomini della gente di Licia, un altro si rammenta del satiro
che il figlio di Latona punì, dopo averlo vinto col suono del flauto, sacro
alla dea Tritonide. “Perché mi strappi a me stesso?” egli diceva; “Ahime!
Mi pento. Ahimè! Un flauto non vale tanto strazio!” Ma, mentre egli
urlava, a fior delle membra gli fu strappata la pelle; né altro era se non
una sola ferita : d’ogni parte scorre sangue, affiorano scoperti i muscoli e,
senza alcuna protezione, guizzano, pulsando, le vene; potresti contargli le
viscere palpitanti e il brillio delle fibre sul petto. I fauni campestri,
divinità arboree, i fratelli satiri, l’Olimpo, anche allora a lui caro, le ninfe
e quanti su quei monti pascolarono lanose greggi e cornuti armenti lo
piansero.Si irrorò la ferace terra, si intrise nell’accogliere lacrime che
cadevano e le assorbì nelle intime vene; e, dopo averle rese acqua, le fece
scaturire nella libertà dell’aria. Da qui prende nome Marsia un corso
d’acqua che rapido scorre entro declinanti rive : il più limpido fiume di
Frigia” (Met. VI, 382-400).
Diletto legno
Attraverso questa espressione, ripresa in seguito da “fronda Peneia”,
Dante si riferisce all’a alloro, pianta sacra ad Apollo e simbolo della
poesia. Tale significato è legato al mito di Apollo e la ninfa Dafne, figlia
del fiume Peneo. Il dio, innamorato della ninfa, che non vuole cedere,
avendo promesso di mantenere la sua verginità, la insegue; ma, quando è
vicino a prenderla, gli dei invocati da lei, la trasformano in alloro. E da
quel momento, la pianta risulta sacra ad Apollo. Il mito è, come sempre
narrato da Ovidio nelle Metamorfosi. Si riportano i due versi più
significativi (Met. I, 557-558) : “Ma poiché non puoi essere mia moglie,
sarai certo il mio albero.”
E la mondana cera
Più a suo modo tempera e suggella
Il moto dei cieli, attraverso le influenze astrali, opera sul mondo
sottostante come un artista che plasma e lascia un sigillo di sé alla
materia trasformata dalla sua creazione. Tale concezione è ricorrente nel
pensiero medievale. Oltre a Dante, si può ricordare “Il libro de la
composizione del mondo” di Ristoro d’Arezzo, una delle opere in prosa di
carattere enciclopedico più rilevanti precedentemente Il “Convivio” E
trovamo adoperare lo corpo del celo colla sua vertute….e emprimare le
cose, le quali elli ha en sé, de l’operazione che elli ha fare….quasi en
modo che il suggelloemprime e dà e pone la sua significazione en
cera”(C.M. II,vi,2).
Aquila sì non li s’affisse unquanco
Sia la cultura classica che quella medievale era convinta che l’aquila
potesse fissare il suo sguardo nel sole con intensità e persistenza
superiore a quella di ogni altro vivente. Si confronti, per esempio
Aristotele (H. A. IX,xxxiv, 620°), dalla cui traduzione latina dipende
molto probabilmente l’osservazione sull’aquila presente nel Tresor di
Brunetto latini, indubbiamente conosciuto da Dante. (cercare)
Qual si fè Glauco nel gustar de l’erba
Il verso è collocato all’interno della terzina in cui Dante allude al suo
passaggio dall’umano al divino, esperienza che, per la sua natura
sovrumana, non può essere espressa con le parole, per eccellenza il mezzo
umano di espressione. E’ il poeta stesso, ai versi 71-72, a rivelare la sua
difficoltà. Rimanda pertanto all’esperienza di chi verrà assistito dalla
grazia nel provare qualcosa di simile. Alla metafora, di cui Dante si serve
in casi similari, qui viene sostituito il riferimento mitico, nella
convinzione che il mito, pur appartenendo al mondo pagano, nel suo
significato profondo, è capace di esprimere una verità eterna. L’autore da
cui Dante trae il riferimento, sintetizzato in due versi, è, come sempre
Ovidio che racconta la metamorfosi di Glauco, pastore della Beozia, in
dio marino così : “ Aveva terminato di narrare Galatea : sciolta
l’adunanza, le Nereidi partono e nuotano alle calme onde. Torna Scilla; e,
poiché non osa affidarsi all’aperto mare, senza vesti va errando sulla
asciutta rena, oppure, quando è stanca, alla vista di un anfratto solitario
d’acqua, rinfresca le membra nell’onde dell’insenatura. Ed ecco che,
fendendo i flutti, abitatore recente del profondo mare, avendo da poco
mutato il corpo nell’Eub oica Antedone, appare Glauco e si arresta di
desiderio nello scorgere la vergine. E le rivolge parole, quante ritiene che
possano attardare una donna ritrosa : quella fugge tuttavia e, veloce per
paura, giunge alla cima di un monte posto accanto al lido. Di fronte al
mare sta un enorme scoglio, che si alza con un’unica sommità, e sotto gli
alberi digrada sull’ampiezza delle onde. Quella sosta, sicura per il luogo,
ignara se colui sia un mostro o un dio. Ne guarda stupita il colore e i
capelli , che coprono le spalle giù sino alla schiena, nonché la ritorta
coda di pesce , che subentra al terminare dell’inguine. Egli se ne avvide
e, appoggiandosi ad una roccia che sporgeva vicina, “No, disse, io non
sono, o vergine, un mostro o una belva feroce, ma un dio dell’acqua, ma
un dio dell’acqua; né maggior potere sul mare hanno Proteo e Tritone e
Palemone, figlio di Atamante. Tuttavia prima ero un uomo mortale, ma
proprio perché devoto alle profonde acque, già da allora io mi affaticavo
in esse. Ora tiravo le reti che portavano pesci, ora, seduto sopra una
roccia, con la canna maneggiavo la lenza. C’è un tratto di spiaggia, che
termina in un prato verdeggiante : di essa una parte è limitata dalle
onde, l’altra da erbe che le lunate giovenche non violarono mai con i
morsi, né voi, mansuete pecore e irsute capre, mai brucaste. Né l’ape
industriosa da lì trasse il nettare dei fiori. Non da lì si colsero per il capo
festive ghirlande, né mai trassero fieno mani armate di falce. Io fui il
primo a sedermi in quella verde zolla, mentre facevo asciugare le reti e,
per esaminarli, sopra vi adagiai i pesci catturati, quelli che il caso aveva
sospinto nelle mie reti o la loro credulità negli ami uncinati. Parrebbe il
fatto una menzogna; ma che cosa mi gioverebbe l’ingannare? Al contatto
dell’erba, la mia preda cominciò ad agitarsi, a mutar lato e a guizzare in
terra come fosse in mare. Mentre me ne sto immoto e insieme trasecolo,
l’intera frotta fugge verso le onde; abbandona il recente padrone e la
riva. Restai attonito, a lungo preso da dubbi; e mi domandai se questo
avesse fatto un dio o il succo di qualche erba. Ma quale erba, mi dico,
possiede simile potere? E con la mano colsi degli steli e, dopo averli colti,
li morsi. Appena la mia gola aveva a fondo inghiottito l’ignoto succo,
ecco sentii, dentro, tremar le viscere e il mio cuore essere preso dal
desiderio di un diverso elemento naturale. Non potei contenermi a lungo;
e – o terra, che mai più dovrò possedere, io ti saluto!” così dissi e
immersi il corpo nelle acque. Gli dei del mare mi accolsero e mi
onorarono con pari dignità e chiesero all’Oceano e a Teti di togliermi
qualunque impurità mortale io avessi. Da essi sono purificato; e, dopo
aver pronunciato nove volte una formula che toglie ogni lordura, mi
impongono di immergere il mio corpo in cento fiumi. Nessun indugio : da
parti diverse scaturiscono fiumi e tutte acque si riversano sopra il mio
capo.
“ Sin qui io narrare il memorabile evento; sin qui io lo ricordo bene; ma
la mia mente non avvertì quanto avvenne dopo.Allorché essa riprese
conoscenza, in tutto il corpo io acquistai un altro me stesso da quel che
ero prima, né fui uguale nella mente. Allora per la prima volta mi accorsi
di questa barba color verderame, di questa capigliatura che io trascino
sulla distesa del mare, delle spalle forti e delle azzurre braccia e delle
cosce curvate nelle estremità a guisa di pesce squamoso. Tuttavia che mi
giova simile aspetto, che mi giova l’essere piaciuto agli dei marini, che mi
giova essere dio, se tu da tutto questo non sei toccata?(Met. 898-955).
Le parole di Dante
Breve premessa al linguaggio del Paradiso
Dante segue in generale anche nella Commedia la teoria dei tre stili :
comico, elegiaco e tragico; il primo pertiene all’Inferno, il secondo al
Purgatorio ed il terzo al Paradiso. Alla materia trattata e allo stile in cui
è trattata deve corrispondere anche un linguaggio adeguato che parte da
quello basso nella prima cantica, per elevarsi a quello medio nella
seconda e a quello alto nella terza. Tuttavia, le osservazioni precedenti
valgono in senso generale; nello specifico del testo, però, il procedimento
diventa molto più complesso e articolato : i singoli stili presentano una
base caratterizzata dal linguaggio a loro corrispondente, ma consentono
poi delle escursioni verso il basso o verso l’alto, possibili proprio perché
la Commedia, come dice il titolo e come dice Dante nella lettera a Can
Grande, è un’opera comica. Se non lo fosse stata, se fosse stata come
l’Eneide di Virgilio una tragedìa, non sarebbero potute avvenire in essa
escursioni linguistiche.
Pertanto, il linguaggio e le scelte lessicali del Paradiso sono generalmente
improntate ad un livello altissimo e tragico, ma consentono degli
abbassamenti, cosa che crea un impasto estremamente originale e
difficilmente ripetibile.
Nel caso del I canto del Paradiso, è presente l’intera varietà linguistica
della cantica, con una termologia filosofica e un abbondanza di latinismi
in tutta la parte più propriamente telogico-argomentativa, di termini più
correnti e di maggior attinenza all’esperienza sensibile all’ interno delle
metafore.
v. 1 La gloria : è un termine fondamentale che ha qui un profondo senso
teologico, indicando la manifestazione sensibile di Dio nell’universo.