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Teoria Analisi 2° E 3° Parziale

Algebra Lineare

  1. Il teorema di Laplace: il determinante di una matrice è uguale alla somma dei prodotti degli elementi di una riga (o colonna) per i relativi complementi algebrici.
  2. Il rango è definito come il massimo numero di minori non nulli estraibili dalla matrice. La definizione equivalente che lo definisce è il massimo numero di righe o colonne linearmente indipendenti.
  3. Teorema di Kronecker. Sia A una matrice avente un minore non nullo M. Si deduce: A ha rango k se e solo se ogni minore di ordine k+1 contenente M è nullo.
  4. Matrice inversa. Si definisce inversa di una matrice quadrata A, una matrice indicata con A-1, tale che A-1A = A A-1 = I.
  5. A ∈ Mn,n(K) ammette inverso se e solo se det A ≠ 0.
    1. Dimostriamolo. Osserviamo che se ammette inverso allora A A-1 = I.
    2. a e il teorema di Binet a entrambi i membri: det (A A-1) = det I = 1 → det A det A-1 = 1 → det A ≠ 0.
    3. Se det A ≠ 0 allora A ammette inverso. Dimostriamolo.
    4. Supponiamo che det A ≠ 0 e mostriamo che esiste l’ostruzione dell’inverso di A.
    5. Caso speciale: n = 2. A = [a bc d] det A ≠ 0 A-1= [d -b-c a]/det A
    6. Caso n > 2, consideriamo la matrice A* che è definita essere la trasposta della matrice che al posto aij ha il complemento algebrico Cij di aij

5. Teorema unicità dell'inverso:

L'inverso di una matrice invertibile è unico.

Dim. Esponiamo che esistono A-1 e B-1 tali che:

  • A · A-1 = I
  • A · B-1 = I

B-1 = B-1 (A · A-1) = (B-1 · A) · A-1 = I · A-1 = A-1, — unico B-1. Q.E.D.

6. Teorema di Cramer:

Dato il sistema lineare A x = B in n equazioni in n incognite, se det A ≠ 0 esiste unica la soluzione del sistema.

Dim. Dato A · x = B per l'invertibilità di A, poiché esiste unica l'inversa di A, la soluzione

  • è x = A-1 B, ovvero (A-1 · A)-1 = B, quindi x = 0n (per l'unicità dell'inversa).

Il teorema di Cramer: l'unica soluzione x = (x 1 x 2 ... x n) si calcola come segue:

dimostriamo che, per i, la matrice ottenuta da A sostituendo in B la i-esima colonna

con B:

Xi = (B1 B2 B3 ... Bi ... Cni), dove i = colonna:

det(Ai)/det(A)

Di = (B1 B2 ... Bi ... Cii)

Xi = det(A)/det(A).

xi = [det(B1 C2 C3 ... Cn) det(C1 B2 C3 ... Cn) ... det(C1 C2 C3 ... Bn)]

23. Teorema di rappresentazione

Siano V e W spazi vettoriali su K e siano B, b', x, y, v1, ..., vn, w1, ..., wm basi ordinate di V e W rispettivamente. Siano x ∈ K e y le coordinate di v1, ..., vn= v rispetto alle basi B e b', e sia f: V → W un'applicazione lineare. Questo e' l'unico che mantiene A ∈ Mm,n tale che x 1 (v)= (v1, v2, ..., vn) e siano tali che y = Ax

Quindi esprimiamo fy(x) rispetto alla base b':

fx(y) = (a11w1 + a12w2 + ... + a1mwm)

+ (a21w1 + a22w2 + ... + a2mwm)

f(y) = anmwm

y=f(x)

fx(y) = b( x1 v1, x2 v2, ..., xn vn) = xbfy(x), ..., xnfz(x)

Lineare

= x1(a1 w1 + a2 w2 + am wm) + x2(an w2 + an w3 + ... + anm wm) +

xk(am1 w1 + amn w2 + ... amm wm )

= (a1 x1 + a1 x2 + a1 x1w1)

= ( a31 x1 + an1 xn) w1 +

+ amnxa) wm

y = A (a1n, am2, amn) x1, xn)

y = am1 x1 + am2 x2 + am1 xa

fy = x + x1(a1 A) → µ e' unica fra l'insieme reali elementi

24. Teorema di dimensione piu' prop

Sia f; V → W un'applicazione lineare, se V ha dimensione finita, allora dim firm (v) + dim (ker f1) ≠ dim (Im fk)

25. Autovalori e autovettori

Si dice autovalore di una matrice A ∈ Mn,n, una scalare λ ∈ K, tale che esista un vettore (colonna) v ∈ KN, non nullo

(A - λl) y = y e' detto autovettore associato all'autovalore λ.

L'indice (v) si trova sull'autovettoriali relativi all'autovalore λ, e' detto autospazio

associato a λ. λ ∈ K e' autovalore di A se e solo se λ e' radice dell'equazione

analogamente possiamo dire che la funzione è derivabile parzialmente rispetto alla variabile y nel punto (x₀, y₀) ∈ A se esiste finito il limite:

(∂f/∂y) (x₀, y₀) = limh→0 [fy(x₀, y₀+h) - fy(x₀, y₀)] / h = fy(x₀, y₀)

4) Gradiente. Consideriamo una funzione f(x, y, z) definita su un insieme aperto A ⊆ R³. Si dirà (x₀, y₀, z₀) ∈ A se esistono in (x₀, y₀, z₀) sia il derivato parziale rispetto ad x e rispetto ad y. Fx(x₀, y₀, z₀) e Fy(x₀, y₀, z₀). Dunque è possibile costruire un vettore che ha per componenti le derivate parziali:

∇f(x₀, y₀, z₀) = (fx(x₀, y₀, z₀), fy(x₀, y₀, z₀))

Vettore prende il nome di gradiente della funzione f valutato in (x₀, y₀, z₀) o ∇f(x₀, y₀, z₀)

per funzioni a n variabili f(x, y, z) il gradiente in (x₀, y₀, z₀) sarà:

∇f(x₀, y₀, z₀) = (fx(x₀, y₀, z₀), fy(x₀, y₀, z₀), fz(x₀, y₀, z₀))

15) Derivabilità non implica continuità: sia f definita in un intorno di x0. Si dice che f è derivabile in x se esistono tutte le derivate parziali ∂f/∂x, i = 1, ..., n e si dice che f è derivabile in D se lo è in ogni punto x0∈D.

se ∇ f è derivabile in x0 ma non implica f continua in x0. Considerando: f(x, y), {√1-x²-y² se x²+y²>0, e x,y ∈ R 0 se x=0 oppure y=0 f è derivabile in (0,0) limh→0 [f(0, h) - f(0,0)] / h = limh→0 3·(-3) / h = 0 = ∂f/∂y (0,0)

limh→0 [f(0, h) - f(0,0)] / h = limh→0 3·(-3) / h = 0 = ∂f/∂x (0,0)

lim(x, y)→(0,0) √1-x²-y² = 1

fx asse x = 3, fy asse y = 3 ↔ il limite non esiste

Dettagli
Publisher
A.A. 2016-2017
16 pagine
SSD Scienze matematiche e informatiche MAT/05 Analisi matematica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Lumpy di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Analisi matematica II e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Politecnico di Milano o del prof Sabadini Irene.