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TURNOVER PROTEICO
Il pool aminoacidico è legato al turnover proteico. Si intende la continua rinnovazione e
sostituzione del pattern proteico dell’organismo. L’esposizione delle proteine all’organismo può
causare ad esempio degradazione chimica e biochimica (enzimatica, ad opera di radicali libero o
altri fattori). Questa caratteristica presenta una serie di regole:
- Tutte le proteine del pattern proteico sono soggette a turnover, questo definisce il turnover
come ESTESO;
- Non tutte le proteine però vengono sostituite con la stessa velocità ed efficenza, questo
definisce l’ETEROGENICITA’ del turnover proteico (ad esempio l’epitelio intestinale è una zona
dell’organismo in cui il turnover è abbondante in quanto è esposto a molecole o composti
fortemente danneggianti);
- È un meccanismo INTRACELLULARE, ovvero tutte le operazioni di degradazione di turnover e
di nuova sintesi proteica avviengono all’interno della cellula;
- Il meccanismo è REGOLATO. In questo modo il sistema di turnover avviene sempre in maniera
intelligente;
- La regolazione prevede non solo la scelta intelligente, ma anche la regolazione della
VELOCITÀ. In seguito a periodi di digiuno si avrà una accelerazione della degradazione
proteica per l’ottenimento di aminoacidi utili all’ossidazione o alla nuova sintesi di proteine
essenziali al mantenimento della vitalità,
- È VARIABILE, ovvero diminuisce dalla nascita all’età adulta. Il turnover proteico di un neonato è
molto vivace, mentre quello di un anziano è molto più rallentato. L’effetto principale del
rallentamento è di fatto l’invecchiamento
- Richiede ENERGIA, in particolare circa il 20% del metabolismo basale.
Quantitativamente, corrisponde a circa 3-4 volte l’introduzione di proteine ed è pari a 3-4g di
proteine/Kg/die. ! 97
Enrico Masotto NUTRIZIONE UMANA
FABBISOGNO PROTEICO
La definizione di fabbisogno proteico è: “la più bassa quantità di proteine ad elevata qualità che
permette di mantenere l’equilibrio dell’azoto in presenza di un adeguato apporto energetico”.
Se non si fornisse un corretto fabbisogno energetico, le proteine introdotte verrebbero infatti
deviate verso un utilizzo di tipo “ossidativo” (in caso si bilancio negativo).
La variabilità è data dalla diversa massa corporea e dal fatto che ogni organismo è
biologicamente differente.
Tutte le proteine fornite devono essere di elevata qualità, quindi devono contenere tutti gli
amminoacidi in proporzioni adeguate.
QUALITA’ BIOLOGICA O VALORE NUTRIZIONALE
Per qualità biologica si intende la capacità delle proteine di soddisfare le esigenze fisiologiche
dell’organismo. La qualità biologica dipende quindi dalle seguenti componenti:
Intrinseca: legata al contenuto di AA indispensabili nella proteina;
• Estrinseca: legata alle interazioni della proteina con l’organismo, quindi alla sua digeribilità e
• alla biodisponibilità degli AA.
Le proteine di origine animale hanno una qualità biologica sicuramente più elevata rispetto a
quelle di origine animale. Di fatto la composizione amminoacidica di una proteina animale è “più
vicina” alla composizione amminoacidica di una proteina dell’organismo umano. La presenza della
parete cellulare negli organismi vegetali, rende le proteine meno accessibili agli enzimi rispetto a
quelle contenute in cellule animali.
METODI PER LA VALUTAZIONE DELLA QUALITA’ BIOLOGICA DELLE PROTEINE
Ad oggi raramente capita di dover fare valutazione dello score aminoacidico e dell’indice chimico
di una proteina, in quanto alla maggior parte delle proteine sono già state assegnate queste
caratteristiche. I metodi noti sono di tre nature:
METODI BIOLOGICI: tengono conto anche della digeribilità della proteine sfruttando animali
da laboratorio.
Si basano sulla misura diretta o indiretta della deposizione proteica o sull’aumento di peso
corporeo che la proteina o la miscela di proteine in esame è capace di promuovere. Si tratta di
indici come il PER (rapporto di efficienza proteica), il BV (valore biologico inerente all’azoto
introdotto con la dieta e quello espulso tramite urine e feci) ed il NPU (rapporto tra l’azoto
trattenuto e quello introdotto). I limiti di questi metodi biologici sono la durata, i costi delle
analisi e non danno comunque informazioni sul contenuto in aminoacidi.
METODI CHIMICI: determinano il contenuto degli aminoacidi nella proteina o nell’alimento.
La valutazione della qualità della proteina avviene attraverso l’analisi del profilo aminoacidico.
Questi metodi chimici necessitano di un metodo attendibile e riproducibile per determinare gli
aminoacidi. L’indice chimico (IC) determina il rapporto tra il contenuto di ogni singolo
aminoacido essenziale all’interno della proteina che si sta testando ed il corrispondente ! 98
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aminoacido in una proteina di riferimento considerata ottimale. La proteina di riferimento
riguarda solamente la composizione ottimale in aminoacidi essenziali. ]
IC : [(mg AA essenziale/g proteina test)/(mg AA essenziale/g proteina di riferimento)
L’aminoacido essenziale con indice chimico minore è detto aminoacido limitante. In ogni fase
di sintesi proteica occorre avere nello stesso momento tutti gli aminoacidi disponibili, altrimenti
la proteina non verrebbe sintetizzata interamente. Il limite principale di questo metodo è quello
di non tenere conto della digeribilità delle proteine.
La digeribilità proteica è un altro indice chimico che definisce la quantità di una proteina
realmente digerita ed assorbita. La digeribilità può essere definita: ] X 100
Apparente: [(N ingerito - N fecale)/N ingerito ] X 100
Reale: [(N ingerito - N fecale - N endogeno)/N ingerito
La digeribilità delle proteine è compresa tra l’80 ed il 90%. Questa digeribilità è influenzata da:
- Trattamenti termici (Reazione di Maillard);
- Presenza di inibitori delle proteasi;
- Presenza di antinutrienti (ad esempio la fibra con l’acido fitico);
- Presenza di proteine resistenti alla digestione (per questioni strutturali alcune proteine sono
poco accessibili all’attacco enzimatico).
Esistono dei valori tabulati comunque delle proteine comuni e note fino ad ora inerenti alla
digeribilità reale ed apparente nonché all’indice chimico.
METODI MICROBIOLOGICI: utilizzano microorganismi che richiedono per il loro sviluppo
analoghe quantità di proteine con lo stesso schema distributivo degli aminoacidi essenziali.
I LARN riferiti alle proteine nell’adulto sono pari a 0,6g/Kg/die: Questo è un valore medio e non
assoluto ottenuto da diversi studi di popolazioni. Alla media dei fabbisogni proteici viene
aggiunta due volte la deviazione standard, in modo da coprire più di 1/2 della popolazione,
soddisfando così le esigenze del 95% della popolazione. Questo ragionamento, nel calcolo dei
LARN dei nutrienti, viene effettuato con ogni sostanza, ad eccezione dei nutrienti che possono
causare malattie da eccesso o carenza.
Il valore dei LARN delle proteine è ottenuto considerando una proteina ideale, e quindi tiene
conto anche le media delle digeribilità proteiche medie delle proteine abitualmente consumate
così come la media degli indici chimici.
Per classi di individui come le donne in gravidanza e nel periodo dell’allattamento i LARN sono
ovviamente differenti in quanto anche il fabbisogno aumenta. In gravidanza infatti i LARN delle
proteine aumentano a 6,6g/die (non per Kg di peso corporeo) mentre il fabbisogno aggiuntivo
per le gestanti è pari a 17g/die (quindi 17,6g/die). ! 99
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I carboidrati
I carboidrati DIGERIBILI (si esclude tutta la fibra) sono essenzialmente:
Glucosio;
• Galattosio;
• Fruttosio;
• Lattosio;
• Maltosio;
• Saccarosio;
• Amido.
•
La valutazione della qualità è introdotta dal valore energetico dei carboidrati disponibili. Il calore
di combustione di un grammo di monosaccaride a sei atomi di carbonio (glucosio) è pari a
15,67Kj, ovvero 3,75Kcal.
Quando si idrolizza un legame glicosidico mediante un’enzima, chi idrolizza di fatto non è l’enzima
ma l’acqua. Nei disaccaridi e nei polisaccaridi la rottura del legame glicosidico comporta
l’addizione di una molecola di acqua (PM 18 Da). In altre parole, da 10 grammi di amido si
ricavano circa 11 grammi di glucosio. Di conseguenza, i carboidrati in forma polimerica hanno un
contenuto energetico maggiore. Il contenuto energetico di un disaccaride è quindi pari a 16,52Kj
per grammo (ovvero 3,95 Kcal/g): il contenuto energetico dell’amido è pari a 17,48Kj/g (4,18
Kcal/g).
Per ragioni pratiche, nelle tabelle di composizione degli alimenti, il contenuto in carboidrati viene
espresso in glucosio-equivalenti (o carboidrati disponibili in forma monomerica) e il coefficiente
applicato è 15,67 Kj/g.
In alternativa, se si usano i contenuti reali di amido e zuccheri espressi in % sul peso dell’alimento,
il contenuto energetico è una MEDIA più o meno ponderata sulla composizione dell’intera dieta e
vale 17Kj/g (4 Kcal/g) [Legge 16 Febbraio 1993 n.77].
Come si può capire, questo coefficiente sottostima il contenuto energetico di alimenti molto ricchi
in amido e sovrastima quello di alimenti contenenti solo zuccheri semplici.
Il potere dolcificante dei carboidrati dipende dalla loro natura e dal DE (Destrosio Equivalenti in
base al potere riducente).
Viene espresso in proporzione al saccarosio, cui viene
assegnato un valore di 1. La sostituzione di funzioni
idrossiliche con atomi di cloro (sucralosio) aumenta il
potere dolcificante (X 650). Altri dolcificanti intensivi
verranno tratti in seguito.
L’assorbimento intestinale del glucosio è un fattore molto
influenzante la risposta glicemica, ovvero uno dei
maggiori indici di valutazione della qualità nutrizionale dei
carboidrati. La velocità di assorbimento degli zuccheri a
livello intestinale influenza il tempo entro il quale aumenta
la disponibilità di glucosio.
Nel grafico a destra ad assorbimento veloce si può notare
una risalita in seguito alla rapida discesa della glicemia, ! 100
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dovuta all’attivazione della glicogenolisi.
Questi eventi sono determinati dalla natura degli alimenti che si stanno consumando: per
bevande come la cola, infatti, la situazione è analoga all’evento a sinistra.
Se la bevanda la si bevesse a stomaco pieno o ass