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PRO:
- Le società hanno una capacità contributiva autonoma in quanto se pensiamo alle società di capitali,
queste hanno un potere autonomo diverso dalle persone fisiche, un proprio capitale sociale.
- Vi sono sistemi che possono attenuare o eliminare la doppia tassazione dei dividendi.
- Se non vi fosse l’imposta societaria si creerebbe una rottura nel sistema tributario, in quanto se una
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società non dovesse distribuire gli utili ma ritenerli allora questi sfuggirebbero alla tassazione. Si
dice che l’imposta societaria è un’imposta complementare alla tassazione delle persone fisiche.
- L’imposta societaria è vista anche come strumento di politica economica. quest’imposta si presta ad
essere utilizzata per introdurre varie forme di incentivo o disincentivo.
Le ragioni favorevoli hanno naturalmente avuto prevalenza e l’imposta societaria esiste nelle maggior parte
degli ordinamenti tributari del mondo.
Vediamo ora quelli che sono gli effetti delle imposte rispetto alle decisioni di una società:
o Scelte di investimento: effetti della presenza delle imposte sul costo del capitale.
o Scelte di finanziamento: costo del capitale proprio e del capitale di debito.
o Scelte di distribuzione degli utili: in alcuni casi differenziazione delle aliquote in base a utili
distribuiti o ritenuti.
o Scelte organizzative.
Noi tratteremo i primi due aspetti.
Il sistema di imposizione si considera neutrale rispetto alle decisioni di investimento quando l’ammontare di
investimento effettuato in presenza di imposta è uguale all’ammontare di investimenti effettuato dalla società
in assenza di imposta.
Un’imposta è neutrale nei confronti delle scelte di finanziamento quando non rende una forma di
finanziamento più conveniente di un’altra. Quando non discrimina tra le fonti di finanziamento.
Vediamo ora un po' di ripasso generale.
Il rendimento di un investimento lo possiamo misurare attualizzando tutti i suoi flussi nel seguente modo:
V.A. = R1/(1+r) + R2/(1+r)^2 + …… + Rn/(1+r)^n
V.A. = sommatoria con t che va da 1 a n di Rt/(1+r)^t.
Effettuerò l’investimento se il valore aggiunto sarà almeno maggiore o uguale a I.
Ad ogni investimento possiamo associare un numero sintetico che definisce la profittabilità
dell’investimento. Tale indicatore è detto efficienza marginale dell’investimento o tasso di rendimento
interno (TIR), ed è il tasso di sconto che eguaglia il VAN. Ovvero il tasso che rende il VAN = 0.
L’investitore, potrà quindi, associare ad ogni investimento presente sul mercato un TIR e ordinare le
possibilità di investimento in base alla loro profittabilità.
Questa opzione la si può fare anche con l’intero mercato, andrò poi a confrontare i vari TIR degli
investimenti con il tasso di interesse del mercato e andrò a vedere gli investimenti convenienti.
Facciamo ora alcune ipotesi:
innanzitutto l’ipotesi che il costo del capitale finanziario rappresenti il costo del capitale, ovvero che il costo
del capitale sia uguale al costo del capitale finanziario.
Ipotizziamo inoltre che il mercato del capitale sia un mercato di concorrenza perfetta dove ogni individuo
può prendere o dare in prestito la somma di capitale purché paghi un tasso di interesse che si stabilisce sul
mercato.
Un’implicazione di queste ipotesi è che il costo medio e il costo marginale del capitale coincidono. Il costo
di un’unità di capitale non varia al variare della quantità di capitale che prendo in prestito. Questo vale
qualunque sia la fonte di investimento prescelta, sia che si indebiti, sia che si utilizzino mezzi propri.
Ipotizziamo che il soggetto utilizzi solo mezzi propri, il costo del capitale sarà dato da r, in quanto si ha
rinunciato ad investire nel mercato questi mezzi che mi avrebbero dato r (costo opportunità).
In questo caso quindi l’investimento viene intrapreso se il TIR è almeno uguale a r.
Consideriamo un modello di economia chiusa. Andiamo quindi a trascurare quelli che sono i problemi che
derivano dall’utilizzo di un modello di economia integrata.
Consideriamo le ipotesi di: analisi di equilibrio parziale.
Concorrenza perfetta e quindi le variabili rilevanti date sono: prezzo del bene, tasso di interesse e costo del
lavoro.
L’obiettivo dell’impresa è di massimizzare il profitto. La condizione perché via sia la massimizzazione del
profitto è che il beneficio marginale dell’impiego di un’unità di K in più sia uguale al costo marginale
dell’impiego di un’unità di capitale. Il beneficio marginale che mi deriva lo devo confrontare con il costo del
capitale.
Consideriamo un bene Y e il costo del capitale k.
Y=F(k) questa è la relazione tecnica che collega il bene prodotto con il capitale. 12
Fk (K) > 0 la derivata prima della funzione di produzione è maggiore a zero, allora vuol dire che la quantità
prodotta aumenta all’aumentare del capitale impiegato.
Fkk (K) < 0 se la derivata seconda è minore di zero, il prodotto marginale è positivo ma decrescente, la
produttività marginale decrescente dei fattori produttivi. La quantità aumenta ma aumenta sempre di meno.
Ƃ
Consideriamo ora l’ipotesi che K si deprezza al tasso (delta) ammortamento economico del capitale.
i = interesse di mercato.
p = prezzo del bene prodotto dall’impresa.
q = costo di una unità di bene capitale.
Investiamo in capitale produttivo K.
In base alla mia funzione di produzione, ottengo ricavi pari a: p * F (k).
Investiamo la stessa somma in titoli a reddito fisso.
K = unità di macchine di bene capitale.
Il valore dell’investimento produttivo sarà k*q. i ricavi saranno dati dagli interessi ottenuti dall’investimento
in titoli a reddito fisso: iqk.
iqk rappresenta anche il costo opportunità dell’investimento in capitale produttivo.
Se qk lo si chiede in prestito, iqk rappresenta il costo effettivo del finanziamento.
Scelte di investimento Ƃ
Π = K -
Il profitto dell’impresa sarà: P*F(k) – iqK.
Il profitto economico è diverso dal profitto contabile.
Infatti il profitto economico è dato dai ricavi – i costi economici, mentre il profitto contabile è dato solo dai
ricavi – i costi espliciti.
I costi economici sono composti dai costi espliciti (si manifestano con esborsi di cassa) e dai costi impliciti
(non si manifestano con esborsi di cassa, ad esempio il costo dell’imprenditore). Nei costi economici è
quindi considerato anche il costo opportunità.
Se vogliamo massimizzare il profitto facciamo la derivata e la poniamo uguale a zero:
Ƃ
dΠ/dK =D pFk (K) – – iq = 0
Ƃ
p Fk(K) = + iq.
La prima parte è il valore del prodotto marginale = beneficio marginale di un’unità di capitale.
La seconda parte è il costo marginale di un’unità di capitale = costo d’uso del capitale che tiene conto di i di
Ƃ
.
q e di Ƃ
.
Se poniamo p = q = 1 allora Fk(K) = i +
L’impresa investe fino a che il valore del prodotto marginale è uguale al costo d’uso del capitale.
Ƃ + iq è il costo d’uso del capitale: individua il rendimento minimo che l’investimento deve garantire perché
possa essere effettuato.
Graficamente: 13
La quantità K* è la quantità ottima, ovvero l’ultima unità di capitale che ha un costo d’uso uguale al
beneficio marginale.
Ƃ
i + è il rendimento minimo che l’investimento deve produrre perché possa essere effettuato.
K* è la quantità che permette all’impresa di massimizzare i profitti.
Le unità a sinistra di k* sono dette unità inframarginali che hanno un rendimento marginale maggiore del
costo marginale.
Le unità a destra di k* sono invece quelle unità per cui all’impresa non conviene investire perché il beneficio
marginale sarebbe inferiore al costo marginale.
Introduciamo ora le imposte:
t = t è l’aliquota dell’imposta societaria sugli utili distribuiti e non distribuiti (ritenuti),
s d
t è l’aliquota dell’imposta sugli interessi dei titoli di stato (titoli a reddito fisso),
i
t è l’aliquota marginale dell’imposta sui redditi personali,
p
d*
t = t + t – t t = t + t (1-t ). è l’aliquota complessiva sui dividendi nel caso di sistema classico di doppia
s p s p s p s
imposizione.
T * si riduce se abbiamo sistemi per ridurre la doppia tassazione.
d
Cominciamo ora a fare delle ipotesi sulla base imponibile:
- Gli ammortamenti fiscali possono essere diversi dal vero ammortamento economico che ci consente
di definire il profitto economico.
- Gli oneri finanziari non sempre sono deducibili per intero.
Nonostante stiamo considerando gli effetti dell’introduzione di un’imposta sugli investimenti, noi dobbiamo
comunque considerare quella che è la modalità di finanziamento. La scelta di finanziamento la prenderemo
come variabile esogena e in particolare abbiamo due alternative:
- Finanziamento con debito.
- Finanziamento con emissione d’azioni.
Consideriamo l’ipotesi che gli utili vengano sempre distribuiti come dividendi.
1. Caso 1, le due ipotesi sottostanti sono:
il finanziamento con il debito e la successiva distribuzione degli utili. Il costo del finanziamento
sono gli interessi passivi che sono un costo effettivo, un costo esplicito che si manifesta con
l’esborso di una determinata quantità di denaro.
La base imponibile viene determinata nel seguente modo: immaginiamo che l’ammortamento fiscale
coincida con il vero ammortamento economico; e immaginiamo che gli interessi sul debito siano
pienamente deducibili.
L’obiettivo dell’impresa è quello di massimizzare i profitti, e quindi massimizzare i dividendi al netto di tutte
le imposte rilevanti.
I profitti lordi (al lordo delle imposte) sono dati da: 14
Pf (k) = beneficio marginale del capitale
k
Ƃ + iq = è il costo marginale del capitale o costo d’uso del capitale. È il rendimento minimo che l’impresa
deve ottenere per effettuare l’investimento.
Se poniamo per semplicità p = q = 1.
Ƃ Ƃ
F (k) = i + e quindi F (k) – = i.
k k
Si ottiene lo stesso risultato del profitto ottenuto senza imposte.
La condizione di massimo profitto non varia con la presenza di imposte, quindi l’impresa investirà la stessa
quantità nei 2 casi.
Questo risultato naturalmente dipende dalle ipotesi di finanziamento dell’impresa con debito e distribuzione
degli utili, a