Dal punto di vista giuridico, la loro tutela si trova a metà strada tra:
La normativa sull’immigrazione, che tutela l'ordine pubblico e la sicurezza nazionale;
La legislazione minorile, che protegge lo sviluppo fisico e psichico del minore.
La condizione di vulnerabilità richiede tutele specifiche rispetto a quelle ordinarie, perché questi
minori non riescono, da soli, a difendere i propri diritti o sviluppare pienamente la propria identità.
Secondo il nostro sistema costituzionale e i principi sovranazionali (Convenzione ONU sui Diritti
dell’Infanzia, Consiglio d’Europa), lo Stato deve adottare misure protettive e promozionali,
sempre finalizzate a garantire la dignità della persona, principio inderogabile.
Negli ultimi anni, si è passati da una tutela settoriale (es. scuola, sanità) a un concetto più ampio: il
minore come persona in evoluzione, titolare di diritti propri, non più solo “figlio di”.
Tuttavia, per i minori immigrati questi diritti non sono ancora pienamente realizzati.
È fondamentale verificare se gli strumenti previsti dall’ordinamento servano davvero a favorire
l'inclusione e a valorizzare le differenze culturali dei soggetti, trasformando così la diversità in una
ricchezza per tutta la società.
2. Dall'assimilazione/integrazione all'inclusione:
un percorso ancora non compiuto
In passato, l’obiettivo principale delle politiche migratorie era l'integrazione: i migranti dovevano
adottare la cultura dominante per essere accettati nella società. Questo implicava, di fatto,
un'assimilazione, senza un vero scambio culturale.
Oggi, anche grazie ai Principi Fondamentali Comuni dell'UE per la politica di integrazione, si
afferma un concetto diverso:
l'integrazione è vista come un processo bilaterale di adattamento reciproco tra immigrati e
residenti, nel rispetto dei valori fondamentali europei e della pluralità culturale.
Dal 1990 in poi si è iniziato a parlare sempre più di inclusione:
Non basta che il migrante si adatti;
Bisogna rimuovere le barriere che portano esclusione sociale, soprattutto per i minori.
I problemi concreti dei minori immigrati sono:
Marginalizzazione scolastica;
Abbandono precoce degli studi;
Difficoltà ad apprendere competenze sociali e lavorative;
Scarso accesso alle attività sociali e ricreative;
Isolamento affettivo.
Inclusione sociale significa garantire condizioni di vita dignitose, piena partecipazione alla
comunità e il riconoscimento della propria identità culturale.
Tuttavia, a livello europeo, le politiche sono ancora timide:
La Raccomandazione UE 2013 ("Investire nell’infanzia per spezzare il circolo dello
svantaggio sociale") e la Raccomandazione UE 2017/761 sul "Pilastro europeo dei diritti
sociali" parlano di diritti dei minori, ma non creano obblighi vincolanti.
Anche se la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia (1989) (art. 28) riconosce il diritto
all’educazione, l’attuazione concreta resta incerta.
In Italia, il diritto all’istruzione dei minori stranieri è fortemente garantito, anche per chi è privo di
permesso di soggiorno.
La scuola italiana si è orientata verso l’educazione interculturale, rifiutando sia l’assimilazione
forzata sia la separazione culturale.
Per riuscire davvero nell’inclusione scolastica:
È fondamentale conoscere la storia personale di ogni minore;
Offrire opportunità rispettose della sua identità;
Coinvolgere attivamente le famiglie nei percorsi educativi.
Purtroppo, la mancanza di dialogo scuola-famiglia e la rigidità culturale di alcuni genitori
ostacolano spesso un’inclusione piena.
In certi casi, si arriva a impedire ai minori di inserirsi socialmente, in nome delle tradizioni
d’origine.
La Costituzione italiana (art. 30) e la Convenzione di New York esigono che:
I genitori esercitino la loro responsabilità educativa mirando al pieno sviluppo del figlio;
Se necessario, l'intervento del giudice può limitare l'autorità genitoriale per proteggere i
diritti del minore.
Se il minore è parte di una famiglia regolare:
Si può intervenire con misure di limitazione o decadenza dalla responsabilità genitoriale.
Se il minore o la famiglia sono irregolari:
L'autorità giudiziaria può disporre l'allontanamento per tutelare il diritto all'istruzione e allo
sviluppo personale.
In ogni caso, la protezione del minore deve prevalere su ogni altra considerazione, inclusi gli
interessi dei genitori o quelli dello Stato.
3. Multiculturalismo e violazione del diritto alla
salute
Le società occidentali moderne sono caratterizzate dal multiculturalismo, che impone di valutare
come e fino a che punto si possano accettare tradizioni diverse, specialmente quando entrano in
conflitto con i diritti fondamentali dei minori.
In materia di famiglia e persone, molte pratiche culturali tradizionali sono incompatibili con i
valori su cui si fonda il nostro ordinamento, incentrato sulla dignità umana.
Il compito di giuristi e giudici è quello di:
Bilanciare valori diversi;
Decidere quali tradizioni possono essere accolte e quali devono essere respinte, senza un
atteggiamento di superiorità culturale.
Un esempio emblematico di conflitto culturale è la mutilazione genitale femminile (MGF):
È una grave violazione del diritto alla salute e all'integrità fisica.
Impedisce alla minore di integrarsi nella società in cui vive.
La Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia (1989) (art. 24) e la Convenzione contro ogni
forma di discriminazione nei confronti della donna (CEDAW, 1979) impongono agli Stati di
abolire queste pratiche.
Anche la Risoluzione ONU 67/146 (2012) vieta le MGF a livello globale.
In Italia, la legge 9 gennaio 2006, n. 7:
Persegue penalmente la mutilazione;
Promuove campagne di informazione e formazione sui diritti umani.
Il legislatore ha introdotto il concetto di reato culturale:
Se la condotta lesiva è giustificata da tradizioni culturali, questo aggrava, non attenua, la
responsabilità penale.
Tuttavia, punire non basta.
Sarebbe più efficace rafforzare gli strumenti preventivi, come:
Concedere il diritto d'asilo a donne e bambine che fuggono da Paesi dove le MGF sono
praticate.
Problemi recenti:
Il decreto Salvini ha abolito il permesso di soggiorno per motivi umanitari, riducendo le
possibilità di protezione per le vittime.
Un possibile strumento ancora disponibile è il permesso di soggiorno per "assistenza minore"
(art. 31, T.U. Immigrazione), che tutela il minore se il genitore, pur irregolare, è necessario per il
suo benessere psicofisico.
La Corte di Cassazione ha stabilito che:
Anche senza emergenze gravi, basta dimostrare che l’allontanamento del genitore
danneggerebbe il minore per ottenere l'autorizzazione a soggiornare.
In questo bilanciamento tra tutela del minore e ordine pubblico, deve prevalere sempre l'interesse
superiore del minore, anche derogando a norme che ostacolano l’ingresso o il soggiorno degli
stranieri.
4. Modelli culturali familiari e tutela del minore
Una politica di vera inclusione deve rispettare sia la dignità sia l'identità personale e culturale del
minore immigrato.
La Suprema Corte ha chiarito che chi si inserisce in una società multietnica deve verificare la
compatibilità dei propri comportamenti con i principi giuridici del Paese ospitante.
Non è giustificabile, nemmeno in buona fede, l'adozione di pratiche culturali che risultino
incompatibili con i diritti fondamentali riconosciuti in Italia.
Quando usi e tradizioni del Paese d’origine danneggiano il minore, il multiculturalismo cede il
passo alla tutela dei diritti inviolabili:
dignità,
integrità psicofisica,
pieno sviluppo della personalità.
Il rispetto della sfera familiare è garantito dalle norme internazionali, ma solo se la famiglia
favorisce la crescita autonoma del minore.
Se invece la famiglia limita i diritti fondamentali, è legittimo intervenire per proteggere il minore.
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Libertà religiosa, famiglia e tutela del minore
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