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"SIAMO UOMINI, NON DEI"
Illuminismo giuridico e giuspositivismo
“Homo homini lupus” (l'uomo è un lupo per l'uomo): Thomas Hobbes sosteneva che bisognava
cercare di razionalizzare il diritto, non che gli uomini siano lupi egoisti fra loro. Secondo la sua
visione la sovranità deve avere il monopolio delle leggi (“auctoritas non veritas facit legem”) e
bisognava uscire dal particolarismo giuridico.
Nel 1700 con l’illuminismo nasce anche l’illuminismo giuridico. Esso in Italia è rappresentato
soprattutto da Cesare Beccaria che con “Dei delitti e delle pene” afferma che il giudice deve fare un
solo sillogismo sussuntivo (teoria formalista). In Francia l’illuminismo giuridico è rappresentato
soprattutto da Montesquieu con "Lo spirito delle leggi" che afferma che il giudice deve essere la
bocca della legge, non deve fare argomentazioni, deve applicare alla lettera la legge (teoria
formalista).
Hobbes, Beccaria e Montesquieu ci danno l'ottica del motivo per il quale v'è stata la codificazione.
Nel 1800 con l’età delle codificazioni nasce il giuspositivismo, corrente di pensiero per cui è diritto
solo il diritto posto da un'autorità delegata a produrlo. Si chiude l'era del giusnaturalismo (secondo
la quale esiste un diritto naturale dato da dio, dalla natura, dalla ragione: giusnaturalismo teologico
[da principi religiosi], giusnaturalismo teleologico [telos= fine, scopo, principi naturali]) e si chiude
la visione giusparticolaristica che dal primo medioevo, anno 1000 quando nasceva il Common law,
diede vita a un grande caos giuridico:
1. codice giustinianeo + glosse (reinterpretazioni);
2. nel 1215 nasce la Magna Charta (british library) che affermava una serie di garanzie agli
imputati (arrestati dai giudici itineranti) ad esempio l’avviso di garanzia per cui non si può
arrestare qualcuno arbitrariamente;
3. la casistica (i casi già verificatisi);
4. gli usi e i costumi, la revisione secondo i costumi.
Con il tempo si determinò un arbitrarietà del diritto e un forte particolarismo giuridico.
Perciò tanti Paesi hanno scelto la strada della codificazione (il primo fu il code Napoléon del 1804)
per poi ritrovarci oggi in un neo particolarismo interpretativo.
La pretesa del giuspositivismo è di scrivere codici chiari, razionali e intelligibili. Nasce anche la
Scuola dell'esegesi (commento passivo del codice napoleonico). La corrente del giuspositivismo
iniziale è ingenua, meccanica e formalista “all or nothing”: il giudice deve essere la bocca della
legge, l’interpretazione è meccanica e consiste nella sussunzione del caso all'interno della
fattispecie astratta.
particolarismo giuridico ILLUMINISMO neo particolarismo
(medievale, arbitrario) → GIURIDICO = CODICI → giuridico-interpretativo
Imperativismo e normativismo
La prima versione ottocentesca del giuspositivismo (con origini seicentesche, da Hobbes e la sua
opera “Il Leviatano”, 1652) si definisce imperativistica secondo la quale la norma è un comando
sostenuto da minacce. Però se fosse un comando allora dovrebbe essere effettivo e comportare
sempre una sanzione e se ciò non avvenisse, perderebbe di autorità. Il comando per reggersi in piedi
è condizionato dall'atteggiamento di colui che riceve il comando.
Nel 1900 nasce un'altra corrente, il normativismo (Hart e Kelsen) per la quale la norma è un
giudizio ipotetico: al verificarsi di un atto di volontà si verifica un altro atto di volontà
(convenzionali). Hart afferma che il comando è uguale al modello del bandito. Il normativismo è
una visione giuspositivista mediana che critica il positivismo imperativistico formalista: avviene
un’opera di ricostruzione e cioè esistono casi difficili per i quali una semplice deduzione non è
possibile (struttura aperta per l'ambiguità casistica e semantica).
Hart: “la logica è ai margini del diritto eppure è nel cuore del diritto” (nocciolo luminoso).
Norma e comando
Secondo la teoria giuspositivista normativista le norme giuridiche (antecedente [se x] e conseguente
[allora deve essere y]), quindi, non comandano ma guidano un comportamento (essendo
prescrittive). La norma scritta in termini di giudizio ipotetico ipotizza una fattispecie ma si
disinteressa se il comportamento venga rispettato o meno, al contrario di un comando (“TU DEVI”,
con termini di imperativo categorico).
La norma giuridica è diversa da una legge scientifica (se x, allora sarà y) poiché quest’ultima ha un
rapporto causa-effetto scientifico, ovvero un nesso di causalità e un condizionale ontico (≠
deontico). Invece la norma giuridica predica la liceità o l'illiceità, non la verità o la falsità che spetta
alla scienza.
Dunque la visione della norma come giudizio ipotetico (se x [antecedente], allora deve essere y
[conseguente]) con un nesso di imputazione e un condizionale deontico è la versione vincente.
Dal giusnaturalismo al giuspositivismo
Secondo Tommaso d'Aquino, giusnaturalista classico, i precetti divini vengono riconosciuti dalla
legge umana a sua volta positivizzata. Nel 1600 il giusnaturalismo diventa laico e si vedono
esponenti come Grozio, Hobbes allontanandosi dalla visione teologica: al posto di dio (visione
metafisica) c'è la ragione umana: emancipazione fittizia dalla servitù della gleba e corporazioni
(status, posizione sociale ereditata dalla famiglia) alla visione contrattuale capitalistica. Secondo
questi giusnaturalisti la fonte di produzione del diritto non è Dio (un soggetto esterno) ma è l'uomo
stesso. Si procede perciò verso il giuspositivismo: l'autorità produce la legge, è il tramonto di Dio
per la necessità capitalistica portata dall'ideologia liberale. [Esiste oggi una visione giusnaturalistica
cosmologica per cui l'uomo fa parte di un unico polmone che è la terra: lettura totalitaria]
Il “primo” giuspositivismo è però imperativo e uno dei maggiori esponenti è John Austin secondo
il quale il diritto è l'insieme delle norme-comando sostenute dal sovrano.
Il “secondo” giuspositivismo è definito normativo: secondo il normativismo, corrente di pensiero
che viene elaborata e si impone durante il 1900, il diritto è un insieme di norme giuridiche, si esce
perciò da una visione morale e giusnaturalista.
Hans Kelsen
Il padre della teoria normativista è Hans Kelsen che scrive la dottrina pura del diritto: bisogna
distinguere sollen [= dover essere] da sein [= essere] e ciò comporta una distinzione tra norme
giuridiche e norme naturali/scientifiche*. Il suo programma è denaturalizzare il diritto, dal punto di
vista della norma giuridica e dal punto di vista del sistema giuridico.
Le norme giuridiche per lui non sono comandi ma sono dei giudizi ipotetici (ovvero norme
composte da antecedente e conseguente), il cui nesso condizionale è imputativo-deontico (non è un
nesso causale-ontico). La norma predica la liceità o l'illiceità del giudizio ipotetico con due atti di
volontà: uno descrive l'atto di volontà che identifica la fattispecie astratta, l'altro atto di volontà
descrive il modo in cui l'autorità decide come punire la violazione della fattispecie astratta.
“Il diritto è il regno delle libertà umane” (Kelsen), perché sono gli uomini a darsi il diritto e secondo
la dottrina pura del diritto:
1. il diritto è autoreferenziale perché il diritto guarda il diritto e si autoproduce perché si
modifica attraverso le sue stesse regole;
2. il diritto è formale, per questo si parla di “Teoria pura del diritto”;
3. il diritto non guarda l'etica, la morale, la religione infatti è esangue perché perde i valori
etici, se non quelli che vuole il legislatore. La Costituzione è impregnata di valori che sono
giuridici ma la sostanza valoriale non è giuridica;
4. il diritto è una piramide di cristallo, si conclude all'interno delle sue procedure, il contenuto
è per Kelsen irrilevante e non fa riferimento a concetti extra giuridici: se il legislatore ha
deciso che un albero secolare è più importante di un neonato malformato e la forma con cui
produce la norma è corretta, allora la norma è perfetta.
Kelsen idealizza la Corte costituzionale, organo che controlla la regolarità costituzionale di una
legge: è un mero legislatore negativo cioè controlla i vizi di forma delle leggi e le annulla (ecco
perchè legislatore negativo).
Dopo l'Anschluss Kelsen si rifiuta di scrivere le sue opere riportando i valori del nazismo e, per non
finire nei campi di concentramento, fugge in America. Finita la seconda guerra mondiale egli cerca
di ritornare in Austria ma venne rifiutato poiché la sua teoria pura facilitò e giustificò le leggi
naziste, perfette dal punto di vista formale ma inumane nella sostanza: reductio ad Hitlerum. Così
egli morì negli anni '70 in America. Un esempio di legge nazista ingiusta ma valida fu aktion 4:
decreto formalmente valido con cui si decise di sterminare i malati mentali (anche tedeschi)
stipandoli nei camion con installate delle docce a gas. Gli stessi camion furono l'antecedente dei
forni crematori e docce a gas dell'Olocausto per sterminare tutti gli Untermensch (sottouomini).
Tutti i giusfilosofi sostenevano che la norma primaria nella norma giuridica fosse l’antecedente (se
x); invece Kelsen sosteneva che il conseguente (allora deve essere y) fosse la norma più
importante e primaria. Il conseguente deve essere una sanzione negativa. Se una norma non è
sanzionata, allora non è una norma giuridica.
Quindi la norma giuridica secondo Kelsen è:
1. prodotto della volontà umana;
2. posta in essere da un'autorità legittimata;
3. pura;
4. sanzionata.
La natura è il “mondo della necessità” mentre il diritto è il “mondo della libertà”. Non esistono in
natura le norme giuridiche: sono frutto del libero arbitrio dell'uomo i quali si danno
convenzionalmente delle regole. Kelsen guarda lo schema logico, il lato attivo della norma:
purificare il diritto dividendo sollen e sein, la norma non è una minaccia psicologica ma un giudizio
ipotetico. Se la norma giuridica è pura il problema si riverbera sul sistema giuridico: cioè anche il
sistema giuridico deve essere puro. Norma e sistema devono essere esangui da valori extragiuridici.
Il sistema puro (= nomodinamicità) si racchiude nella Grundnorm.
Hart cri