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RECAP:

I requisiti delle preparazioni parenterali dipendono dal fatto che, essendo somministrate per via

parenterale, è necessario valutare con attenzione il pH (che deve essere un compromesso tra la

solubilità del principio attivo, stabilità della forma farmaceutica e la tollerabilità nel sito di iniezione),

osmolarità che assicura che il liquido che viene somministrato per via parenterale abbia determinati

requisiti e che non provochi squilibri osmotici nel sangue o tessuto. Altri aspetti riguardavano il fatto

di aumentarne la stabilità usando anti ossidanti o EDTA, oppure rimozione di ossigeno atmosferico;

si possono anche aggiungere tensioattivi che influenzano la solubilità e bagnabilità della sostanza,

possono anche modificare la tensione superficiale quindi le possibili interazioni che magari si

possono verificare con il contenitore. Per aumentare la solubilità, in caso di soluzione acquosa, si

possono aggiungere cosolventi (PEG o etanolo) miscbili con acqua per preparazioni iniettabili; a

seconda delle finalità terapeutiche si può avere anche un solvente oleoso con oli biocompatibili con

elevato grado di tollerabilità e si usano per fare sospensioni oleose, soluzioni oleose o emulsioni.

N.B: per via endovenosa si può somministrare solo una emulsione olio in acqua, mentre per

l’emulsione acqua in olio o sospensioni/soluzioni oleose vanno bene anche le altre vie come la

sottocutanea o intramuscolare; 65

Sistema contenitore- tappo nei preparati parenterali

È fondamentale per i preparati parenterali perché uno dei principali requisiti di tali preparati è

proprio la sterilità e quindi il contenitore-tappo permette di assicurare la separazione della forma

farmaceutica finita con l’ambiente esterno al momento dell’allestimento/produzione, ma anche nel

tempo. Inoltre, poiché spesso le preparazioni parenterali vengono somministrate attraverso un

sistema ago siringa, il contenitore è anche il device che ne permette la somministrazione, quindi

svolge una doppia funzione mantenendo sia i requisiti microbiologici (separazione con ambiente

esterno) e sia la somministrazione

Che cos’è il confezionamento? Può essere definito come:

- Primario (“contenitore”) quando è a diretto contatto con il medicinale che contiene (la

chiusura fa parte del contenitore) e permette che il contenuto possa essere prelevato in

modo appropriato all’iso previsto dalla preparazione, assicura certi gradi di protezione in

funzione della natura del prodotto e dei rischi dell’ambiente, rendendo minima la perdita

dei costituenti e non interagisce chimicamente o fisicamente (né cedere sostanze né

adsorbire) con il contenuto in modo da non alterare le qualità oltre i limiti tollerati dalle

prescrizioni ufficiali.

Quando si sceglie il contenitore, un aspetto fondamentale è il volume estraibile: si aggiunge un

overfill, ovvero un volume in eccesso che favorisce il recupero della quantità necessaria. Per volumi

molto viscosi, l’overfill deve essere più elevato perché diventa complicato poi prelevare il volume

nominale, mentre per i liquidi basta meno overfill. Per limitare l’overfill che rimane (altrimenti va

sprecato) si siliconizza l’interno dei contenitori, quindi questi vengono trattati applicando un leggero

strato di silicone che è una sostanza idrofobica, modificando le caratteristiche superficali del

contenitore (tensione superficiale inferiorie) e risulta molto più facile prelevare l’esatto contenuto,

avendo un minore impatto della tensione superficiale e quindi richiedendo un minore overfill.

In farmacopea è descritto un saggio per andare a determinare qual è il volume estraibile delle

preparazioni parenterali e questo prevede di prelevare un tot di volume (dipende dal volume

nominale del contenitore) con un sistema ago-siringa per una sierie di volte e poi il contenuto della

siringa viene svuotato in un cilindro di cui poi si va a misurare il volume tramite il cilindro; la somma

dei volumi nominali in funzione del numero di campionamenti deve tornare con quello che viene

misurato col cilindro stesso.

Il materiale utilizzato per il confezionamento deve essere inerte, quindi non interagire con il

contenuto tramite fenomeni di adsorbimento/assorbimento/permeabilità/cessione, deve non dar

luogo a contaminazione con particelle (resistenza meccanica), deve sopportare le variazioni di

temperatura e pressione durante i processi di sterilizzazione (basso coefficiente di espansione

termica), deve essere trasparente per permettere l’ispezione visiva del contenuto e deve proteggere

l’integrità e la sterilità del contenuto. Il materiale che rispetta tutte queste caratteristiche è il vetro.

Che cos’è il vetro? Silice in forma cristallina che viene sottoposta ad un processo di raffreddamento

e riscaldamento molto veloce, organizzandosi in forma disordinata chiamata forma amorfa. La

temperatura a cui avviene è estremamente elevata (1713°C), quindi vengono aggiunte sostanze

fondenti (ossido di sodio e il carbonato di sodio) responsabili della diminuzione della temperatura

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di fusione, rendendo il vetro lavorabile a temperature inferiori rispetto a quelle necessarie di per sé

per far fondere la silice.

Nel vetro vengono utilizzati altri componenti responsabili della stabilizzazione del reticolo piuttosto

che nell’ottenimento di particolari caratteristiche del vetro stesso. Perché sono fondamentali tali

sostanze? Perché quando si aggiunge carbonato di sodio o ossido di sodio per diminuire la

temperatura di fusione del vetro, si aggiunge al vetro un sistema che favorisce un grado di disordine

perché si forma un complesso tra ossido di sodio e silice che fa si che il vetro non riesca più a formare

una struttura reticolata ordinata tipica delle sostanze cristalline e anche fa si che le interazioni tra

silice e ossigeno siano indebolite, a favore di interazioni in cui il sodio si va a mettere da ponte. La

nuova struttura del vetro è molto più mobile che viene definito idrosolubile, ovvero gli ioni sodio

possono essere ceduti nel tempo, cosa che però non è desiderata perché è difficile da prevedere e

gestire e renderebbe il materiale meno inerte, quindi per stabilizzare il reticolo, vengono utilizzate

sostanze alcalino terrose (ossidi di calcio e magnesio) che creano dei sistemi a ponte stabilizzando il

vetro nella forma amorfa rendendo il vetro insolubile nel prodotto finito; si possono aggiungere

anche altre sostanze che migliorano la resistenza idrolitica e allo shock termico.

In farmacopea sono descritti tre tipi di vetro che permettono di ottenere dei contenitori con diversa

resistenza idrolitica e anche diversa finalità:

- Tipo 1 sono costituiti da vetro neutro (boro silicato) e hanno una maggior resistenza idrolitica

che non fa cedere elettroni e in più contiene ossidi di boro/ossidi di metalli alcalino terrosi

che stabilizzano il reticolo. Viene utilizzato per preparazioni parenterali sia per sangue

umano che frazioni

- Tipo 2 sono costituiti da vetro silico-sodico-calcico ed hanno alta resistenza idrolitica dovuta

al trattamento della superficie; è meno nobile perché viene semplicemente stabilizzato dagli

ossidi di metalli alcalini, ma non sono presenti gli ossidi di boro/alluminio responsabili

dell’insolubilizzazione del vetro stesso. Ottimale per preparazione acquose acide o neutre

per uso parenterale in cui la presenza di acidi potrebbe andare ad aumentare l’idrolisi del

vetro

- Tipo 3 sono di vetro silico-sodico calcico con minore resistenza idrolitica. Idoneo per

preparazioni non acquose per uso parenterale, per polveri per uso parenterali o per tutte le

preparazioni per uso non parenterali (sciroppi, semisolidi ecc..)

Il vetro è un materiale che presenta una serie di vantaggi, ma non è perfetto perché di per sé

potrebbe essere fragile e la rottura di parte del vetro implica contaminazione particellare, oppure

contenuti estremamente acidi o basici possono provocare la cessione di ioni/alterazioni del

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pH/delaminazione degli strati superficiali da parte del vetro portando ad instabilità chimica e a

contaminazioni e in più il vetro è pesante.

Per questo motivo vengono sfruttati materiali polimerici (plastica) che sono non fragili e sono

leggeri, flessibili in modo che possano essere utilizzati non solo come contenitore primario, ma

anche come device per la somministrazione; ma il problema della plastica è che non è mai

perfettamente trasparente, non permette la sterilizzazione, è permeabile al vapore e/o altre

molecole in entrambe le direzioni attraverso le pareti del contenitore, ha una superficie idrofobica

che da fenomeni di adsorbimento del principio attivo sulla superficie del contenitore. Infatti è stato

verificato che se una soluzione di insulina viene conservata in un contenitore di vetro, dopo un

tempo ha una perdita di circa il 55%, per cui, per ovviare a tale problema, è stata utilizzata una

proteina come l’albumina che ha una maggiore affinità per le superfici sia del vetro che della

plastica, in modo da creare una competizione tra tali proteine e l’insulina stessa; in presenza di

albumina, la riduzione di percentuale di insulina perduta è stata molto inferiore. Spesso non si deve

tener conto che la soluzione/forma farmaceutica è nel contenitore, ma da questo viene iniettata o

tramite siringhe o tramite una sacca per sfruttare un’infusione lenta e tutti questi sistemi sono

costituiti da diversi materiali, quindi può essere utile valutare la compatibilità della sostanza che

deve essere somministrata in funzione dei materiali con cui entra a contatto.

Quali polimeri vengono utilizzati?

Il polietilene (PE) ha come unità fondamentale l’etilene che si condensa e può avere due forme:

essere una molecola lineare (polietilene ad alta densità) e molecole con bracci (polietilene a bassa

densità) e la principale differenza sta nel fatto che in quello ad alta intesità si otteiene un elevato

impaccamento tra le molecole stesse (interazioni intra catena) con formazione di una struttura più

compatta e resistente, mentre in quello a bassa intensità i gruppi laterali ingombranti fanno si che

le interazioni che si creano tra le molecole sono molto più deboli, per cui il materiale risulta più

morbido e flessibile.

Il polipropilene (PP) ha un gruppo CH3 ingobrante e quindi a seconda che si abbia un

comportamento ordinato (CH3 tutti dallo stesso lato) oppure che sia non troppo ordinato (CH3

alternati o random) si avranno dei materiali diversi dal punto di vista delle caratteristiche e delle

proprietà (duri/resistenti/flessibili).

Le caratteristiche di questi materiali vengono utilizzate per ottenere materiali con la t

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Publisher
A.A. 2021-2022
132 pagine
SSD Scienze chimiche CHIM/09 Farmaceutico tecnologico applicativo

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ariannapavi22 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Biotecnologia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Selmin Francesca.