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Il centenario
• L’Italia che si apprestava a celebrare il centenario dell’unità era una nazione completamente diversa da quella del 1911. Le due guerre
mondiali, il fascismo, la resistenza, la nascita della Repubblica e l’approvazione della Costituzione avevano modificato in maniera sensibile la
coscienza storica e le condizioni del paese. Allo stesso tempo il “miracolo economico” ne stava rapidamente cambiando la geografia e le
strutture sociali.
• L’Italia era ormai ad un livello di sviluppo mai raggiunto prima che si legava, anche ad una mutazione profonda delle sue strutture sociali ed
economiche. Il Centenario dell’Unità d’Italia ha il suo battesimo nel Consiglio dei Ministri del 20 agosto 1960, come indica la circolare
relativa, confermata dal Consiglio dei Ministri del 29 dicembre 1961 sotto la presidenza di Amintore Fanfani. Le celebrazioni si svolgono in
diverse città italiane, grandi e piccole, come documentano le lettere delle prefetture di Firenze, Genova, Trento, Ragusa, Cagliari e Perugia.
• Il fulcro delle manifestazioni è però Torino, città simbolo del recente “miracolo italiano”, sede della proclamazione del Regno d’Italia nel 1861
e prima capitale, con tre rassegne: la “Mostra Storica dell’Unità d’Italia”, la “Mostra delle Regioni Italiane” e la “Mostra Internazionale del
Lavoro”. Il tema del Risorgimento doveva costituire il leitmotiv delle celebrazioni, come indicato fin dal 1958 quando era stata presentata in
Parlamento la proposta di legge per un primo contributo destinato a commemorare il Primo Centenario dell’unità nazionale e finalizzato in
particolare alla pubblicazione di saggi, monografie e studi per ripercorrere la storia dei primi cento anni dell’Unità.
• Una rivisitazione storica che correva in un momento di profonde trasformazioni della società, indispensabile per conservare la memoria e
l’identità di una nazione che si apprestava a tagliare molti dei legami con il passato. Nel giugno 1958 il Consiglio dei Ministri approvava il
programma di massima mentre il presidente della Repubblica Giovanni Gronchi concedeva l’Alto Patronato alle manifestazioni. Il 30 dicembre
del 1959 il Parlamento approvò definitivamente la legge che finanziava il Centenario e il 9 maggio dell’anno successivo un decreto stabiliva
la composizione e le funzioni del Comitato nazionale, composto da trentanove membri tra cui alcuni parlamentari, molti rappresentanti del
governo, i sindaci delle maggiori città italiane nonché altri esponenti di realtà provinciali o istituzioni culturali.
• Fu il ministro Giuseppe Pella ad assumere la presidenza del Consiglio direttivo di Italia ’61, il Comitato per le celebrazioni del Centenario
dell’unità. Al momento dell’insediamento del nuovo organo direttivo il presidente Pella richiamò in un discorso i valori alla base delle
celebrazioni: «celebriamo l’Unità d’Italia, e quindi il trionfo sarà non della città ospitante ma di tutti gli italiani» che accorrendo alla
manifestazioni dimostreranno come « non solo si è fatta l’Italia ma si son fatti anche gli Italiani».
• Roberto Rossellini, regista di numerosi film aventi come oggetto periodi o
personaggi storici d'Italia, diresse due film centrati sul Risorgimento: il
Viva l'Italia!
celebrativo , in cui ricostruisce la spedizione dei Mille, e il più
Vanina Vanini
intimista , storia d’amore tra una nobildonna e un carbonaro,
tratta da un racconto di Stendhal ambientato ai tempi dei moti carbonari.
• Viva l’Italia è la storia della spedizione dei Mille, «pacificata» con i Savoia.
Il titolo fu oggetto di alcune polemiche e cambiato poco prima della
Paisà
presentazione. Originariamente Rossellini aveva titolato il film
1860, scelto dal regista per sottolineare il taglio neorealistico dell'opera
che rappresenta un distacco dalla retorica risorgimentale per approdare al
rigore storico nella narrazione. Il principale soggettista e sceneggiatore
Sergio Amidei tracciò un significativo parallelismo tra la nuova opera e il
Paisà,
precedente evidenziando le analogie tra l'epopea garibaldina del
1860 e la guerra di liberazione alleata, dopo lo sbarco in Sicilia del 1943
• Il 4 novembre del 1961, in occasione della chiusura delle celebrazioni del centenario
dell’unità nazionale, “La Stampa” riporta così gli avvenimenti: “Nella ricorrenza
della vittoria e a chiusura delle celebrazioni del primo centenario dell’unità d’Italia,
60 mila combattenti, mutilati, invalidi, ciechi di guerra, cappellani militari, ufficiali in
congedo, ex alpini, ex bersaglieri, ex granatieri, etc…, medaglieri grondanti di
insegne al valore, hanno riempito le vie, le piazze, l’Altare della patria, il sagrato del
Pantheon, il Gianicolo … Gli uomini politici, Gronchi, Fanfani, Piccioni e Andreotti
hanno aggirato tutta la città, da un luogo all’altro delle cerimonie, a deporre corone,
a pronunciare discorsi, ad appuntare e ricevere medaglie, a passare in rivista reparti
d’onore e salutare bandiere … Squadre di generali e ammiragli venivano, andavano,
si ritrovavano di luogo in luogo agli appuntamenti di servizio, si salutavano, si
rincontravano tra file di corazzieri davanti alle bandiere, al suono delle fanfare …
l’Inno di Mameli, la canzone del Piave, la Marcia al campo, la Marcia dei bersaglieri,
… corone del governo e delle forze armate sulle tombe di Orlando, il presidente
della vittoria; del maresciallo Diaz, il duca della vittoria; del grande ammiraglio
Thaon di Revel, il duca del mare …”
Il Risorgimento «incompiuto» nella
letteratura
• Giovanni Verga nel decennio più importante per la sua letteratura (quello compreso tra il 1880 e il
1889), sceglie di raccontare, per esempio, che cosa significhi l’Italia unita per le classi sociali più
Malavoglia
povere della Sicilia. I personaggi dei (romanzo che fin dal primo capitolo indica
significativamente l’anno nel quale le vicende narrate iniziano a svolgersi: il 1863), continuano a far
riferimento al Regno delle Due Sicilie, come se niente fosse accaduto, tanto che un personaggio
(Barbara) parla della penisola italiana come di un territorio «fuori Regno»: fuori, cioè, del Regno delle
I Malavoglia
Due Sicilie, che era crollato un paio d’anni prima. Ma raccontano anche in che modo
questa entità lontana e astratta che è lo Stato italiano fa sentire la sua presenza nel profondo Sud: il
passaggio dai Borboni al Regno d’Italia, infatti, è accompagnato dall’imposizione di nuove tasse (come
quella sulla pece e sul sale, che provoca la velleitaria «rivoluzione delle mogli» raccontata nel capitolo
VII del romanzo) e dall’obbligatorietà del servizio di leva (che porta il giovane ‘Ntoni lontano dal suo
scoglio – e quindi, secondo la prospettiva verghiana, sulla strada della perdizione – e fa morire Luca
Malavoglia nella battaglia navale di Lissa del 1866). Ma Verga, soprattutto, scrive nel 1882 una
Libertà
novella come , dedicata ai fatti avvenuti realmente a Bronte nell’estate del 1860, quando la
popolazione, pensando di anticipare degnamente l’arrivo di Garibaldi da poco sbarcato in Sicilia, si
solleva contro i ricchi e “i cappelli”, uccide tutti coloro che considera degli oppressori, sfoga, in un
«carnevale furibondo», la rabbia a lungo repressa, finché un generale di Garibaldi (Nino Bixio) giunge
nel paese siciliano, fucila i primi quattro rivoltosi che gli capitano sotto tiro e imprigiona tutti gli altri
responsabili della rivoluzione, che finiranno la loro vita in carcere, lontani dalla libertà sognata e
coincidente, per il popolo siciliano, con un pezzo di terra da poter possedere e coltivare.
I Vicerè I Vecchi e i giovani
• di Federico De Roberto e di Luigi Pirandello sono i
primi due romanzi che raccontano apertamente "il fallimento" delle attese
risorgimentali, nell'inettitudine della classe dirigente, nella mancanza di
trasmissione sana tra le generazioni e nel divario sociale incolmabile tra le classi,
proprio in quella regione dove i destini dell'unificazione sembrano prima farsi e poi
irrimediabilmente disfarsi, insomma come non potesse nascere del buono da una
storia piena di ambiguità, tradimenti, punti oscuri.
Il Gattopardo
Entrambi romanzi "familiari" e siciliani come di Giuseppe Tomasi di
Lampedusa, a cui è affidata l'immagine che è forse diventata la più popolare della
trasformazione storica italiana, a cui se ne affiancherebbe una sociale soltanto
simulata, quel "cambiar tutto affinché nulla cambi veramente". Ma sono gli occhi
cinici e malinconici di chi può guardare la storia dalla posizione "principe", quando
Gattopardo,
un affresco dal basso era stato mirabilmente realizzato, e prima del
Signora Ava
solo da Francesco Jovine con il suo (1942). Anche qui una zona rurale
e "arretrata" del Paese come il Molise, ma i protagonisti sono presi dal basso nei
bassi ingranaggi della storia, perché sono contadini e preti girovaghi
Libertà,
• Se Verga, con pur non assumendo un atteggiamento ‘partigiano’ né nei confronti
dei rivoltosi, né verso Bixio e i garibaldini, sceglie comunque di raccontare – e di
immortalare – una pagina meno esaltante di quella spedizione dei Mille entrata subito, fin
dal suo svolgersi, nella sfera del ‘mito’, è un altro scrittore siciliano, Federico De
I Viceré,
Roberto, a pubblicare nel 1894 il primo romanzo politico dell’Italia unita, storia
della famiglia nobiliare degli Uzeda tra il 1855 e il 1882: una famiglia capace di tenere
saldamente in mano il proprio potere, sia prima dell’arrivo di Garibaldi in Sicilia (con il
titolo di Viceré ottenuto dalla corona di Spagna), sia dopo la nascita del Regno d’Italia
(quando sarà uno Uzeda – e non un autentico liberale – a divenire deputato). De Roberto,
che poi avrebbe proseguito a raccontare la storia degli Uzeda nel romanzo
L’Imperio
intitolato (un romanzo che si inserisce nell’ambito della “letteratura
parlamentare”, nata già all’indomani dell’apertura del primo Parlamento unitario), scrive,
I Viceré,
con il romanzo del mancato cambiamento, della trasformazione apparente e della
sostanziale continuità; scrive un libro di forte polemica nei confronti degli esiti del
Risorgimento, i cui alti ideali vengono demoliti sarcasticamente dalla frase pronunciata
dal duca d’Oragua, l’Uzeda divenuto p