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Quindi proporzionalità della pena.

Ricordate che Beccaria da alla parola interpretazione una connotazione negativa, è

convinto che interpretare significhi alterare il testo della legge, per risolvere questo

problema, per evitare che i giudici interpretino e che facendolo creino, interpretando

diventano produttori di norme e invadono la sfera del legislativo.

Beccaria è un seguace di Montesquieu e crede nella tripartizione dei poteri quindi

crede che se i giudici cominciano ad interpretare liberamente in modo creativo,

invadono la sfera del legislativo, per tenerli entro il confine del potere giudiziario,

Beccaria propone che la sentenza sia un sillogismo perfetto:

la premessa maggiore è la legge, la fattispecie criminosa, la premessa

minore è il fatto, il risultato è la sentenza che Beccaria, molto

semplicisticamente, dice va nel senso o della libertà o della condanna.

Se la premessa minore sta dentro la premessa maggiore, la norma, allora c’è la pena;

se non sta dentro allora libertà. Questo è il punto più contestato dell’opera di Beccaria

perché i giuristi di oggi dicono che è troppo semplice, non funziona così, la legge non è

univoca come pensava lui, perché ogni frase di ogni articolo, di ogni legge dice una

pluralità di cose invece Beccaria la fa facile.

Beccaria spera, per essere coerente con questa premessa, che il legislatore provveda

ad emanare un codice, questa è una parola ancora molto rara nel ‘700, loro

conoscevano il codice di Giustiniano, uno dei pezzi del puzzle del Digesto ma questa

era un’altra cosa. La parola codice per come la conosceva Beccaria e per come la

conosciamo noi, sarebbe stata una svolta nel senso di un testo coerente, riguardante

un intero settore dell’ordinamento giuridico. Beccaria vuole che si faccia un codice in

questo senso, così come lo intendiamo oggi.

Quando un codice fisso di leggi che si devono osservare alla lettera (vedete il sogno

illuministico e cioè esiste una sola interpretazione possibile che è quella letterale, oggi

ovviamente i filosofi del diritto dicono che questa è un’utopia, non è possibile ma

questo è il nucleo di “dei delitti e delle pene”) non lascia al giudice altra incombenza

(il giudice deve solo analizzare le azioni dei cittadini ed esaminare se sono conformi

alla legge), allora i sudditi non sono soggetti alle piccole tirannie dei molti, finisce

l’arbitrio della magistratura. I cittadini acquistano quella sicurezza che è giusta perché

è lo scopo per cui gli uomini stanno in società.

“il non comportarsi in modo delinquenziale, non commettere misfatti è

Beccaria dice:

meglio che sia frutto di un calcolo (utilitarismo) anziché di buoni valori morali a cui

nessuno crede più”.

“…se l’interpretazione delle leggi è un male è altrettanto un male l’oscurità che

strascina necessariamente l’interpretazione”.

Perché le leggi si lasciano fin troppo interpretare? “Perché sono oscure soprattutto se

scritte in una lingua straniera al popolo, che pone quest’ultimo alle dipendenze dei

dotti”, qui c’è un richiamo a un valore che per noi oggi è abbastanza acquisito, però se

parlate con un avvocato o un notaio vi dirà che non è così nei fatti, il valore della

conoscibilità delle leggi. Il codice che ancora non esisteva, oltre ai trattati tecnici,

portava con se anche questo valore della conoscibilità da parte di tutta la comunità.

Se il diritto, come sperava Beccaria, fosse stato codificato, a cominciare da quello

penale, non ci sarebbe più stata la situazione di trovarsi in balia di quelli che ne sanno

di più.

Siamo nel ‘700 il diritto è quasi tutto scritto in lingua latina.

Proporzionalità delle pene.

Ancora una volta Beccaria apre questo paragrafo con una frase utilitarista:

“Non solamente è interesse comune che non si commettano delitti, ma che siano più

rari a proporzione del male che arrecano alla società. Dunque, più forti debbono

essere gli ostacoli che risospingono gli uomini dai delitti a misura che sono contrari al

ben pubblico, ed a misura delle spinte che gli portano ai delitti. Dunque vi deve essere

una proporzione fra i delitti e le pene.”

Dobbiamo evitare i delitti ma soprattutto dobbiamo evitare quelli gravi per i quali

dobbiamo apportare delle misure ancora più energiche e ci deve essere proporzione

tra delitti e pene.

“All'esattezza matematica bisogna sostituire nell'Aritmetica Politica il calcolo delle

probabilità”

Cioè bisogna fare in modo che ancora una volta l’aspirante delinquente si faccia un

calcolo costi e ricavi dell’agire in modo delinquenziale e tutto questo avviene, secondo

Beccaria, con le stesse dinamiche che governano le leggi della natura. Questo è un

aspetto molto interessante, tutti noi siamo condizionati dalla realtà in cui viviamo,

Beccaria viveva ancora un po’ di residui della rivoluzione scientifica, sembrava a quei

tempi, metà 700, che le materie umanistiche compreso il diritto o si adeguavano alle

materie scientifiche oppure per loro non c’era più storia perché non avevano un

metodo, non avevano la precisione delle materie scientifiche.

Infatti Beccaria spesso quando deve spiegare l’efficacia della pena ricorre a metafore

scientifiche, la pena deve essere come la forza di gravità, una forza di compressione,

una cosa che viene compressa più la spingi e più sale su quando la liberi.

“Quella forza simile alla gravità, che ci spinge al nostro ben essere, non si trattiene,

che a misura degli ostacoli, che gli sono opposti”.

“…le pene, che io chiamerei ostacoli politici, ne impediscono il cattivo effetto senza

distruggere la causa impellente, che è la sensibilità medesima inseparabile

dall'uomo”.

Cioè io non posso ammazzare una persona perché ha rubato una gallina, questo

significherebbe stroncare la causa impellente che è la sensibilità umana, la pena deve

essere sempre proporzionata.

“…e il legislatore fa come l'abile Architetto di cui l'officio è di opporsi alle direzioni

rovinose della Gravità, e di far conspirare quelle, che contribuiscono alla forza

dell'edificio.”

Non è l’assenza di gravità che tiene in sesto l’edificio, al contrario è il gioco sapiente

che sfrutta la forza gravitazionale, un utilizzo anche in questo caso delle leggi della

fisica trasposte in campo umanistico. Le azioni criminose sono disposte come una

scala di gravità, gli atti più gravi sono quelli che distruggono immediatamente la

società, la scala più piccola è occupata dalla minima ingiustizia possibile fatta ai

privati, piccolo sgarbo interpersonale, tra questi due estremi ci sono tutte la azioni

opposte al bene pubblico.

“Se la Geometria fosse adattabile alle infinite ed oscure combinazioni delle azioni

umane, vi dovrebbe essere una scala corrispondente di pene, che discendesse dalla

più forte, alla più debole.”

Cioè se si potesse applicare la geometria alle sanzioni penali dovremmo avere un

continuum per cui 300 la sanzione più forte, poi 299 e così via ma Beccaria sa che

questo non è praticabile perché le scienze umane non vivono in un continuum

geometrico e allora dice:

“…ma basterà al saggio Legislatore di segnarne i punti principali” fissare quindi un

punto alfa e un punto beta, pena maggiore e pena minore.

Come si agisce per dissuadere l’aspirante delinquente dal delinquere? Siccome

Beccaria sta tentando di applicare un modello non dico matematico ma fisico alle

scienze penali, se la cava mettendo in campo due assi nella manica: il piacere e il

dolore.

“Se il piacere, e il dolore sono i motori degli esseri sensibili (…) il premio, e la pena,

dalla inesatta distribuzione di queste ne nascerà quella tanto meno osservata

contradizione, quanto più comune, che le pene puniscano i delitti, che hanno fatto

nascere. Se una pena uguale è destinata a due delitti, che disugualmente offendono la

società, gli uomini non troveranno un più forte ostacolo per commettere il maggior

delitto, se con esso vi trovino unito un maggior vantaggio.”

Quali sono i gradi per misurare il delitto? Qual è la vera misura dei delitti?

“La misura dei delitti è il danno fatto alla società”.

Con questa frase Beccaria spera di travolgere secoli di moralismo, la Chiesa nel

medioevo ha costruito una gran parte del penale medievale e moderno, secondo il

prof anche contemporaneo; la Chiesa fa il suo mestiere e non può far passare indenne

il pensar male (in diritto canonico la “cogitatio” “pensare”), es. se io porto a mio

fratello un pacco di cioccolatini sperando siano scaduti così si avvelena e poi i

cioccolatini non sono scaduti, per noi questo è un delitto tentato, per la Chiesa è un

peccato esattamente come se mio fratello fosse rimasto avvelenato perché è punibile

anche il pensiero ma capite bene come questo modo di ragionare va contro qualsiasi

logica utilitaristica. Non sarebbe utile perseguirmi perché ho pensato male,

paralizzerei la vita pubblica, la realtà giudiziaria e infatti Beccaria trova una soluzione

estremamente di superficie, esterna, che è l’idea per cui la misura dei delitti va

regolata in base al danno fatto alla società, è il massimo manifesto dell’obiettivismo

penale, ciò che misura l’entità del reato è il danno alla società. È un criterio che oggi i

penalisti non condividono.

“Questa è una di quelle palpabili verità, che quantunque non abbian bisogno nè di

quadranti, nè di telescopi, per essere scoperte, ma sieno alla portata di ciascun

mediocre intelletto, pure per una maravigliosa combinazione di circostanze non sono

con decisa sicurezza conosciute, che da alcuni pochi pensatori.”

Qual è il fine delle pene?

“il fine delle pene non è di tormentare, ed affliggere un essere sensibile (ancora uso di

questa parola che riguarda i sensi, che percepisce attraverso i sensi, non sensibile

caratterialmente, per questo la Chiesa bastona “dei delitti e delle pene” perché insiste

sul sensismo come se l’uomo fosse fatto solo di sensi materiali), nè di disfare un

delitto già commesso. La pena efferata non serve a nulla perché non fa ritornare in

vita l'ucciso. Può egli in

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A.A. 2022-2023
8 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/19 Storia del diritto medievale e moderno

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Mirinmig6052000 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del diritto medievale e moderno e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Foggia o del prof Miletti Marco Nicola.