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Il potere del re e l'editto di Rotari

Il potere del re, secondo la tradizione latina, è ben diverso da quanto previsto nella tradizione latina. Si ha l'autorità del re affermare il suo potere superiore, nell'ordine pubblico, nella giustizia, nella stessa società. L'editto di Rotari è una delle leges germaniche consolidatrici delle consuetudini popolari. Si ha una vera e propria attività legislativa autonoma del re anche sul piano teorico: Liutprando legifera ampiamente e si nota un'influenza cattolica ed ecclesiastica, ma pure della riemersa tradizione romana. L'unitarietà del potere del re supera la "nazionalità": i "romani" che non sono scomparsi riemergono e sembra che essi, sericchi, possano affiancare nell'esercito i Longobardi: l'invito a parteciparvi è rivolto pure ai "negotiatores", che si può presumere fossero più latini che germani, data la scarsa propensione di questi al commercio.

L'exercitus non è neppure quello "nazionale" dei liberi longobardi (arimanni). Dopo due secoli, le "nationes" sono venute un po'integrandosi nel territorio, cementando i gruppi sociali e formando specifici usi locali, andando oltre le divisioni di stirpi. Alla caduta del regno, i Longobardi sono però ben radicato nelle terre italiane acquisite e la tradizione della loro "nazione" vi resta ancora a lungo, anche se il dominio politico-militare passa ai Franchi, dopo che il loro re Carlo ha sconfitto in Italia l'ultimo re LONGOBARDO, Desiderio (774). I Franchi, dopo la vittoria, non espellono i Longobardi: al massimo possono cambiarne i capi politici ed introdurne i propri. Nella penisola resta una forte tradizione longobarda accanto a quella latina: i Franchi restano oltre le Alpi, al massimo spostano alcuni gruppi di élite militare a comandare. La tradizione germanica in Italia sarà

Tendenzialmente quella longobarda. L'EDITTO DI ROTARI l'editto di Rotari ha continuato ad essere applicato anche dopo la caduta del regno longobardo durante la dominazione franca: è confluito così nel "Liberpapiensis" in uso nel periodo successivo, giungendo ad essere poi inserito con questo in appendice alla raccolta giustinianea da parte dei giuristi delle poca del seguente rinascimento giuridico. È rimasto nella tradizione giuridica meridionale per la persistenza del ducato longobardo di Benevento. L'uso dell'editto si è quindi protratto nei secoli. Il latino usato per la sua compilazione non è quello classico e in esso si precisa che l'intervento del re non è stato solo di accertamento delle antiche consuetudini popolari, ma anche di aggiornamento ed integrazione: è l'avvio del potere legislativo del re longobardo. Numerose disposizioni dell'editto hanno rilievo penale, per cercare

Il testo parla di una società violenta che utilizzava composizioni per risolvere i conflitti. Queste composizioni erano fissate in modo casistico e coinvolgevano l'offeso e la sua famiglia, imponendo sanzioni pesanti al colpevole del reato. L'influenza dell'editto di Rotari e delle leggi dei successivi re longobardi si è fatta sentire per secoli in Italia, anche dopo la caduta del regno longobardo. Queste leggi prevedevano la composizione del reo con l'offeso o la sua famiglia per evitare vendette, e una seconda composizione verso il tutore dell'ordine pubblico locale per evitare reazioni.

I Franchi, che erano già "federati" imperiali, si sono insediati a sud della foce del Reno e poi nelle Gallie, costruendo un regno autonomo alla fine del V secolo. Sotto il re Clodoveo (480-511), i Franchi si sono convertiti immediatamente dal paganesimo al cattolicesimo.

senzapassare per l'eresia ariana. Ciò ha facilitato i rapporti con il clero cattolico e con i Romani nelle Gallie. Popolosi e potenti, i franchi sconfissero gli altri popoli germanici presenti nelle Gallie o nelle vicinanze (Visigoti, Burgundi) tra la fine del V secolo e l'inizio del successivo. La monarchia era consolidata, con tendenza ereditaria, legittimata con unzione religiosa ed acclamazione assembleare. Il regno è stato percepito in senso patrimoniale, in armonia con l'insensibilità germanica per la distinzione tra "pubblico" e "privato". Non si è fatta differenza tra titolarità del regno e quella di altri beni da dividere fra gli eredi del re morto. In base alla tradizione della schiatta dei Franchi Salii ("lex salica") ne sono state inoltre eccettuate le figlie, dato che tale consuetudine le escludeva dalla successione nelle terre familiari. La partizione dei territori del regno porta

A guerre fratricide, ricomposte solo con la prevalenza di uno dei belligeranti, alla cui morte si ritorna alla stessa endemica frammentazione successoria. Ogni pretendente è indotto a valorizzare il legame personale con i suoi "fedeli" che presso il re franco pretendono sovente il nome di "comites", a comporre intorno a lui il "comitatus", gruppo di uomini devoti sino alla morte, al sostentamento dei quali provvede il re stesso a corte: sono i "comites palatini", siti con lui nel "palatium", detti "paladini"; accanto al re si trovano pure alcuni collaboratori con compiti fissi (presi per lo più fra i fedeli "comites"), come il "maior domus" (maggiordomo, sovrintendente alla dimora del re), il "marescalcus" (maresciallo o "comes stabuli" cioè connestabile, preposto ai cavalli del re), il "senescalcus" (per gli approvvigionamenti), il coppiere,

Il tesoriere ed altri: sono compiti all'inizio modesti, aumentati però molto quando la monarchia estende il suo potere e la corte aspira al fascino del modello bizantino. Tra i secoli VII - VIII la dinastia merovingia si infiacchisce ed è il maestro di palazzo a reggere il regno o le sue porzioni. Nel 732 è proprio il maestro di palazzo Carlo Martello ad organizzare per conto del re l'opposizione all'invasione araba, che sfocia nella vittoriosa battaglia di Poitiers. Alla morte del re viene eletto tramite assemblea popolare il figlio Pipino, grazie anche alle clientele vassallitiche, a stretto contatto con il re e che lo favorirono nella sua elezione.

Per questo motivo, il re procedeva ad ampie donazioni del patrimonio regio ad enti ecclesiastici (vescovadi e monasteri), ma pure a "fideles": tali terre passano ai nuovi titolari con le loro caratteristiche, quindi anche con le eventuali esenzioni fiscali (quali beni già demaniali).

romani). Ciò naturalmente depaupera il patrimonio regio; si stabilizza il rapporto fra i Franchi dominatori e gli elementi romani, anche grazie alla posizione della Chiesa cattolica, i cui vescovi hanno un ruolo di rilievo nell'ordinamento franco. Il regno risulta infatti dipendente dal re e dalla sua corte con sede usuale a Parigi; le parti del territorio sono a loro volta soggette ad un conte inviato dal re, di sua nomina e di sua revoca. Tali conti periferici, a capo della "contea", possono spesso conservare il potere ereditariamente ed insediarsi quindi con stabilità, perdendo così il nesso personale iniziale col re che li ha inviati. Essi sono soggetti a controlli periodici di altri inviati della corte ("missi dominici") per lo più in coppia, cioè spesso un altro conte ed un vescovo, cosa quest'ultima che testimonia del ruolo anche politico della Chiesa franca. Questa impostazione della monarchia perdura con i Carolingi e

influisce su certe caratteristiche del successivo Sacro Romano Impero: ereditarietà, patrimonialità, vincoli vassallitici nemineranno presto l'ampio territorio, così come si protrarranno le interconnessioni con la Chiesa (incoronazione pontificia dell'imperatore, investiture, "tuitio" imperiale della Chiesa).

Gli arabi. L'espansione araba si spinse fino a tutto il Mediterraneo, bloccando il traffico marittimo e limitando ancora di più l'economia europea alla produzione terriera. Si espansero dalla costa africana fino a raggiungere la Spagna e la Sicilia. Furono contrastati dai Bizantini e dai Carolingi; nel XII secolo la ripresa cristiana ha ribaltato a sua volta la situazione ed ha portato con le Crociate la guerra nella "Terra Santa" araba. I conflitti con l'Islam sono durati per secoli, anche se affiancati a periodi di relativa convivenza e traffici commerciali. La religione islamica rifiutava le immagini.

Quella cristiana invece, conforme devozionali, le ammetteva (soprattutto in particolare nelle terre bizantine ed era anche una risorsa di prestigio, potere e reddito dei monasteri e dei monaci). All'inizio del 700 in Anatolia si sviluppò un movimento contrario al culto delle immagini che prese il nome di eresia pauliciana e che finì per essere condiviso dalla stessa politica imperiale della Casata degli Isaurici. Essa portò a contrasti profondi nell'ambiente cristiano sia in Oriente che in Italia che sfociò nella eresia iconoclasta. Islam e Cristianesimo si contrastavano sul piano religioso o politico, ma a volte finirono pure per influenzarsi. La religione ha però avuto un peso decisivo quale "collante" della società sino a quando i "valori" dello Stato moderno non si sono affermati, nel pensiero politico, nella società, nelle diverse componenti della comunità (spesso per gradi di partecipazione).

La chiesa e il dominio pontificio. La Chiesa nell'alto medioevo è ormai organizzata. Oltre al sistema usuale gerarchico che lega piramidalmente papa, vescovi, presbiteriani, diaconi, fedeli, esiste quello dei monasteri, in via di organizzazione sulle singole iniziative grazie alla "regola" benedettina o a quella irlandese di san Colombano. La Chiesa come istituzione guida i suoi "fedeli"; viene individuando le regole di vita a questi indicate tramite raccolte scritte compilate da suoi esperti (diritto canonico); svolge però anche un forte ruolo di sostegno alla vita sociale, di fronte alla latitanza di altri poteri. Il vescovo è elemento di riferimento e di ordine per la ricerca di un minimo di vita associata, che si preoccupi della riparazione delle mura e della loro custodia, dell'ordine cittadino interno e della vita quotidiana. Accanto alle autorità ecclesiastiche operano i titolari delle diverse cariche politiche,

spesso costituite dal capo militare locale, si tratti di quello ostrogoto, del ducabizantino o di quello longobardo. Tale capo sovrintende all'ordine interno ed esterno del territorio, fra cui c'è pure

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Publisher
A.A. 2022-2023
51 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/19 Storia del diritto medievale e moderno

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher alice9blu di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del diritto medievale e moderno e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Perugia o del prof Rossetti Alunno.