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L'ambiente dei giuristi dell'età moderna
L'ambiente dei giuristi dell'età moderna non è rimasto insensibile a questi cambiamenti. Le loro riflessioni, diffuse dalla stampa, hanno avuto un'eco maggiore di prima. Anche i consigli dati ai principi dai giuristi di fama per risolvere specifiche controversie, erano editi e rientravano fra gli strumenti di trattativa politica. Da parte di un certo numero di giuristi "colti" legati all'ambiente ugonotto si polemizzò contro i principi che imponevano una determinata religione. Ne emerse un filone europeo di monarchomachi, portati a giustificare persino l'omicidio del principe, se irrispettoso o violatore di un patto sociale. Ci furono però anche posizioni più moderate: si può ricordare quella dei Sociniani, impegnati a fondo nel sostenere la libertà religiosa.
Il teorico di maggior rilievo dell'assolutismo regio è l'inglese Thomas Hobbes (1588-1679), che nel "De cive" e nel...
“Leviatano” offre la prima grande costruzione scientifica moderna dello Stato e del diritto, in chiave assolutistica, muovendosi dal diritto naturale. Hobbes parte dalla sua valutazione che nello stato di natura l’uomo non si dimostra portato alla vita pacifica ed al diritto, ma alla violenza e alla sopraffazione (“homohomini lupus”). Ne consegue che la vita associata non può presentarsi che come “bellum omnium contra omnes”: e qui, allora, l’uomo per quanto forte non potrà che temere di finire prima o poi ucciso. A questo punto, Hobbes pensa che l’istinto di sopravvivenza dell’uomo lo induca allora ad accettare di rinunciare a determinati suoi diritti pur di trovare sicurezza e sopravvivere: accettando un “patto leonino” con il principe, questo gli garantisce protezione e pace, ma in cambio di totale ed indiscussa obbedienza (sudditanza). Ne consegue che principe e Stato sono pertanto autorizzati ad ogni tipo
Di comando: è l'assolutismo. Addirittura, il principe è fonte della legge, quindi non tenuto a rispettarla poiché sopra di essa (si torna ai principi romani). Poco dopo la gloriosa rivoluzione, un altro studioso inglese, John Locke (1632-1704), partendo dallo stato di natura giunge a conclusioni opposte nel "Secondo trattato sul governo civile". Qui lo stato di natura non è retto non dalla forza, ma da ragione, uguaglianza e libertà. Nello stato di natura l'uomo ha dei diritti che la ragione indica debbano essere preservati ed è necessaria un'autorità a cui affidarne la tutela: è il principe (o lo Stato) a cui concordemente (per contratto) ogni uomo riconosce tale potere, ma senza rinunciare a tutto e anzi riservandosi quei diritti che provengono dallo stato di natura. Il patto fra governati e governanti per consentire a questi di reggere la società non può giungere ad escludere i diritti innati.
Due sono le conseguenze principali: il pattosociale considera presupposti i diritti innati; esso impegna entrambe le parti, tanto i governati a rispettare le regole di convivenza fissate, quanto i governanti a non debordare dagli accordi presi, con il rischio di una ribellione del popolo in caso di violazioni. In tali punti sta la giustificazione delle rivoluzioni inglesi, ma anche la base della democrazia liberale individualista.
Locke distingue tra potere legislativo e potere esecutivo, e preferisce vederli attribuiti ad organi diversi, così da evitare l'assolutismo. Al diritto naturale si collega anche la dottrina di un altro studioso del Seicento, più giurista degli altri due: l'olandese Ugo Grozio (Huig de Groot, 1582-1645). Di religione calvinista, subisce l'influenza delle concezioni giusnaturalistiche della Scuola di Salamanca, ma vuole fornire la sua ricostruzione del diritto su base laica e razionale. Egli prospetta un ordine giuridico sovranazionale.
basato sul principio per cui "pactasuntservanda": è considerato il fondatore del nostro diritto internazionale, imperniato sulla paritàdi rapporti formali fra i diversi Stati sovrani, che sono ora al centro delle considerazioni, e non piùla superiorità dell'impero. Più di vent'anni prima della pace di Vestfalia, Groziopresenta un "diritto delle genti"(internazionale) fra Stati, ciascuno con gli stessi dirittisovrani degli altri. Per Grozio il diritto deve rispondere agli aspetti essenziali della natura umana(diritto naturale), caratterizzata da razionalità e socievolezza. Giurista molto importante per lasuccessiva dottrina ed evoluzione del diritto è stato il francese Jean Domat(1625-1696), la cuiaspirazione è stata quella di mettere ordine nel diritto del suo tempo. Domat è un romanista cheapprezza molto in sé i principi del corpus iuris giustinianeo, ma ne critica invece afondol'incongrua disposizione. Il diritto privato romano gli appare corrispondente a ragione nei principi, ma irrazionale invece nell'organizzazione. Domat ha dato nuovo ordine ai principi del diritto privato romano, ne ha illustrato la razionalità e la ragionevolezza logica e ne ha presentato una nuova organizzazione sistematica. Sono le categorie e le distinzioni che in buona parte saranno usate nel testo definitivo del codice civile francese (code civil) del 1804, i cui redattori verranno influenzati da Domat e dal successivo giurista Pothier. Per tutta l'età moderna si sono susseguite opere giuridiche a stampa di numerosi autori. Accanto a numerosi trattati con argomenti specifici, si sono diffusi due generi letterari: i consilia e le raccolte di decisiones dei principali tribunali europei - per lo più Corti sovrane - con le motivazioni dottrinarie delle loro sentenze. Si può ricordare anche un giurista italiano del Seicento, Giovanni.Battista De Luca (1613-1683), grande avvocato e consulente napoletano che ha raccolto in un testo i casi trattati, dimostrando di volersi in parte staccare dalle ricorrenti citazioni di opinioni di altri giuristi e di preferire esporre la consequenzialità e coerenza del suo ragionamento giuridico con i 15 volumi del suo "Theatrum veritatis ac iustitiae", ove ha raccolto le migliaia di casi trattati come avvocato e consulente. Inoltre, merita di essere ricordato per un manuale di sintesi ("Il Dottor Volgare"), in italiano, in cui illustra ad un pubblico colto, ma non di giuristi o esperti, le principali regole giuridiche, secondo un'aspirazione divulgativa che non era all'epoca frequente.
6. Il sistema giuridico dell'età moderna
Il sistema giuridico dell'età moderna resta quello del diritto comune, nonostante le oscurità e incongruenze. Nel Settecento. Ludovico Antonio Muratori, sottolineandone le mancanze,
sirivolgerà invano a imperatore e pontefice per un loro intervento. Il cardine del sistema stava ancora nella secolare interpretatio dei giuristi, cioè nella dottrina giuridica del diritto comune, che si basava sui passi del corpus iuris civilis e del corpus iuris canonici, ma che da queste fonti poteva nello stesso tempo dedurre anche principi in parte nuovi. Il mos gallicus non ha in generale abbattuto il mos Italicus. La diffusione a stampa di opinioni sempre più numerose e varie ne ha però reso troppo frastagliate e diverse le conclusioni, causando ombra e insicurezza nel sistema. Nel presupposto di conservarlo, ma con l'obiettivo di migliorarlo, sono stati fatti passi in almeno tre direzioni: - Si è cercato di dare un valore e un'incidenza superiori ad un certo genere di soluzioni, o perché comuni (communis opinio doctorum) o perché qualche principe ha previsto per legge che nello Stato l'opinione di determinatigiuristi famosi prevalesse. Si è pure stabilito di dare valore di precedente in quel certo Stato alle soluzioni ed ai princìpi seguiti dalle decisioni del supremo tribunale dello Stato.
Una parte della dottrina ha proseguito secondo le prospettive del filone "culto". Obiettivi diversi, Ma con traguardi finali simili, si possono individuare anche nella ricerca della naturalis ratio degli studiosi della Scuola di Salamanca. L'ordinamento giuridico deve aspirare ad avvicinarsi alla ragione, e così ne consegue che i principi che lo formano debbano essere tra loro concatenati da logica e razionalità.
Una terza via percorsa al fine di semplificare il sistema è quella della legislazione. La legislazione dell'età moderna aspira non a contrapporsi, ma ad integrarsi con il sistema del diritto comune. Essa può venire a differenziare l'ordinamento di uno Stato dall'altro, ma riconosce sopra di sé l'insieme.
dei principi e dei concetti dello ius commune. Le regole dettate dalla legge prevalgono in quello Stato sull'eventuale disciplina del diritto comune, che quindi si presenta spesso come residuale, ma il diritto comune resta comunque come "collante" generale di tutto l'ordinamento statuale e come collegamento unitario con quello degli altri Stati. La legislazione può però agire anche in un altro modo: in alcuni casi il principe percepisce che la complessità del diritto comune ne rende oscuro il sistema, allora procede a predisporre con una legge organica la disciplina complessiva di una certa materia, ispirandosi alle regole già presenti nel diritto comune, ma facendo scelte precise e chiare in sostituzione della pluralità o dell'oscurità delle soluzioni. Il legislatore fissa quindi le regole per il suo Stato, ma non le inventa ex novo, bensì le sceglie per lo più fra quelle già esistenti nel diritto.
comune.
CAPITOLO 9 – ULTIMA ETA' MODERNA.
1. Inquadramento
L'ordinamento giuridico è da tempo criticato: l'aspirazione a rinnovare il sistema del diritto comune è nota e diffusa, ma non trova efficaci risposte realizzatrici. Il razionalismo seicentesco favorisce la prospettiva di un diritto razionale in armonia con la tendenza naturale dell'uomo come essere fornito di ragione. L'aspirazione al rinnovamento del diritto comune si trova anche nelle opere di due studiosi italiani, Muratori e Beccaria. Entrambi auspicano – invano – un codice che sostituisca il sistema esistente, il primo senza ulteriori mutamenti politico-sociali, il secondo (illuminista) per una riforma generale, di cui il codice è solo un tassello. Per tutta la prima metà del Settecento, fino alla pace di Aquisgrana (1748), in Europa si eraguerreggiato trai diversi Stati (prìncipi) nelle cosiddette "guerre di successione".
frattempo,la dottrina giuridico-politica aveva proposto di estendere i compiti del prìncipe (Stato) da quelli di conservazione dell’ordine (interno ed esterno) a quelli di miglioramento sociale e di condizione di vita: “era la scienza