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Estrema destra avanza (es. Le Pen, Haider), sfruttando i temi dell’identità, immigrazione, sicurezza.
Dopo l’11 settembre: rinascita dello scontro di civiltà, avvicinamento delle destre europee agli USA
(filone neoconservatore). Rapporto tra religione e politica
Crisi dell’UE e dell’eurozona (dal 2008): rafforzamento dei movimenti antisistema e euroscettici.
Temi trasversali
Ruolo dell’antifascismo come religione civile nella delegittimazione della destra.
Evoluzione da destra autoritaria e nostalgica a destra liberale, identitaria, populista.
Difficoltà nel contenere l’estrema destra all’interno dei confini democratici.
Crisi dei partiti tradizionali, emersione di nuove forze (M5S, Pirati, Alba Dorata).
Conclusione: la storia delle destre in Europa è un percorso non lineare, segnato da esclusione,
rilegittimazione, adattamento e trasformazione, in risposta ai grandi mutamenti geopolitici e
sociali del XX e XXI secolo. Le destre, oggi, si confrontano con nuove sfide identitarie e sistemiche,
cercando di riconquistare centralità nel quadro politico europeo.
La destra nella DC:
Obiettivo del saggio: analizzare l’esistenza, la natura e la fisionomia di una "destra" all’interno
della Democrazia Cristiana (DC), un partito dominante nella storia della Repubblica Italiana dal
secondo dopoguerra fino agli anni '90, spesso considerato centrista o moderatamente progressista.
Questioni metodologiche e approcci storiografici
Due principali approcci storiografici alla DC:
Interpretazioni sistemiche: Analizzano il rapporto della DC con il sistema politico italiano.
Storiografia esterna (di matrice comunista, socialista o azionista): delegittimazione della DC
come braccio secolare della Chiesa o del capitalismo.
Storiografia interna (vicina alla cultura cattolica): esaltazione del ruolo della DC nella
stabilizzazione democratica.
Interpretazioni partitiche: Studiano le dinamiche interne della DC, come correnti, struttura
organizzativa e composizione ideologica.
Esito comune: Entrambi gli approcci hanno spesso trascurato l’area di destra della DC,
privilegiando le sinistre interne o le maggioranze centriste.
Quale «destra» democristiana?
Capperucci propone tre ipotesi:
1. La DC tutta come “destra” (visione ideologicamente deformata da parte della sinistra).
2. La DC senza alcuna destra interna (visione riduttiva e centrata sull’equidistanza).
3. Una destra effettivamente esistita, ma complessa e meno facilmente definibile.
Il saggio sceglie la terza via: una destra è esistita, ma in forme ibride, deboli, e spesso subordinate
alla leadership centrista.
Caratteri strutturali della DC rilevanti per identificare una destra interna:
Pluralismo interno: la DC nasce come “federazione di tendenze” con una cultura politica
plurale e ideologicamente flessibile.
Centralità: strategia di mediazione tra destra e sinistra, sia nella società sia nella politica
parlamentare.
Rapporto con il sistema politico: la DC riflette all’interno la struttura tripolare della
Repubblica italiana (sinistra, centro, destra), ma senza mai permettere un'affermazione piena
della propria destra.
Divergenza tra base ed élite: elettorato spesso più moderato o conservatore della classe
dirigente. La DC raccoglie voti anche da aree ex-fasciste o monarchiche, metabolizzandoli
sotto l’ombrello centrista.
Dalla fondazione al centrismo degasperiano (1945-1954)
Contesto:
De Gasperi struttura la DC come partito di centro che si muove verso sinistra.
La maggioranza centrista regge il sistema, ma coesistono:
Sinistre interne (es. Dossetti, sindacalisti);
Componenti embrionali di destra (soprattutto meridionali, orientate al pragmatismo e alla
difesa dell’elettorato moderato)
Destra embrionale. Primi segnali al 1° Congresso nazionale del 1946 (Jacini, Reggio d’Aci,
Geuna): si chiede una DC più rappresentativa delle classi medie e delle aree conservatrici, specie
nel Sud. Dal centrismo al centrosinistra
Andreotti e Scelba:
Andreotti: critico verso il centrosinistra, ma leale alla maggioranza. Contrario al sistema
proporzionale per le cariche interne (divide il partito).
Scelba: fonda la corrente Centrismo Popolare, punta sul centrismo degasperiano,
anticomunismo e difesa dell’identità originaria della DC.
Caratteristiche della destra DC:
Non è ideologicamente netta.
Non si oppone frontalmente al dialogo con il PSI, ma chiede garanzie democratiche e fedeltà al
centrismo.
Molto critica verso le correnti (che spezzano l’unità).
Declino e assorbimento
Unificazione delle correnti.
Anni ‘60: la destra (Andreotti e Scelba) converge nella maggioranza morotea.
Rinuncia a una opposizione interna strutturata.
Rimane come sensibilità politica, non come corrente autonoma.
La "destra" negli anni ’70-’80
Continuità di logiche centriste.
Anche durante il compromesso storico, la DC mantiene un equilibrio interno: la destra non rompe
mai l’unità.
Una destra “mimetizzata”:
Le posizioni più a destra agiscono all’interno della logica della mediazione.
Mai esterne al partito, mai alternative al progetto centrista.
Conclusioni: la destra democristiana è esistita, ma:
1. È stata culturalmente debole.
2. È stata politicamente subordinata al centro.
3. Ha evitato di definirsi in termini classici destra-sinistra.
La DC ha saputo incorporare elementi conservatori, senza mai cedere a spinte radicali.
Movimento sociale italiano MSI:
Le Origini del MSI (1945–1948)
Contesto post-bellico:
Dopo la fine della RSI (Repubblica Sociale Italiana), tra aprile e giugno 1945 si scatenò una
violenta resa dei conti: almeno 20.000 fascisti uccisi, a cui si aggiungono circa 10.000 vittime nelle
foibe e nei campi titini.
Questo trauma è rimasto centrale nella memoria neofascista e ha alimentato un’identità vittimistica.
Nascita del neofascismo:
Ex fascisti internati nei campi di concentramento e prigionieri “non cooperatori” formarono il
nucleo originario del futuro MSI.
Esisteva anche una rete di gruppi clandestini nel sud Italia e nei territori occupati (Roma, Napoli,
Sicilia, Calabria), spesso in contatto con l’Oss americano (James Angleton) per scopi anticomunisti.
Dall’illegalità alla fondazione:
Il neofascismo prende forma in riviste, fogli politici e piccoli movimenti.
Il 26 dicembre 1946 nasce ufficialmente il MSI (Movimento Sociale Italiano) per iniziativa di Pino
Romualdi e altri reduci e simpatizzanti.
Giorgio Almirante emerge come figura organizzativa chiave, ma è Romualdi l’ideologo iniziale.
Il possibile inserimento (1949–1960)
Difficile accettazione democratica:
Alle elezioni del 1948 il MSI ottiene il 2%, eleggendo sei parlamentari (tutti dal sud).
La base è nostalgica, ma la dirigenza è divisa:
Sinistra: socializzazione e superamento del corporativismo.
Destra: evoliana e spiritualista (Rauti, Erra).
Centro: conservatore (Michelini, De Marsanich).
Evoluzione del partito:
Almirante (segretario fino al 1950) viene sostituito da De Marsanich, più favorevole all’atlantismo e
a un dialogo con i monarchici e la DC.
Si tenta il “patto di destra” tra MSI e PNM (monarchici): ottimi risultati nelle amministrative nel
Sud (es. Napoli, Bari).
Legge Scelba e Operazione Sturzo (1952):
Il governo tenta di colpire il MSI con leggi antifasciste.
I missini riescono a sfuggire allo scioglimento e diventano interlocutori semi-legittimati per la
destra DC.
Il partito si struttura: sindacato (CISNAL), movimenti giovanili (Fuan, Giovane Italia), militanza
forte.
Il “caso Trieste”:
Il MSI guida la protesta contro Tito e ottiene un importante capitale politico e popolare.
Cultura e politica dell’inserimento:
Con Michelini segretario (dal 1954), si sviluppa la linea dell’inserimento nel sistema.
Si creano strutture culturali:
Centro di Vita Italiana
INSPE (Istituto Nazionale di Studi Politici e Sociali)
Partecipano intellettuali come Volpe, Asquini, Accame, Cattabiani, con legami al mondo
cattolico e alla destra spiritualista.
Tambroni e la crisi del 1960
Appoggio al governo Tambroni:
Il MSI vota la fiducia al governo DC, ma l’appoggio è controverso.
L’annuncio del congresso a Genova (città medaglia d’oro della Resistenza) scatena scontri violenti e
12 morti.
Il governo cade: fine della stagione dell’inserimento.
Da Michelini ad Almirante (1960–1976)
Marginalizzazione e nuove strategie:
Il MSI viene escluso dal sistema politico.
Michelini prosegue una linea moderata, ma i risultati elettorali sono deludenti.
Almirante guida la corrente di “Rinnovamento”, ma non riesce a scalzare Michelini.
Linee interne:
Cultura spiritualista: legame con il cattolicesimo e critica allo spiritualismo pagano (Evola).
Movimentismo giovanile: scontri violenti, esaltazione dell’identità neofascista.
Alleanze locali contraddittorie: Milazzo in Sicilia con PCI e MSI.
Conclusione: il MSI, tra il 1946 e il 1960:
Costruisce una identità nostalgica e identitaria, ma tenta anche l'inserimento democratico.
Vive una profonda tensione interna tra nostalgici, pragmatisti e intellettuali.
Subisce una esclusione definitiva dopo il 1960, quando l’antifascismo diventa fondamento
costitutivo della legittimità democratica italiana.
Partito liberale italiano:
Obiettivo del saggio: analizzare l’evoluzione del Partito Liberale Italiano (PLI) dalla nascita fino
agli anni ’80, mostrando la sua posizione nel sistema politico italiano e chiarendo perché, pur non
essendo “di destra” in senso ideologico stretto, fu spesso collocato all’interno delle “destre
italiane”, soprattutto per la sua funzione di difesa dell’ordine liberaldemocratico.
Le origini e l’ambiguità con il fascismo (1922–1925)
Il PLI nasce nel 1922, pochi giorni prima della marcia su Roma, ereditando la cultura politica del
notabilato liberale postunitario.
Subito dopo la fondazione, fiancheggia il governo Mussolini, sperando di “costituzionalizzare il
fascismo” e riportarlo nell'alveo dello Statuto.
Dopo l’assassinio Matteotti, il II congresso del 1924 vede un fronte anti-collaborazionista prevalere,
ma il PLI si spacca: alcuni aderiscono in massa al regime.
L'adesione di Croce, Einaudi, Giolitti, Salandra al PLI in questo momento segna una svolta: il
partito si identifica come nemico del fascismo.
Dall’antifascismo alla ricostituzione del partito (1943–1946)
Durante il regime, il PLI non conosce un esilio