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All’origine di questa nuova sensibilità nei confronti del contesto ambientale ci sono cambiamenti
nell’organizzazione economica internazionale, conseguente la conclusione del conflitto mondiale. Il
periodo che segue la fine della Seconda guerra mondiale si caratterizza, infatti, per una significativa e
prolungata crescita economica. Le cause sono numerose: sul lato della domanda si manifesta una
pressione enorme (es. per la ricostruzione infrastrutturale), o anche, con una lettura psicologica, alle
privazioni subite durante la guerra dalla popolazione; sul lato dell’offerta l’accelerazione del
progresso tecnologico è addirittura impressionante e senza precedenti. Ciò dipende dalla
conversione delle tecnologie belliche in applicazioni utili per altri settori e per nuovi prodotti
(dall’elettronica alla chimica), e in seguito anche dagli ingenti investimenti in Ricerca e Sviluppo, che
permetteranno di sostenere l’incremento della produttività in molti settori industriali.
Occorre anche ricordare il ruolo fondamentale svolto dalla liberalizzazione del commercio
internazionale volto a favorire un sistema economico liberale di tipo multilaterale e non
discriminatorio. Nascono in questo periodo istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale, la
Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (in seguito Banca Mondiale), la Comunità
Economica Europea, o vengono stipulati accordi tariffari come il GATT (General Agreement on Tariffs
and Trade – 1946), il Dillon Round (1960) e il Kennedy Round (1964).
In questo scenario va anche ricordato il piano Marshall, che dal 1948 al 1952 mise a disposizione
dell’Europa oltre 13 miliardi di dollari, con l’obiettivo principale di aiutare le economie europee a
sostenere nel tempo le importazioni dagli Stati Uniti.
In un lavoro del 1979 Ansoff, guardando all’accelerazione avviata a partire dal secondo dopoguerra,
individua quattro tendenze significative:
incremento delle novità nei cambiamenti: l’esperienza passata è sempre meno utile per
o comprendere gli avvenimenti e alla novità crescente si abbina una prevedibilità decrescente
dei cambiamenti;
incremento della velocità del cambiamento: per esempio riduzione del tempo che intercorre
o tra un’innovazione tecnologica, la sua commercializzazione e la sua diffusione;
incremento nella complessità, che egli associa al fatto che i motori del cambiamento sono
o sempre più spesso esterni al settore di riferimento dell’impresa (es. shock petroliferi);
incremento dell’intensità strategica in molti settori: aumento delle risorse destinate dai
o competitor per presidiare le relazioni con l’ambiente e conseguente inasprimento della
turbolenza competitiva.
Come diretta conseguenza della progressiva accentuazione dell’intensità competitiva emerge anche
l’esigenza di una sintesi gestionale. Per Andrews (1971) in particolare la strategia diventa il momento
decisionale rivolto a unificare la complessa e frammentata attività di direzione aziendale, in cui le
decisioni vengono assunte sulla base di un’idea complessiva di come l’impresa debba interagire con
l’ambiente competitivo e sociale. In questa prospettiva emerge il CEO (Chief Executive Officer), un
soggetto stratega, il cui compito consiste nell’assicurare la coerenza tra le diverse variabili della
gestione, esterne (ambiente) e interne (struttura).
Si noti che il bisogno di una sintesi gestionale fu avvertita negli Stati Uniti anche all’inizio del XX
secolo, quando si confrontano due modelli universitari: Wharton, fortemente rivolto alla formazione
specialistica, al marketing, alla finanza e alla ragioneria; e Harvard, più propenso a cercare sintesi di
tipo generalista. È in quest’ultimo che si afferma la Business Policy, e cioè un primo tentativo di
realizzare una sintesi delle diverse policies impiegate nel governo di impresa, da collegare anche alla
profonda trasformazione delle imprese, data da fordismo e taylorizzazione.
1.7 – A partire dalla metà degli anni Settanta, superata la fase di avvio (o “fase pre-analitica”), la
strategia aziendale si avvia verso uno sviluppo intenso e continuo, anche se non sempre ordinato.
Già nel 1990, Mintzberg ha potuto classificare i diversi contributi allo studio della strategia aziendale
in ben dieci Scuole, poiché influenzati dalle esperienze accademiche e professionali degli esperti:
- progettuale (Design School – processo di tipo concettuale);
- pianificazione (Planning School – processo di tipo formale);
- posizionamento (Positioning School – processo di tipo analitico);
- imprenditoriale (Entrepreneurial School – processo di tipo visionario);
- cognitiva (Cognitive School – processo di tipo mentale);
- apprendimento (Learning School – processo di tipo emergente);
- politica (Political School – processo di tipo politico);
- culturale (Cultural School – processo di tipo ideologico);
- ambientale (Environmental School – processo di tipo passivo);
- configurativa (Configurational School – processo di tipo episodico).
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Per riuscire a sintetizzare, si possono individuare due grandi ambiti di avanzamento delle conoscenze
in campo strategico aziendale:
1. il primo è caratterizzato da una focalizzazione sul processo di formulazione della strategia,
interpretato anche alla luce di concetti quali l’apprendimento organizzativo, le dinamiche
politiche, la cultura aziendale;
2. il secondo è concentrato sulla formulazione di una teoria economica della strategia aziendale,
che ha nel posizionamento competitivo il suo fulcro.
1.8 - Nella fase pre-analitica le due Scuole di riferimento, Progettazione (Harvard) e Pianificazione
(Ansoff), avevano interpretato in modo diverso il processo di formulazione della strategia, aderendo
però entrambe a una visione molto lineare di tale processo, che si dipana in tre passaggi:
Una prima fase di valutazione dell’ambiente in cui l’impresa opera o intende operare. Da un
o punto di vista più tecnico, questa fase deriva direttamente dal long range planning e dal
budgeting ed evolve progressivamente verso sistemi valutativi diversi, quali per esempio
l’analisi per scenari o il modello del ciclo di vita del prodotto. In ogni caso la valutazione
ambientale è rivolta a decifrare i segnali che possono indicare le possibili evoluzioni del
contesto competitivo e le conseguenze che esse hanno sull’impresa.
Nella seconda fase l’impresa effettua la formulazione della strategia, articolata come si vedrà
o a diversi livelli. Il collegamento con la prima fase, cioè con la valutazione ambientale, è diretto
e immediato, con un procedimento che può definirsi di tipo contingente (contingency theory).
Nella terza e ultima fase segue la conseguente implementazione della strategia, con una
o prospettiva che, almeno concettualmente, richiama il rapporto causa effetto della strategy-
structure chandleriana.
Questa visione del processo strategico è coerente con una prospettiva culturale di tipo intenzionalista
o costruttivista, nella quale l’impresa è uno strumento utilizzato da individui razionali che perseguono
in modo consapevole obiettivi deliberati. L’intenzionalismo di questi approcci riguarda in particolare:
- la separazione netta tra formulazione e implementazione della strategia;
- la fiducia nell’esistenza di un rapporto lineare tra fini e mezzi;
- la fiducia nell’efficacia della pianificazione e del controllo, ai fini della scelta della strategia e
della sua realizzazione;
- la propensione a definire una gerarchia di obiettivi.
Negli studi successivi verranno approfonditi in modo più realistico alcuni aspetti, tant’è che la
sequenza delle tre fasi mantiene la sua validità di base, ma deve essere collocata nello specifico
contesto, che può variare a seconda dei casi. Infatti, vi possono essere modi diversi di affrontare il
processo di formulazione della strategia, che Hart suddivide in:
militare: la strategia viene elaborata da un leader o comunque da un ristretto gruppo
▪ direzionale e l’organizzazione esegue;
culturale: diventa fondamentale la presenza di una missione e di una visione del futuro
▪ condivise da tutti i membri dell’organizzazione, i quali partecipano motivati a un progetto;
razionale: prevale la competenza tecnico professionale di uno staff appositamente dedicato
▪ allo sviluppo della strategia, legittimato dalla autorità professionale riconosciutagli;
transattivo: il processo di formulazione della strategia si basa fondamentalmente
▪ sull’apprendimento continuativo, con apertura ai fenomeni emergenti;
generativo: il processo strategico dipende in larga misura dall’iniziativa anche autonoma di
▪ singoli attori organizzativi, in un ambiente che favorisce la sperimentazione strategica e la
propensione al rischio.
Ne derivano modelli interpretativi del fenomeno strategico di impresa che in chiave processuale sono
effettivamente diversi da quelli classici e che introducono nell’analisi alcune variabili, quali:
- la rilevanza della visione strategia (vision);
- la rilevanza dei processi di apprendimento;
- la rilevanza dei fenomeni emergenti, non preventivamente deliberati, nella configurazione
dell’effettiva strategia aziendale;
- la rilevanza, ai fine delle decisioni strategiche, delle relazioni di potere tra i diversi membri
dell’organizzazione aziendale.
In questo modo viene attenuata la vocazione determinista che aveva caratterizzato la prima fase,
conducendola verso approcci più realistici. Va a tal fine ricordato che in molti degli studiosi che
diedero un contributo in questa direzione hanno un peso rilevante matrici culturali anche estranee
all’economia e al management, quali:
• i modelli cognitivi e quelli basati sull’apprendimento che, utilizzando ancora la classificazione
proposta da Mintzberg, attingono in modo evidente alla psicologia;
• i contributi della Scuola politica, da cui emerge la rilevanza del potere nei processi decisionali
in organizzazione, che sono per ovvi motivi vicini alle scienze politiche;
• i modelli culturali, tra cui viene incluso anche quello di Normann, che mostrano collegamenti
profondi con l’antropologia;
• i modelli ambientali tra cui, per esempio, lo studio sulle popolazioni organizzative di Hannan e
Freeman, che mutuano linguaggi e concetti dalla biologia.
Oggi questa evoluzione è ancora in corso e negli ultimi anni è stata rivitalizzata dal filone di studio
noto come behavioral strategy (strategia comportamentale), che è rivolto a superare almeno in parte
il background microeconomico della strategia aziendale (si veda il prossimo paragrafo) per sostituirlo
con ipotesi teoriche giudicate più realistiche, re