PROTEZIONISMO
Il vertiginoso calo dei prezzi che caratterizzò il periodo 1873-96 colse impreparate le
classi dirigenti, che non riuscirono a comprenderne le cause e che di conseguenza
adottarono politiche di austerità. Gli industriali attribuirono la colpa ai trattati di
commercio liberoscambisti. Il ceto agrario individuò le cause nella caduta dei noli per i
prodotti agricoli di provenienza americana e russa. In realtà, come abbiamo visto, le
cause furono più complesse.
CAUSE E CONSEGUENZE I dubbi di industriali e agrari erano certamente motivati,
ma la Grande Depressione fu un fenomeno complesso che può essere letto soltanto
attraverso il distacco storico. Gli storici, infatti, sostengono che sia stata causata
dall’esaurimento di grandi cicli di investimento, dalla saturazione geo-settoriale delle
innovazioni della rivoluzione industriale; dai mercati concorrenziali e della riduzione
della produzione aurifera. Ora dobbiamo analizzare le conseguenze distinguendo tra
quelle contingenti (ritorno al protezionismo e emigrazione) e quelle che hanno avuto
maggiore portata storica (ridefinizione degli equilibri economici mondiali).
Uno schema Partiamo dalle conseguenze contingenti vedendo uno schema
riassuntivo. Come far fronte alla discesa dei prezzi? 1) generale ritorno al
protezionismo (eccetto: Gran Bretagna, Paesi Bassi e Usa); 2) colonialismo per
assorbire la sovrapproduzione → corsa all'Africa 3) emigrazione Approfondiremo
protezionismo ed emigrazione e rinvieremo la trattazione sulla corsa all’Africa alle
prossime lezioni (sull’Imperialismo). Si tenga presente che la fine della Grande
Depressione coincide con la scoperta di nuove miniere d'oro nel Transvaal (1886), in
Alaska e nel Colorado (1892), in Canada e Australia occidentale.
Il protezionismo Come abbiamo detto, sia industriali che il ceto degli agrari
accusavano il liberismo della Grande Depressione. Dietro queste pressioni furono
diversi i paesi che reagirono immediatamente adottando tariffe doganali più aspre:
Russia, Austria e Spagna avevano varato tariffe protezionistiche nel 1877, l’Italia nel
1878, ma si trattava di paesi di importanza secondaria in materia di scambi
internazionali. Solo quando la Germania tornò ad applicare una politica di alti dazi
doganali, nel 1879, fu evidente che era finito il periodo del libero scambio
La Germania La grande proprietà agricola dell’Est (junker) diventa protezionista, per
riservarsi il mercato interno tedesco in crescita, saldandosi al protezionismo degli
industriali. Gli industriali si ritenevano danneggiati soprattutto dalla politica di
dumping (vendita a prezzi inferiori rispetto ai mercati interni) che i paesi stranieri
praticavano in Germania per porre rimedio alla sovrapproduzione. Il protezionismo,
allora, rientrò a pieno titolo nella Realpolitik di Bismarck, anche se, è bene
sottolineare, il liberismo non era mai stato accettato di buon grado.
Francia In Francia risorgono i mai sopiti umori protezionisti degli industriali, con un
moderato innalzamento dei dazi nel 1881 (ma non per i prodotti agricoli). I trattati del
1882 confermano, però, il libero scambio. Le pressioni rurali della piccola proprietà
contadina si saldano agli interessi industriali, fin quando, nel 1892, non viene varata la
Tariffa Méline, fortemente protezionista.
I protezionisti della prim’ora Sebbene vi sia stato un graduale ritorno al
protezionismo, il quadro dell’economia mondiale non può non tener conto di quei paesi
che liberisti non erano mai stati. Si tratta di Austria-Ungheria, Russia e Stati Uniti, che
non solo non erano mai stati liberoscambisti, ma che durante la Grande Depressione
rafforzarono il protezionismo. Gli Stati Uniti, si ricorderà, ebbe livelli di protezione
variabili fino al 1860 (nel tempo e tra i prodotti). Con la sconfitta del Sud esportatore,
nel 1865, si ebbe una svolta durevole verso un fortissimo protezionismo e dunque
durante la Grande Depressione non cambiò nulla.
I liberisti in controtendenza La Gran Bretagna si rifiutò di applicare politiche
protezionistiche e mantenne politiche liberiste fino al 1932. Nel 1887 nacque l’obbligo
di etichettare i prodotti con la dicitura «made in…», come misura protezionistica
«emotiva» (nazionalismo) in funzione antitedesca, ma sembra abbia avuto l’effetto
contrario, come marchio di qualità. Restano anche liberoscambisti: 1) l’Olanda, perché
troppo dipendente da import di materie prime; 2) Il Belgio, che non voleva sacrificare
le esportazioni di manufatti 3) La Danimarca, che esportava prodotti agricoli.
LEZIONE 39 – LE ALTRE CONSEGUENZE DELLA DEPRESSIONE
Crisi agraria e crescita demografica Tra le conseguenze della Grande Depressione
si annovera l’emigrazione. Tuttavia questo fu un fenomeno complesso, solo in parte
riconducibile al calo dei prezzi. Bisogna innanzitutto considerare la forte crescita
demografica che si era registrata nel corso del XIX secolo.
Pressione demografica e agricoltura La crescita della popolazione aveva
interessato soprattutto le campagne. A partire dagli ultimi decenni dell’800, la
produzione agricola europea era stata chiamata a sostenere l’urto dell'invasione dei
prodotti stranieri: specie il settore della produzione cerealicola, penalizzato
dall’impiego di tecnologie primitive, non riuscì a reggere la concorrenza del grano
ucraino e statunitense e del riso cinese. L’abbassamento dei prezzi dei cereali mise
alla fame i contadini, la cui economia tradizionalmente è basata su tali colture; né il
regime della mezzadria dispose di risorse economiche sufficienti per consentire la
meccanizzazione dei sistemi produttivi.
L’alternativa dell’emigrazione Dunque si venne a creare una situazione molto
delicata: le campagne erano sovraffollate e la produzione cerealicola subiva il ribasso
dei prezzi per la concorrenza internazionale. La conseguenza fu una forte pressione
sociale proveniente proprio dai ceti agrari. In sé, la crisi agraria fu una crisi
congiunturale e per uscirne sarebbe bastato migliorare i rendimenti (per esempio
attraverso la meccanizzazione), cambiare tipo di colture praticate, magari scegliendo
quelle in cui si aveva un vantaggio in termini di competizione … … oppure emigrare
L’emigrazione fu resa possibile dalla rivoluzione dei trasporti: grazie alla marina a
vapore era possibile effettuare un viaggio verso gli Stati Uniti in tempi ragionevoli e a
prezzi modici, accessibili a tutti.
L’ondata migratoria Quello che colpì maggiormente fu l’aumento dell’emigrazione,
che troppo semplicisticamente è stata interpretata come una fuga dalla povertà.
Ricerche recenti, invece, hanno messo in evidenza come l’emigrazione europea fosse
il risultato di diverse concause: 1) La ricerca di una migliore condizione di vita,
2) Motivi religiosi; 3) Povertà. Senza entrare nel merito dei singoli aspetti, si vuole
sottolineare che l’emigrazione rispondeva soprattutto alla ricerca di una migliore
condizione di vita.
Le mete dell’emigrazione I contadini europei scelsero come meta privilegiata gli
Stati Uniti d’America, terra notoriamente associata ad una forte crescita economica e
a condizioni di vita migliori rispetto all’Europa. Gli emigranti, in molte altre circostanze,
andavano alla ricerca di oro nelle miniere che furono trovate anche in Africa. Inoltre,
bisogna considerare che la maggior parte degli emigranti, dopo qualche anno
ritornava in patria e nel frattempo inviavano i soldi ai parenti (rimesse).
Non tutti i mali vengono per nuocere: Sebbene l’emigrazione sia stata indicata
come una conseguenza della povertà, gli effetti provocati da questo massiccio esodo
transoceanico furono per molti aspetti positivi: 1) La popolazione USA aumentò per via
degli immigrati e l’economia continuò a crescere fino al 1930; 2) L’agricoltura europea
si rinnovò, sia grazie alla meccanizzazione sia grazie alla specializzazione colturale. 3)
L’emigrazione ebbe benefici anche dal punto di vista finanziario: in Europa, grazie
anche alle rimesse degli emigranti, presero a circolare capitali e non più
prevalentemente merci; 4) Le famiglie degli emigranti migliorarono il loro tenore di
vita.
Conseguenze di portata storica La Grande depressione, abbiamo detto,
rappresenta la fase di esaurimento della rivoluzione industriale e della rivoluzione dei
trasporti, legata alla costruzione delle ferrovie. Negli anni della Grande depressione si
verificò anche una profonda trasformazione del sistema capitalistico, con
l'ascesa del capitale finanziario e la concentrazione oligopolistica, da un lato, e la
riorganizzazione dei processi produttivi dall'altro, in relazione all'utilizzo delle nuove
fonti di energia e allo sfruttamento di rendimenti di scala fortemente crescenti. Inoltre
l'asse dell'egemonia economica mondiale cominciò a spostarsi dalla Gran
Bretagna agli Stati uniti e alla Germania.
La Gran Bretagna perde il primato relativo Con la Grande Depressione, dunque,
iniziano a cambiare le condizioni di forza economica a livello mondiale. La Gran
Bretagna, che era stata la potenza egemone nell’Ottocento, che aveva avviato la
rivoluzione industriale, perde durante la Grande depressione il primato relativo. Ciò
non significa che diventa potenza di second’ordine. Il primato in termini assoluti è
ancora suo, ma il suo ritmo di crescita industriale inizia a rallentare, soprattutto
rispetto alla Germania e agli Stati Uniti.
Le trasformazioni dell’economia inglese I motivi possono essere ricondotti a: 1)
Decadenza del settore agricolo, incapace di reggere la concorrenza d’oltremare di
cereali a basso costo; 2) Dal punto di vista industriale l’Inghilterra era rimasta legata
ai settori tradizionali e la borghesia industriale stentava ad adeguarsi alle nuove
tecnologie: preferiva investire all’estero i capitali in eccesso piuttosto che rinnovare gli
impianti; 3) Corollario di questo secondo punto è che se è vero che la Gran Bretagna
stesse perdendo quota a livello industriale, si rafforzava il suo primato commerciale e
soprattutto finanziario (lo vedremo a proposito della Belle Epoque).
La crisi della Francia La potenza europea sicuramente più colpita dalla Grande
depressione – ma non solo – fu la Francia. A seguito della sconfitta di Sedan (1870) la
Francia aveva perso l'Alsazia (industrie tessili) e la Lorena (miniere), punti di forza
dell’economia nazionale. Di conseguenza a livello industriale la Francia accumula un
notevole ritardo rispetto al resto d’Europa. Per far fronte al disagio degli industriali fu
varato il piano Freycinet, che si basò sull’acquisto delle ferrovie e sul protezionismo.
La crisi relativa della Germania Cos&igrav
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