Anteprima
Vedrai una selezione di 6 pagine su 21
Riassunto esame Storia e tecnica della fotografia, Prof. Manodori Sagredo Alberto, libro consigliato Fotografia. Storie, generi, iconografie, Manodori Sagredo Alberto Pag. 1 Riassunto esame Storia e tecnica della fotografia, Prof. Manodori Sagredo Alberto, libro consigliato Fotografia. Storie, generi, iconografie, Manodori Sagredo Alberto Pag. 2
Anteprima di 6 pagg. su 21.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame Storia e tecnica della fotografia, Prof. Manodori Sagredo Alberto, libro consigliato Fotografia. Storie, generi, iconografie, Manodori Sagredo Alberto Pag. 6
Anteprima di 6 pagg. su 21.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame Storia e tecnica della fotografia, Prof. Manodori Sagredo Alberto, libro consigliato Fotografia. Storie, generi, iconografie, Manodori Sagredo Alberto Pag. 11
Anteprima di 6 pagg. su 21.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame Storia e tecnica della fotografia, Prof. Manodori Sagredo Alberto, libro consigliato Fotografia. Storie, generi, iconografie, Manodori Sagredo Alberto Pag. 16
Anteprima di 6 pagg. su 21.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame Storia e tecnica della fotografia, Prof. Manodori Sagredo Alberto, libro consigliato Fotografia. Storie, generi, iconografie, Manodori Sagredo Alberto Pag. 21
1 su 21
D/illustrazione/soddisfatti o rimborsati
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

Tecniche di stampa fotografica

1. Albumina: Louis Blanquart-Evrard nel 1851 sviluppò ipositivi su carta preparati all'albume partendo dai negativi su vetro all'albume. La carta veniva rivestita di uno strato di albumina sciolto in cloruro di sodio o ammonio e unito a bromuro di potassio e acido acetico, poi immersa in nitrato d'argento e una volta asciugata, sciacquata in una soluzione d'acqua virata con nitrato d'oro e infine fissata ottenendo un'immagine dai toni caldi. Nel 1855 si passò alle superfici lucide ottenute ponendo la carta tra lastra di metallo e cilindro metallico. Questa tecnica restò invariata fino al 1920, con il maggior centro di produzione a Dresda.

2. Ambrotipo: Nel 1851, lastra trattata al collodio che, dopo essere stata esposta alla luce, dava un negativo che veniva sbiancato con acido nitrico. In questo modo lo ioduro d'argento si sbiancava e l'immagine, posta su uno sfondo scuro, appariva positiva. Anche l'ambrotipo, come il dagherrotipo e il ferrotipo,...

si presentava come unico positivo, quindi non poteva fornire copie. L'ambrotipo, il cui supporto era una lastrina di vetro, appariva molto simile al dagherrotipo, senza però il tipico riflesso dell'argento lucido e quindi senza che, per osservarlo, si dovesse orientarlo alla migliore incidenza dei raggi luminosi. Urie inventa ambrotipo a rilievo, vernice nera sullo sfondo e una volta eseguita la ripresa fotografica, ne raschiava la parte non contenente la figura ponendo un cartoncino bianco dietro al vetro. L'immagine ambrotipica dava l'impressione all'osservatore di emergere dallo sfondo: usato esclusivamente per il ritratto e preferito dalla media e piccola borghesia. 3. CARTA CERATA: Gustave Le Gray migliorò il calotipo con l'applicazione della cera dando vita alla tecnica incerata. Il foglio di carta, destinato ad essere il negativo, era trattato con cera per renderlo più trasparente e colmare i pori della carta. Blanquart-Evrard nel

’52 pubblica la tecnica della carta cerata con 122positivi eseguiti da Du Camp.

4. CARTA SALATA (POSITIVO SU): Sir William Talbot nel1840 mette a punto questo procedimento: consistette nel porre 13cloruro d’argento su fogli di carta da lettera che aveva rivestiti dicloruro di sodio, una volta esposte al sole, ottenne i primi negativisu carta.

Nel 1835 Talbot stampa su carta salata preparata a contatto, copiepositive derivate dai negativi su carta salata. La carta salata eraposta in un telaio a contatto con il negativo attraverso unvetro e quindi esposta alla luce ottenendo positivo tendenteall’opacità.

Nel 1840 Talbot riuscì a ridurre i tempi d’esposizione passando da1 ora a 3 minuti e d a questi a pochi secondi, risensibilizzandole carte con il gallonitrato d’argento diluito in acquadistillata: nasceva allora la Calotipia.

Le carte salate si dividono in:

  • carte salate semplici
  • carte salate collade all’amido
  • carte salate alla gelatina

immagine toni rossi

Nel 1841 Talbot diede il nome di ‘’calotipia’’ al proprio metodo e ne deposita il brevetto.

Caratteristiche del calotipo su carta salata sono:

  • foglio di carta sottile, successivamente sarà più spesso
  • immagine opaca e giallo-bruna o rosso-bruna se fissata con cloruro d’oro

Nel 1843 Talbot ideò il primo libro illustrato da calotipi positivi, The pencil of Nature.

5. CALLOTIPIA: A. Poitevin 1850. Su una lastra di cristallo sistendeva uno strato principalmente di silicato di sodio, che avrebbe facilitato l’adesione della gelatina bicromata destinata a riprodurre l’immagine. Grazie al calore l’immagine appariva su questo strato di gelatina essiccato.

6. COLLODIO SECCO: A sperimentarlo fu Norri, poi successivamente Taupenot otteneva una formula rapida e il suo procedimento fu detto Collodio Albuminato, poiché l’albumina veniva aggiunta al collodio e allo ioduro di potassio. Bellini a Londra preparava

un’emulsione aggiungendovi gomma lacca. Ifratelli Langenheim e Ferre utilizzarono questa tenica persviluppare e fissare lo stesso negativo in modo da ottenereun’immagine positiva trasparente 147.

COLLODIO UMIDO: Nel 1848 fu introdotta da Claude FelixAbel Niépce de Saint Victor: il vetro costituiva un supportoall’emulsione solubile molto più economico della lastrina di rame.Per fissare la soluzione fotosensibile al vetro si ricorse all’uso dialbumina liquida. La soluzione fotosensibile veniva posta sullalastra di vetro, rivestita di albumina e sensibilizzata conl’aceto nitrato d’argento e successivamente bromo acetatod’argento. Questa soluzione veniva fatta asciugare e richiedevatempi superiori alla calotipia ma restituiva immagini di assolutachiarezza. I positivi una volta stampati apparivano di elevataqualità seppure potevano ritratte soggetti assolutamente immobili.Fu Archer a sperimentare in fotografia nel 1848

L'uso del collodioumido, ottenuto da Schonbein al posto dell'albumina, quale strato permetteva alla soluzione fotosensibile di aderire al supporto primario. All'inizio era la carta, e poi usando il vetro come lastra, sposta alla luce prima che il collodio asciugasse, risultava molto più sensibile alla luce e si ottenevano tempi d'esposizione di frazioni di secondo. Il collodio deriva dal cosiddetto cotone fulminante (pirossilina): il collodio così ottenuto si plasmava sulla lastra di vetro già ricoperta da uno strato di ioduro di potassio, cui più tardi si aggiunse il bromuro di potassio. Prima che il collodio si asciugasse si univa il nitrato d'argento. Lo sviluppo dell'immagine negativa avveniva in acido pirogallico e il fissaggio nell'iposolfito di Herschel. Talbot rivendicò la paternità del procedimento, perché lo riteneva conseguenza diretta della sua Calotipia, in quanto basato su due fasi.

negativo-positivo: inoltre riteneva che l'acidopirogallico si potesse assimilare all'acido gallico e al nitratod'argento da lui adoperati.

Archer rese pubblica la tecnica del collodio umido su vetro nel 1851, tecnica che rimase in uso fino al 1880. La tecnica del collodio presentò da subito due importanti caratteristiche che riassumevano quanto fino ad allora era stato il pregio del dagherrotipo e della calotipia: del dagherrotipo manteneva la nitidezza e la precisione della linearità dell'immagine, mentre della calotipia aveva la possibilità di essere matrice di infinite repliche, cioè di essere negativo pronto a dar luogo a uno o più positivi/copie.

La preparazione della tecnica a collodio, pur con la necessità di fissare subito l'immagine impressionata e sviluppata, favorì il moltiplicarsi degli studi fotografici e delle riprese paesaggistiche contribuendo alla diffusione delle immagini.

Apriranno così i primi studi fotografici in Italia, come quelli Altobelli, Anderson (Roma), Luigi Sacchi (Milano), Naya, Ponti (Venezia).

In Italia nel 1864 viene pubblicata la rivista L'Italia contemporanea fondata da Bernoud e la tecnica del collodio primeggiò nella ritrattistica, nella fotografia di cronaca e nel ritratto (carte da visite) e nella riproduzione fotografica delle opere d'arte.

La celebrazione del Risorgimento impegnò i fotografi fedeli alla tecnica del collodio: a Roma Tuminello e Altobelli fisseranno i luoghi della presa di Roma nel 1870.

Anche l'inquadratura della fotografia al collodio si rifà alla prospettiva brunelleschiana con un'apertura di campo di 60°, una ripresa frontale, il posizionamento dell'apparecchio fotografico a circa la metà dell'altezza dell'oggetto.

Altro tema che si sviluppò con il collodio fu quello dei costumi popolari regionali e locali, ad esempio Bernoud o Perini.

DAGHERROTIPO: Era il 7 gennaio 1839 quando Arago comunica all'Accademia francese delle scienze la scoperta fatta gli esperimenti realizzati da Daguerre.

Nel 1830 Daguerre si mise in società con Niépce il quale aveva condotto studi sulle reazioni alla luce dello ioduro d'argento.

Nel 1835 Daguerre accertò che i vapori di mercurio erano capaci di sviluppare l'immagine latente di una lastra di rame rivestita di ioduro d'argento, precedentemente esposta alla luce.

Poi lavorò al fissaggio dell'immagine sviluppata e ottenne i primi risultati di fissaggio utilizzando una soluzione di sale comune sciolto in acqua calda, in cui immergeva la lastra sviluppata.

Nel 1839 pubblicò il suo manuale per la realizzazione di quell'immagine fotografica che da lui prese il nome di dagherrotipo.

Il dagherrotipo consiste in una lastra di rame, argentata su un solo lato e lucidata con un ovatta impregnata di pomice e sciacquata in acido citrico.

Lastra poi introdotta in una cassetta, sottoposta a vapori di iodio che dovevano andare a disporsi sulla superficie argentata della lastra, sensibilizzandola. A questo punto la lastra, per esposizione alla luce, era introdotta nell'apparecchio fotografico ed esposta alla luce che entrava attraverso l'obiettivo, nella doppia scatola, che allora costituiva il corpo della macchina fotografica.

Charles e Vincent Chevalier di Parigi furono gli ottici costruttori delle prime macchine fotografiche per Daguerre ma poi lo laconcesse a Giroux.

Nel 1939 il barone Seguier presentò un apparecchio per dagherrotipi a soffietto: la scatola interna poteva scorrere nella esterna per favorire la messa a punto della focale.

L'esposizione si otteneva togliendo e rimettendo al suo posto il tappo di protezione dell'obiettivo. Una volta che l'immagine aveva impressionato la lastra, questa veniva posta in una appunto il mercurio così evaporava e reagiva con lo ioduro d'argento.

Nellesole parti che avevano reagito alla luce, dando così l'immagine latente. E poi la lastra veniva posta in un bagno di una soluzione calda di iposolfito di sodio scoperto da Herschel.

Il dagherrotipo presentava un'immagine monocromatica tendente al bianco/nero grigio/argento e poteva essere eventualmente tinteggiata a mano.

Nel 1840 Fizeau introdusse il viraggio, utilizzando una soluzione di cloruro d'oro che disponeva sul dagherrotipo durante o dopo il fissaggio. Durante lo sviluppo appariva una successione di colorazioni: giallo oro rosa rosso porpora verde. Il dagherrotipo costituiva immediatamente al termine del processo di esposizione, sviluppo e fissaggio, un'immagine positiva e perciò unica.

Si genera un effetto specchio, ho bevuto il gioco delle ombre

Dettagli
Publisher
A.A. 2020-2021
21 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/06 Cinema, fotografia e televisione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher LudovicaIorio di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia e tecnica della fotografia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma Tor Vergata o del prof Manodori Sagredo Alberto.