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GLI ANNI DELL’OSMOSI

Per quanto riguarda l’alta magistratura, Pietro Saraceno (uno storico che ha lavorato sul tema), ha studiato

la biografia di diversi presidenti di tribunale e procuratori del Re, a capo dei 142 tribunali sparsi lungo il

territorio nazionale, ed è emersa una provenienza socio-economica omogenea, cioè l’appartenenza

comune degli alti magistrati a famiglie di piccola nobiltà o di una borghesia più o meno ricca di denaro e di

prestigio. L’estrazione sociale omogenea, conferma un dato molto importante: le élites italiane, anche se

divise dalla storica particolare delle rispettive regioni preunitarie, si riunificarono però nel periodo post

unitario nella comune adesione a un unico modello di civilizzazione alto e medio-borghese. La formazione

dei magistrati una volta conseguita la laurea in giurisprudenza, avveniva sostanzialmente “sul campo”, nelle

sedi cui erano progressivamente destinati. Nell’Elite analizzata da Pietro saraceno risultavano frequenti le

relazioni di parentela: il familismo italiano, cioè la solidarietà all’interno della cerchia parentale, agiva per

la sua parte; ma più in generale l’identità dei cognomi derivava dalla stessa ristrettezza stessa dell’élite.

Si può concludere quindi che sino a tutto l’ottocento, la percezione dello status del magistrato era nell’Italia

dell’ottocento piuttosto alta. Saraceno ha mostrato come vigesse per tutto questo primo periodo della

storia dell’Italia una profonda osmosi fra gli alti magistrati e il ceto politico.

Mentre nell’ottocento prevaleva largamente l’origine aristocratica, con gli inizi del secolo si sarebbe

manifestata una crescente presenza di giovani diplomatici provenienti dall’alta e persino media borghesia.

La diplomazia italiana tendeva a mantenere una forte coesione di corpo, a resistere cioè ai mutamenti di

governo. Le forme di selezione dell’élite furono, nel campo diplomatico, quelle del concorso pubblico,

bandito regolarmente dalla fine degli anni 60 per le tre carriere. Detto ciò non c’è dubbio che, prima ancora

delle prove di concorso, contasse per i diplomatici una selezione naturale connessa ad un complesso di

fattori, alcuni oggettivi ma altri imponderabili: la nascita, l’educazione, la capacità di stare in società, il buon

possesso di almeno tre lingue straniere, i legami familiari e il requisito di una certa solidità patrimoniale

propria e della famiglia di origine. L’élite era in questo caso prima élite sociale e poi in conseguenza anche

élite amministrativa.

I prefetti del Regno rappresentarono un’altra Elite amministrativa di grande rilievo per tutto il corso

dell’ottocento. Essi appartennero a quella prima generazione che viene definita “i grandi prefetti

dell’unificazione”, avendo un ruolo decisivo nell’assicurare l’adesione delle nuove province appena liberate

al nuovo regime unitario. I prefetti italiani furono intelligenti e tutti i mediatori fra centro e periferia.

Stipendiati con ottima retribuzione, tali da porli al vertice della scala economica dell’amministrazione, i

prefetti derivavano la loro nomina dalla fiducia del governo, che poteva non solo sceglierli al di fuori

dell’amministrazione ma licenziarli o trasferirli a suo piacimento.

Ai prefetti dell’età postunitaria possono essere accostati infine i grandi direttori generali dei ministeri, che

furono prevalentemente settentrionali e il loro livello delle retribuzioni restò per tutto il 1800 elevato. Il

loro tenore di vita fu in generale piuttosto elevato. In un sistema di vertice tanto ristretto il direttore

generale giocò anch’egli più ruoli in commedia: fu spesso oltre che direttore generale prefetto, oppure

capo di gabinetto del ministro, o ancora alla fine della sua parabola amministrativa consigliere di Stato e

senatore del Regno.

3.L’ETÀ GIOLITTIANA: le elites si imborghesiscono 1900-1915:

Sono 2 gli elementi caratterizzanti dell’ETÀ GIOLITTIANA:

- decollo industriale;

- decollo amministrativo; (crescita esponenziale del sistema amm nazionale)

La PA crebbe innanzitutto per il numero di dipendenti e per articolazione ed ampiezza di funzioni (passando

da stato minimo a stato partecipe). In quasi tutte le amministrazioni vennero ridotte le distanze tra

stipendi, come conseguenza dalla presenza del primo sindacalismo degli impiegati pubblici. Ma tale

fenomeno ebbe anche altre spiegazioni, in particolar modo bisogna fare riferimento al rapporto tra decollo

amministrativo ed industriale. La prima rivoluzione venne affrontata dall’Italia in condizioni di estrema

precarietà, concentrando gli scarsi capitali esistenti in una sola circoscritta regione geografica: il Nord, o

meglio il triangolo composto da Torino-Milano-Genova.

L’amministrazione, che fino a quel momento godeva di un ruolo d’avanguardia, fu “retrocessa” a funzioni di

retroguardia, divenendo erogatrice di reddito verso i ceti intellettuali più decentrati che rimanevano esclusi

dalla nuova area geografica dello sviluppo economico-industriale. In generale, ne derivò ovunque una

riduzione di peso e prestigio delle elites amministrative. Del resto, la prima industrializzazione modificava

con rapidità il quadro generale delle classi ed i loro reciproci rapporti, affiancando una giovane borghesia

imprenditoriale ed un nuovo ceto di banchieri e finanzieri, anche nel campo delle professioni.

Nel 1916 il Consiglio di Stato conobbe nel primo quindicennio del secolo uno dei suoi periodi più brillanti.

L’età giolittiana segnò una nuova fase dinamica per l’ALTA MAGISTRATURA:

• La carriera dei magistrati rappresenta una carriera a sé; • Scambi con la politica meno frequenti;

• Accesso tramite concorso; • Crescita delle garanzie dei giudici; • Aumento delle condizioni economiche e

riduzione del divario tra alta e bassa magistratura.

4.LE ELITES DELLA GUERRA E PRIMO FASCISMO La prima Guerra mondiale segnò nella vicenda delle elites

amministrative italiane una prima censura. Anche in Italia, come in altri paesi, la PA subì per effetto della

guerra trasformazioni radicali: la lineare struttura dei ministeri si frammentò e si articolò attorno alle

funzioni militari o di sostegno alla macchina militare, con la conseguenza di:

• creazione di nuovi ministeri;

• avvento di una prima rete di amministrazioni locali speciali, sorte ad hoc per svolgere compiti legati alla

guerra. Alla guida di queste si insediò una elitè amministrativa parzialmente diversa dalle precedenti,

composta da uomini dell’antico personale ministeriale più tecnici del mondo dell’industria e del commercio

privato, di militari, di esponenti di classe politica e soprattutto industriali impegnati con loro industrie nella

mobilitazione bellica.

Negli apparati economico-amministrativi dell’amministrazione di guerra crebbe la cd seconda borghesia. La

natura stessa delle attività legate alla mobilitazione impose la ricerca di uomini lontani dalla mentalità

burocratica e capaci di trasfondere nelle strutture dello stato i principi pragmatici dell’organizzazione

industriale capitalistica; si parla di tecnocrazia mista (civile+militare) collegata agli interessi della grande

industria mobilitata ed incline a praticare una diversa forma di attività amministrativa ispirata agli standard

di risultato e dell’efficienza.

La nuova elites fu sconfitta dall’intervento del fascismo che nel 1922 andò al potere con un programma

economico basato sul ridimensionamento dello stato e sulla liquidazione delle “bardature di guerra”.

L’avvento stesso del fascismo rappresentò un tentativo di modificare strutturalmente la composizione

della classe dirigente con la relativa emarginazione di ceti dirigenti tradizionali. Sin dal 1922, il nuovo

governo fascista stipulò un patto con le elites burocratiche tradizionali. Nel Ministero dell’interno e di

quello delle finanze fu praticata una politica di integrazione delle elites, culminante col riconoscimento del

prefetto come più alta autorità della provincia e nei provvedimenti in favore della ragioneria generale dello

stato del 1923. Contemporaneamente venne inaugurata la “semplificazione amministrativa” che, in nome

delle riduzioni di bilancio, mirò a bloccare gli accessi al nuovo personale, con conseguente risultato che gli

organici dei ministeri rimasero a lungo quelli ereditati dalla precedente gestione liberale, senza possibilità

che vi potessero entrare le nuove leve dei giovani maturati a cavallo della guerra.

L’effetto complessivo di queste scelte fu una rapida restaurazione delle elites burocratiche tradizionali.

Una forte ideologia gerarchica, tipica del fascismo che auspicava il ritorno all’ordine, permeò tutto il corpo

sociale ed ispirò, ad esempio, la riforma dell’amministrazione del 1923, attraverso:

• Introduzione nella burocrazia i gradi e la divisa (come nell’esercito);

• Fissazione di codici disciplinari interni più rigorosi;

• Sottoposizione integrale del pubblico impiegato alla giustizia speciale amministrata dal Consiglio di Stato.

5.ELITÈ DEL TARDO FASCISMO

Gli ANNI ’30: segnati anche in Italia dalle politiche pubbliche in risposta alla crisi capitalistica mondiale,

costituirono per le elites amministrative uno sviluppo diverso, attraverso:

• Intreccio consolidato tra elites amministrative tradizionali e nuove elites del regime;

• crescita dal ruolo del Partito nazionale fascista negli apparati pubblici e qualificazione dello stesso come

istituto costituzionale.

Accanto ai ministeri figurava ormai una vasta serie di altre istituzioni a carattere politico, economico,

sindacale e corporativo. Molti dei nuovi soggetti entrati in scena subivano direttamente un’influenza del

Partito che interveniva nominando parte dei gruppi dirigenti o esercitando varie forme di indirizzo e

controllo politico. Molto frequente era la presenza degli stessi dirigenti in più settori e cariche finalizzata ad

una coesione interna tra rappresentanti di diverse elites e ugualmente frequente era la nomina del sentore

del regno che, già dalla prassi liberale, “sigillava” una carriera compiuta nel servizio di stato ed una serie di

responsabilità nell’ambito di nuovi enti pubblici o una milizia fedele nei ranghi del partito.

Gli enti pubblici rappresentarono il terreno di espansione di questa nuova elite. Perciò, una nuova

burocrazia (nota come burocrazia degli enti e corporativa) crebbe rapidamente e senza controlli,

sfuggendo ai tentativi di sottoporre a tutela la spesa dei nuovi organismi.

CAPITOLO 6: Lo Stato in un cono d’ombra? Le istituzioni nei

150 anni

LA STORIA CONTESTATA: LUCI ED O

Dettagli
A.A. 2023-2024
13 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/03 Storia delle istituzioni politiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher federicapetrusa di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia delle pubblica amministrazione e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Padova o del prof Agostini Filiberto.