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LE DONNE NELLE GUERRE MONDIALI
Tra neutralismo e interventismo
Quando la guerra esplose, nel luglio 1914, le italiane rimasero al riparo dalle vicende belliche, ma furono costrette a confrontarsi con l'ipotesi di un possibile ingresso del paese nel conflitto.
L'immagine di una netta separazione fra due schieramenti compatti, da un lato le interventiste e dall'altro le neutraliste, sarebbe tuttavia fuorviante. Coloro che presero una posizione a favore o contro l'ingresso dell'Italia in guerra lo fecero a partire da posizioni diverse. Pesarono le affiliazioni politiche, le appartenenze culturali e i legami con il variegato mondo del femminismo, tutti elementi che si composero all'interno di un quadro molto articolato.
Questa scelta della "wspu" influì sull'orientamento delle suffragette italiane. In Italia, come altrove, gli anni del conflitto furono accompagnati da uno straordinario attivismo femminile, dal punto di vista dell'impegno.
diritti delle donne, si schierò a favore della guerra come mezzo per ottenere una maggiore visibilità e un ruolo attivo nella società. Alcune donne vedevano nella guerra l'opportunità di dimostrare il proprio coraggio e la propria capacità di contribuire alla causa nazionale. Altre speravano che la guerra avrebbe portato a un cambiamento sociale e politico che avrebbe favorito l'emancipazione femminile. Nonostante le diverse posizioni, la partecipazione delle donne alla guerra fu significativa, sia come infermiere e soccorritrici sul campo di battaglia, sia come lavoratrici nelle fabbriche per sostenere lo sforzo bellico.Diritti delle donne - pur con posizioni diverse rispetto all'accesso al voto - condivise le ragioni dell'interventismo. La maggior parte delle femministe, guardava con favore all'ingresso italiano in guerra, per ragioni connesse proprio agli obiettivi e alle argomentazioni che avevano sostanziato il loro impegno pubblico. L'esperienza bellica rappresentava il percorso - certo traumatico e doloroso - attraverso il quale l'Italia avrebbe potuto rinnovarsi profondamente, estendendo le basi sociali della rappresentanza e includendo le donne.
La Grande guerra e la mobilitazione delle donne. Quando i primi soldati partirono per il fronte, in Italia la mobilitazione femminile divenne essenziale per garantire assistenza a militari e civili. L'impegno di mogli, madri, sorelle per sostenere lo sforzo bellico passò infatti verso una rete multiforme di associazioni e comitati, spesso riuniti in federazioni, direttamente o indirettamente sopportati dalle istituzioni.
ed espressione della mobilitazione civile promossa dal governo. L'ospettro delle attività svolte fu assai ampio: la preparazione di bende e indumenti da spedire al fronte, gli asili nido per i figli dei richiamati, le visite domiciliari alle famiglie dei soldati, la raccolta di donazioni. Per molti versi la mobilitazione femminile servì a tessere una trama che connetteva il fronte di combattimento con il resto del paese. L'insieme delle attività indubbiamente faceva leva sul ruolo di cura tradizionalmente affidato alle donne. Non si trattava però soltanto della risignificazione dei compiti solitamente svolti entro le mura domestiche. Molte delle operazioni previste dalla mobilitazione collettiva implicavano piuttosto il possesso di competenze specifiche e richiedevano un adeguato grado di istruzione, una buona capacità di gestione e di organizzazione, la conoscenza delle procedure amministrative e del funzionamento degli uffici pubblici. Le mansioni loroassegnate includevano la cura di soldati feriti e malati, dunque implicavano conoscenze medico-sanitarie che le volontarie furono chiamate ad acquisire per adempiere ai propri compiti. D'altra parte le donne, soprattutto quelle coinvolte attraverso le organizzazioni femministe, si dimostrarono consapevoli del valore del loro impegno. Nel 1917 il Consiglio nazionale donne italiane si spostò su una posizione favorevole al diritto di voto, proprio in considerazione della trasformazione della presenza femminile nella società generata dall'emergenza bellica. Lungo il fronte di combattimento, le donne non rimasero al riparo dalla violenza. Le donne trentine profughe dall'una e dall'altra parte del fronte vissero esperienze differenti e nello stesso tempo simili. Per tutte l'abbandono delle proprie case coincise con la perdita non solo delle risorse materiali (la terra, la bottega, l'occupazione), ma anche delle reti di supporto sociale.relazione. Le donne che rimasero entro i confini austriaci condivisero la loro condizione con le profughe polacche, galiziane, istriane, entrando in contatto con gli abitanti delle altre regioni di un impero che di lì a poco sarebbe andato in frantumi. Il lavoro fu per le profughe un obbligo e nello stesso tempo una strategia, per uscire dai centri collettivi. Tanto in Austria quanto in Italia le braccia - in larga misura femminili - della popolazione allontanata dalle regioni trentine adiacenti al fronte apparivano come una risorsa utile ad alimentare l'economia bellica. Furono soprattutto le giovani donne senza figli a essere impiegate nelle fabbriche, talvolta venne loro imposto di trasferirsi in altri centri e di affrontare nuove separazioni.
Gli stupri perpetrati dai militari costituirono una delle pagine più drammatiche dell'occupazione del Friuli e del Veneto orientale. Si trattò di una violenza che colpì centinaia di donne. Attraverso il corpo delle donne, i militari cercavano di affermare la propria superiorità e di umiliare la popolazione locale. Questi atti di violenza sessuale causarono gravi traumi fisici e psicologici alle vittime, lasciando cicatrici profonde che spesso durarono per tutta la vita.
donne era la stessa nazione a essere violentata. Non era un caso che molte donne fossero aggredite alla presenza di altre persone, si trattava di una prova di forza volta a dimostrare la debolezza degli uomini che avrebbero dovuto difendere le mogli, le figlie, le sorelle. La violenza sessuale in tempo di guerra affondava le sue radici nei discorsi nazionalistici che avevano dominato in tempo di pace.
Contro la guerra, nelle campagne e nelle città
Le donne in Italia vengono chiamate a rispondere alle esigenze dell'economia di guerra, a fronte di una brusca contrazione della manodopera disponibile, perché in parte è impiegato nelle file dell'esercito, quanto di una rapida trasformazione del sistema di produzione. Si trattò di affrontare l'allungamento dei tempi e l'accelerazione dei ritmi di lavoro, la povertà dei salari, la ancor più difficile conciliazione fra le attività extradomestici e la cura della famiglia, ora ridotta a
Un insieme di vecchi, bambini e malati. Tutto questo contribuì a far esplodere le proteste delle donne. Tuttavia il ciclo di contestazioni e rivolte che si aprì con il primo conflitto mondiale ebbe una propria specificità, determinata tanto dalla della guerra quanto dalle ragioni che spinsero le donne alla ribellione. Gli inizi della mobilitazione non lasciarono spazio alle manifestazioni di dissenso nel primo anno di guerra, ma le proteste emersero con forza nella primavera del 1916 e poi nel 1917. Le proteste delle donne si diffusero irregolarmente sul territorio, non assunsero il carattere di un movimento nazionale e dimostrarono spesso una forte specificità locale. Tuttavia attraversarono città e campagne, raggiunsero un intenso livello di partecipazione e attraverso le diverse istanze sollevate (dall'iniquità degli ammassi all'insufficienza dei sussidi) provarono di avere nell'ostilità alla guerra il più forte dei loro.
movente principale delle proteste delle donne nelle campagne italiane durante la guerra. Le donne, infatti, si trovavano a dover affrontare una situazione difficile a causa della partenza degli uomini per il fronte. Questo significava che dovevano svolgere i lavori agricoli da sole, senza l'aiuto dei loro mariti, figli o fratelli. Inoltre, le donne dovevano garantire un livello di produttività sufficiente per nutrire non solo se stesse e le loro famiglie, ma anche i soldati al fronte. Questo era un compito molto gravoso, considerando che le risorse erano limitate e i rifornimenti spesso insufficienti. Le donne si organizzavano in gruppi e manifestavano per chiedere migliori condizioni di vita e di lavoro. Marciavano verso i centri abitati, prendevano d'assalto municipi e magazzini, protestando contro gli ammassi, i calmieri e i sussidi insufficienti. Una delle richieste principali delle donne era la promessa di distribuire la terra ai contadini una volta finita la guerra. Questo rappresentava una speranza per migliorare le loro condizioni di vita e ottenere una maggiore autonomia economica. In conclusione, le donne nelle campagne italiane durante la guerra si ribellarono alle difficoltà e alle ingiustizie che affrontavano, lottando per ottenere migliori condizioni di vita e di lavoro. La promessa di distribuire la terra ai contadini rappresentava un obiettivo importante per loro.determinante nel ridurre l'intensità delle proteste, che sarebbero poi riesplose nel 1919. Anche nelle città le accese manifestazioni di malcontento ebbero come causa immediata la partenza dei richiamati, il rincaro dei generi alimentari, i razionamenti, l'esiguità dei sussidi, ma per le operaie opporsi al perdurare della guerra significò incrociare le braccia e scioperare contro "le inefficienze e le iniquità dello stato e dei datori di lavoro".
Da una guerra all'altra La Grande Guerra fu glorificata come progenitrice della rivoluzione che aveva rovesciato il governo democratico e consentito al regime di dare compimento alla grandezza della nazione, di cui il valore dei soldati aveva dato prova nelle trincee. Nell'ambito di questa narrazione fu pienamente la figura esemplare della madre che aveva sacrificato il proprio figlio sul fronte di combattimento, incarnazione di un eroismo frutto della mera sopportazione del dolore e
già al centro dellapropaganda bellica, nel 1915-18. La figura materna fu poi un riferimento importante nella politica e nella retorica connesse al progetto espansionistico del regime: alle donne spettava il compito di dare alla luce ed educare gli uomini nuovi che sarebbero stati i soldati del futuro. Nel 1935, con l'aggressione dell'Etiopia, alle donne si fece appello perché la loro gestione dell'economia domestica si adeguasse agli obiettivi della svolta autarchica, con la quale il regime aveva risposto alle sanzioni della Società delle nazioni. Dopo l'8 Settembre L'8 settembre 1943 segnò le sorti delle ebree, sorti tragicamente diverse a nord e a sud della linea del fronte. Nelle regioni liberate dagli Alleati gli ebrei italiani tornarono a essere sicuri, dopo l'intensificazione, negli anni della guerra, della propaganda antisemita e degli atti di violenza anti-ebraica (aggressioni, minacce, devastazioni di sinagoghe). Nei territoriDella Repubblica sociale italiana (RSI) scattarono invece le confische, gli arresti e le sanzioni. Molte famiglie ebree cercarono di sfuggire a tutto questo lasciando le proprie case, sotto falsa identità.