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5. ALL'OMBRA DI GALILEO. GLI SCIENZIATI ITALIANI NEL PANTHEON DI SANTA CROCE

1. Scienza e patria

Nel 1936 fu assegnato a Roma il compito di allestire l'Esposizione universale del 1942, un evento a cui fin da subito il regime guardò come straordinaria occasione per celebrare la proclamazione dell'Impero e il ventennale della conquista del potere. Fra i progetti approvati per Eur 42 - questo l'acronimo con cui fu identificata l'Expo, che poi a causa della guerra non poté tenersi - vi era il palazzo della Civiltà Italiana, il grandioso edificio in travertino a forma di parallelepipedo a base quadrata che domina ancora oggi lo spazio urbano del moderno quartiere dell'Eur. Il palazzo fu inaugurato, sebbene incompleto, nel 1940 e sulle testate delle quattro facciate era riportata la frase di Mussolini scolpita in caratteri cubitali: "Un popolo di poeti di artisti di eroi / di santi di pensatori di scienziati / di navigatori di trasmigratori".

In realtà la frase esatta pronunciata da Mussolini nel celebre discorso del 2 ottobre 1935, con il quale annunciò l'inizio della guerra di Etiopia, non menzionava né i pensatori né gli scienziati. Evidentemente, quando poco dopo si progettò un monumento celebrativo della civiltà italiana, l'aggiunta di un riferimento ai protagonisti del pensiero e della scienza dovette sembrare una scelta obbligata. E del resto fra le statue allegoriche delle virtù del popolo italiano che furono collocate negli archi del piano terreno del palazzo dell'Eur vi erano quelle che evocavano il genio inventivo, l'astronomia, la matematica, la fisica, la chimica e la medicina. Per il regime fascista, che aveva assunto Guglielmo Marconi come uno dei suoi simboli affidandogli la presidenza del CNR nel 1928, quella dell'Accademia d'Italia nel 1930 e quella dell'Istituto della Enciclopedia Italiana nel 1934, era chiaro che la tradizione.

scientificarappresentava uno degli elementi forti dell'identità nazionale. Quale ruolo ebbe questa tradizione scientifica nell'età del Romanticismo e del Risorgimento. Studi più o meno recenti sui congressi degli scienziati e sul mito di Galileo nell'Ottocento hanno già offerto risposte convincenti alla domanda sul ruolo tutt'affatto secondario che il primato dellascienza ebbe nella costruzione dell'identità nazionale italiana. Cesare Balbo nel suo Sommario della storia d'Italia osservò che le discipline scientifiche, nei secoli passati, erano quelle che meno avevano sofferto della situazione politica in cui versava la penisola, divisa in molti Stati e soggiogata al potere straniero. Le scienze naturali, scriveva Balbo, "furono la gloria massima del secolo XVIII, furon quelle che progrediron più e più incontestabilmente allora. [...] Elle son quelle che dipendon meno dalle buone condizioni"

politiche;tantoché nel Seicento stesso furono possibili in Italia un Galileo, e le grandezze minori de' suoiseguaci. I quali s'accrebbero poi nel Settecento fino al 1814. Grande eco ebbe in tutta Europal'Histoire des sciences mathématiques en Italie pubblicata da un matematico ed esule fiorentino,Guglielmo Libri. Libri rivelava in modo ancor più esplicito quanto fosse stretto il nesso frasentimento patriottico e rivendicazione del primato scientifico italiano che stava dietro la sua opera.Quelle pagine in effetti infiammarono di ardore patriottico l'animo di molti giovani che si stanoappassionando all'idea del Risorgimento nazionale.In occasione del terzo congresso degli scienziati italiani che si tenne a Firenze, dopo quelli svoltisia Pisa nel 1839 e a Torino nel 1840, ed ebbe i suoi momenti più solenni proprio negli onori chevennero tributati a Galileo, a trecento anni dalla morte, nel luogo che ne accoglieva le

spogliemortali.Presieduto dal marchese Cosimo Ridolfi, il congresso fu un avvenimento di grande risonanza: viparteciparono ben 888 scienziati, con delegazioni provenienti anche da vari paesi europei e dalleAmeriche. In questa occasione fu inaugurata presso la Specola la Tribuna di Galileo - un vero eproprio tempio laico, un «santuario della natura», come la definì Vincenzo Antinori - in cui furonoraccolti i cimeli galileiani e si volle celebrare, con le statue e con gli affreschi, l'apoteosi del padredella scienza italiana.La reliquia di Galileo esposta nella Tribuna, il dito medio della mano destra, era stata asportata inmaniera furtiva dal corpo dello scienziato il 12 marzo 1737 durante la traslazione della salma nelnuovo sepolcro monumentale che a quasi cento anni dalla morte era stato finalmente eretto nellabasilica di Santa Croce. Il sepolcro fu collocato proprio di fronte a quello di Michelangelo, secondoil progetto concepito da Ferdinando II de'

Medici fin dalla morte di Galileo e poi tenacemente perseguito dal suo giovane discepolo Vincenzo Viviani, matematico, astronomo e ingegnere, i cui resti furono anch'essi riesumati e traslati nella tomba insieme a quelli del maestro. Fu Viviani, fra l'altro, a insistere affinché il sepolcro di Galileo fosse eretto dirimpetto a quello di Michelangelo, sulla lato destro della basilica rispetto all'altare, sottolineando ripetutamente la straordinaria e suggestiva coincidenza, quasi un ideale passaggio di consegne, che l'artista fosse morto esattamente lo stesso giorno in cui nasceva lo scienziato. In realtà, come sappiamo, Michelangelo morì il 18 febbraio 1564, mentre Galileo era nato tre giorni prima. L'impianto scultoreo del sepolcro era gravido di significati allegorici. L'urna era sovrastata da un busto di Galileo, opera di Giovan Battista Foggini, mentre ai lati si ergevano la statua della Geometria, scolpita da Girolamo Ticciati, che ricordava.

Le ricerche dello scienziato sul piano inclinato e sulla caduta dei gravi, e quella dell'Astronomia, realizzata da Vincenzo Foggini, figlio di Giovan Battista, che celebrava la scoperta delle macchie solari.

Firenze capitale della scienza

Nella scelta di onorare con l'inumazione in Santa Croce i tre Targioni Tozzetti possiamo certosco rgere il rispetto di una tradizione familiare, ma anche la conferma, in tempi nei quali la sepoltura nella chiesa era ormai divenuta privilegio di pochi selezionati individui, del prestigio e della considerazione di cui godettero gli uomini di scienza a Firenze sia nel periodo lorenese, sia durante il breve intermezzo della dominazione francese. Basti pensare che oltre a Pier Antonio Micheli, l'illustre botanico che fu maestro e amico di Giovanni Targioni Tozzetti, morto nel 1737 e onorato con un cenotafio, la chiesa di Santa Croce, nell'arco di tempo racchiuso fra il 1801 e il 1807, accolse le spoglie di tre importanti scienziati:

l'ingegnere e architetto Giuseppe Salvetti, morto nel 1800, il cui monumento funebre, opera di Stefano Ricci, si trova oggi nella cappella Salviati;

Pio Fantoni, deceduto a Bologna nel 1804, «ma tematico sublime» e «utile in idraulica apiù nazioni», come recita la stele dettata dalla nipote Giulia Paillot allorché nel 1807 ottenne che i suoi resti fossero deposti in Santa Croce;

infine Felice Fontana, morto nel 1805, fisico, fisiologo e chimico insigne, a lungo professore nell'Ateneo di Pisa, che fu il grande artefice del primo allestimento del Museo di fisica e storia naturale di Firenze, ufficialmente aperto al pubblico nel 1775.

Del resto, agli occhi di quei ricchi aristocratici, poeti e scrittori, intellettuali delle più diverse discipline che nella prima metà del XIX secolo fecero di Firenze una tappa obbligata del loro grand tour di formazione culturale, essa continuò ad apparire non solo come l'«Atene

d'Italia" e il "giardino d'Europa", ma anche come la città depositaria della tradizione galileiana, come un centro di irradiamento della cultura scientifica e di sperimentazione di nuovi strumenti e scoperte tecnologiche. A tener viva questa immagine provvidero gli scienziati e i tecnici, oltre che i musei e le istituzioni in cui essi lavoravano. Ma anche - e questa fu la peculiarità fiorentina e toscana - un diffuso gruppo di personaggi che scienziati propriamente non erano, che nutrivano tuttavia una fede sconfinata nel progresso della civiltà. Erano nobili, proprietari terrieri, borghesi: essi credevano che l'applicazione graduale delle innovazioni e delle nuove tecniche partorite dalla ricerca scientifica avrebbe prodotto un costante miglioramento della società e delle condizioni di vita di tutto il popolo. Si dedicarono perciò in prima persona a fare esperimenti di chimica, di fisica, di biologia; condussero osservazioni

astronomiche e meteorologiche; costruirono nuovi strumenti agricoli e nuovi apparecchi; studiarono le qualità nutritive di nuove sostanze alimentari e elaborarono ricettari ad uso del popolo. Furono mossi dal convincimento che uno sviluppo armonico della società, garantito anche dal progresso delle conoscenze scientifiche, avrebbe preservato il Granducato di Toscana dalle scosse rivoluzionarie che avevano sconvolto altri paesi. Perciò molti di loro coniugarono la passione scientifica con l'impegno politico e sociale, accettando responsabilità di governo, quando se ne presentò l'occasione, e promuovendo istituzioni come gli asili e le scuole per l'educazione del popolo o le prime Casse di Sconto e Casse di Risparmio che rappresentarono, per quei tempi, una profonda innovazione.

L'esempio più fulgido di questo genere di personaggi fu il marchese Cosimo Ridolfi. Appassionato di chimica e di fisica, già nel 1817 mise a punto un

Rudimentale apparecchio per l'illuminazione a gas, che chiamò "termolampo". Nel 1818 fu uno dei divulgatori in Toscana delle opere di Beniamin Rumford, l'inventore della cosiddetta "chimica economica", lo scienziato che aveva utilizzato i codici chimici per ottenere nuovi generi commestibili - le famose zuppe alla Rumford - e per sconfiggere in tal modo la carestia e il pauperismo. Ridolfi fu tra i primi in Toscana a sperimentare la coltivazione di un nuovo tubero, la patata, e a riferire i risultati dei suoi tentativi su una rivista, il Giornale agrario toscano, che fu da lui fondato e diretto. Nella sua villa di Meleto, dove aprì una famosa scuola agraria, scrisse un Corso di chimica minerale, e mise a punto un nuovo modello di coltivazione in ferro che ebbe molto successo. Dopo essere stato nel 1829 fra gli artefici, con Raffello Lambruschini e Gino Capponi, della nascita della Cassa di Risparmio, un istituto di credito pensato soprattutto per

soddisfare le esigenze dei ceti popolari, nel 1848, quando il granduca Leopoldo II lo chiamò a guidare il governo toscano, non esitò a dare la sua disponibilità. Uno dei luoghi dove i cultori delle scienze, come Ridolfi, s'incontrava
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Publisher
A.A. 2022-2023
35 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher elisalizza di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della comunicazione politica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Conti Fulvio.