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INTRODUZIONE

Il sociologo Beck. in un suo libro del 1986, individuò le trasformazioni che stavano

investendo il pianeta. Cambiamenti di cui allora s‘intravedevano i primi effetti, effetti poi

confermati durante la pandemia di COVID. Beck sosteneva che l’umanità fosse entrata in

una “società del rischio”, figlia della globalizzazione. Il rischio, per Beck, genera la

consapevolezza che una comunità democratica debba assumere responsabilità condivise.

Servono schemi di protezione ad iniziativa statale e sovranazionale, come dimostra la via

d’uscita, da noi, percorsa per oltrepassare la pandemia di COVID-19: grande produzione e

grande campagna di somministrazione dei vaccini. Vaccini per cui le case farmaceutiche

hanno lavorato tanto e velocemente, grazie alle ingenti risorse economiche messe a

disposizione dagli Stati che si sono rivelati decisivi insieme alle organizzazioni

sovranazionali. Quest’ultime hanno fronteggiato non solo la pandemia stessa ma anche la

crisi da essa derivante grazie a provvedimenti come 1)lo schema SURE introdotto nel 2020

dall’U.E. per cofinanziare le casse d’integrazione nazionali e 2)il piano di aiuti, del 2021, da

oltre 800 miliardi di euro.

Da ricordare il pensiero espresso da Stieglitz che, alla luce degli scenari aperti dalla

pandemia, evidenzia il fallimento del neoliberismo marcando l’importanza dell’intervento

statale. Stiglitz individuava come via d’uscita da economie instabili il “capitalismo

progressista”, modello che vede gli Stati chiamati a regolare il mercato in base ad elementi

come ambiente, salute e lavoro. I governi devono poi fare ciò che il mercato non può o non

vuole fare come investire nella tecnologia e nell’istruzione. Tutti questi eventi ci portano a

considerare la pandemia l’elemento letale per il dominio delle teorie neoliberiste.

Sentiment che pochi anni fa era completamente diverso, come dimostra, ad esempio,

l’articolo: “C’era una volta lo Stato sociale”, scritto da due economisti neoliberisti e

pubblicato sul “Corriere della Sera” nel 2012. Gli autori del testo sostenevano la modifica

della struttura del nostro Stato sociale, in virtù di banali rilievi:

1)l’allungamento della vita non corrisposto ad un adeguamento dell’età di pensionamento,

riguardo ciò siamo infatti ricorsi ai ripari solo nel 2011 con la riforma Fornero che ha

indicizzato l’età pensionistica alla vita media;

2)la crescita delle spese per la salute, incremento al quale non ha corrisposto la riduzione di

altre spese. Le tasse sono anzi aumentate.

È sulla base di queste considerazioni che i 2 opinionisti definiscono il nostro Stato sociale

una macchina che tassa le classi medio-alte e fornisce servizi ai meno abbienti ma anche

alle stesse classi medio-alte, favorendo gli evasori fiscali.

A questo articolo ne risponderanno successivamente altri, alcuni a favore delle tesi

neoliberiste e altri a sfavore, questi ultimi considereranno lo Stato sociale un “lusso” che

l’uomo d’oggi non può più permettersi.

Il libro “Breve storia dello Stato Sociale” ha però uno scopo diverso da quello dei giornali.

Gli autori del libro, Conti e Silei, vogliono fornire al lettore gli strumenti necessari per

formare una propria idea sul tema del welfare, ricostruendo la storia dello Stato sociale,

dalle origini sino alla modernità. Modernità a cui viene dedicato ampio spazio, analizzando

anche i provvedimenti adottati nei giorni nostri.

L’ultimo capitolo del libro si intitola “Terra incognita”, per indicare le incertezze di una

transizione infinita apertasi a fine 900 e scossa poi dalla crisi del 2008, dalla pandemia di

COVID-19 e dalla guerra in Ucraina. Ma, proprio in un contesto di questo genere, il welfare

state si è dimostrato un “ammortizzatore” a problemi che avrebbero potuto creare gravi

conflitti sociali. Va inoltre detto che i paesi che più hanno difeso il proprio welfare, meglio

hanno saputo fronteggiare la crisi economica (es. Germania). Welfare che non è patrimonio

del solo partito socialista: esso è stato attuato in quasi tutti i Paesi europei dai partiti

cristiano-democratici.

In tutto ciò fondamentale è anche lo Stato civile, serve una cittadinanza impegnata a

controbilanciare il potere delle aziende e ad aiutare le istituzioni negli ambiti d’intervento

in cui più è assente. Considerazione che ci porta a sviluppi recenti del Welfare: il cosiddetto

“welfare mix” o “secondo welfare”, programma di protezione sociale che attinge a fonti di

finanziamento private e che si affianca al “primo welfare” di natura pubblica. Fra gli

ambiti di intervento del “secondo welfare” vi sono gli ambiti che il welfare “tradizionale”

lascia scoperti. In questo contesto lo Stato svolge funzioni di monitoraggio senza eccessi di

burocrazia.

CAPITOLO 1: POVERTÀ E FORME DI ASSISTENZA DALL’ETÀ MODERNA A FINE 800.

Le radici dello Stato sociale risiedono nelle società antiche e medievali, che attribuivano alle

istituzioni religiose e al sovrano il perseguimento di scopi come la pace e il bene comune.

Esistevano varie tipologie di poveri: i membri di alcuni ordini religiosi (ex. francescani), i

malati e gli anziani, gli orfani. Dei poveri si occupavano le confraternite, laiche e religiose e

gli ospedali, gestiti o da ordini religiosi o dalle istituzioni locali. A ciò si univa la

beneficenza dei ceti nobiliari.

Questo modo di vedere il pauperismo cambiò a partire dal 1500 quando in Europa

aumentarono i vagabondi e i mendicanti e l’essere poveri diventò uno stigma. Questa nuova

idea fu tradotta in una serie di provvedimenti che puntarono all’emarginazione dei poveri

stessi, distinguendo tra poveri meritevoli d’aiuto e poveri non meritevoli.

Con Elisabetta I, l’Inghilterra, adottò alcune leggi dirette a controllare il fenomeno del

pauperismo. Da ricordare è la Poor Tax, una quota di denaro che i ricchi proprietari terrieri

versavano nelle casse delle istituzioni dedicate alla cura dei più poveri. Nel 1601 i vari

provvedimenti in merito al tema formarono la POOR LAW, che confermava la poor tax, il

riconoscimento dello status di povertà e il ruolo della Chiesa nella gestione dei poveri. Con

la POOR LAW si decise che i poveri incapaci di lavorare fossero rinchiusi in ospizi mentre gli

abili finivano nelle “workhouses”, locali basati sul principio del lavoro coatto. Con la Poor

law si riuscì ad assistere circa mezzo milione di persone.

Questa prospettiva ispirò altre zone d’Europa fra cui la Francia che istituì locali simili alle

workhouses, qui i poveri francesi vivevano fornendo in cambio mano d’opera.

In Inghilterra, la rivoluzione americana e il decollo industriale richiesero cambiamenti

legislativi. Le workhouses furono destinate al ricovero dei poveri inabili mentre l’assistenza

dei poveri abili si sviluppava fuori da questi centri ma nonostante i vari aggiornamenti della

POOR LAW questa continuò a non portare agli effetti sperati. Si arrivò al sistema di

Speenhamland che garantì un reddito minimo indipendentemente dai guadagni.

Anche la Francia, fu costretta a modificare il suo sistema, causa la rivoluzione francese. La

Costituzione del 1791 pose l’attenzione sull’importanza dell’assistenza pubblica

specialmente per le classi più deboli e si chiese garanzia verso le libertà individuali.

PRIMO OTTOCENTO—> L’industrializzazione che aveva interessato l’Inghilterra e

successivamente il resto d’Europa provocò nuovi tassi di miseria e marginalità. Si

evidenziarono così due necessità: la riforma della POOR LAW e l’intervento dello stato con

l’assistenza pubblica.

La questione operaia si fece calda e aumentarono le sommosse, sommosse che sfociarono

nella nascita delle prime associazioni operaie. La classe dirigente, timorosa di una possibile

rivoluzione, limitò la libertà d’associazione ma le condizioni degli operai non migliorano e

pertanto le associazioni iniziarono ad operare clandestinamente fino al 1824 quando si

abolirono le leggi che limitavano la libertà d’associazione. Con la NEW POOR LAW (1824) si

impose l’abbandono del programma Speenhamland.

Successivamente si iniziò a parlare di infortunio sul lavoro, assicurazione sociale, malattia

e vecchiaia; richiamando anche l’intervento dello Stato, questioni sociali sostenute da varie

organizzazioni assicurative. Nel 1850 in Francia si arrivò alla creazione di un Fondo di

pensione nazionale, (da ricordare anche la politica assicurativa vincente di Napoleone III).

Nel frattempo in Inghilterra, nel 1867, con un nuovo Factory Act, si tutelarono le condizioni

di donne e bambini andando a regolare anche le ore di lavoro che diminuirono. Si arrivò alla

costituzione di una struttura nazionale che mettesse d’accordo le varie associazioni di

lavoratori, il Trade union congress. Quest'ultimo riconobbe le organizzazioni dei lavoratori

e gli concesse la possibilità di stipulare accordi.

CAPITOLO 2: LA NASCITA DELLO STATO SOCIALE

Dagli anni 80 del 19° sec. l’Europa visse una stagione di riforme sociali.

In Germania, Bismarck, introdusse le assicurazioni obbligatorie in caso di malattie,

affrontò il tema degli infortuni e della vecchiaia, andando a regolamentare anche le

situazioni che vedevano defunto il capofamiglia. Le assicurazioni per certe categorie

divennero obbligatorie.

Le politiche previdenziali europee di questi anni erano fondate su 2 pilastri: il primo

pubblico, rappresentato dalle assicurazioni occupazionali ed un secondo raffigurato dalle

SMS.

In Italia il sistema di carità legale cambiò nel 1890 quando la legge trasformò le Opere pie in

Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, sottraendole così dalle mani della Chiesa.

Si affrontò anche la questione delle morti sul lavoro affidando tale responsabilità al datore

di lavoro, altro passo fu l’istituzione di una Cassa nazionale volontaria di assicurazione per

gli infortuni sul lavoro.

Il successivo decollo industriale comportó cambiamenti sociali e politici: i liberali ed i

democratici, mantennero fiducia verso i fenomeni di mutuo soccorso e filantropia a

differenza dei cattolici che rifiutarono il socialismo e le possibili rivoluzioni.

Gli schemi europei assicurativi in merito a rischio di malattia, invalidità e vecchiaia

rimasero facoltativi mentre furono obbligatori quelli contro il rischio di infortunio in Italia

e Norvegia.

Ad inizio 900 le riforme sociali conobbero una nuova fase di espansione, determinante fu

l’apertura dei settori liberali pi&ugrav

Dettagli
A.A. 2023-2024
6 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher anna.vitielloooo di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Conti Fulvio.