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D'Annunzio e la cerimonia in onore di Dante

D'Annunzio fu l'ispiratore e quasi il coreografo della parte più emozionante e gravida di significato della cerimonia. L'imponente corteo che sfilò per le vie cittadine per rendere omaggio alla tomba di Dante fu aperto infatti dai legionari fiumani di Ravenna, Bologna e Forlì. Tre di essi reggevano altrettanti sacchi di foglie di lauro, che, fatte giungere con un aeroplano, dovevano rappresentare il suo personale tributo alla memoria di Dante. Una centuria di fanciulle biancovestite raccolse il lauro in canestri di vimini e lo sparse lungo le strade vicino al tempietto sepolcrale. Ma D'Annunzio aveva pensato anche al momento culminante del rito di omaggio: "Una madre di Romagna - aveva scritto -, una madre di uccisi o di mutilati, una delusa madre senza pianto, sparga al vento marino un pugno di queste fronde in gloria di quel sacrificio che l'implacabile Dante del Carnaro assunse nel suo Paradiso". Fu adempiuto dalla madre di Francesco Baracca.

L'eroico aviatore della Grande Guerra. Nella piazza gremita di popolo un solo grido ha echeggiato: «Per Fiume italiana, eja, eja, alalà!». Non stupisce che a riempire quella piazza fosse anche una foltissima rappresentanza di squadre armate fasciste guidate da Italo Balbo e Dino Grandi. Nella commemorazione dantesca essi videro l'occasione per mettere in scena una manifestazione di accentuato sapore nazionalistico, anticipatrice e presaga di imminenti riti di conquista. Italo Balbo appuntò infatti sul suo diario che quello andato in scena a Ravenna nel settembre del 1921 fu il «primo esperimento grandioso» da parte dei fascisti di occupazione in massa di un'intera città. Nel resoconto dell'inviato del "Corriere della Sera" non si dava notizia delle violenze scatenate in città dai fascisti e degli scontri che essi ebbero con i socialisti e persino con i cattolici. Si riferiva soltanto del comizio tenuto in piazza.

Vittorio Emanuele, e del fatto che poi le squadre, ricomposte in corteo, erano andate a "inchinare i loro gagliardetti alla tomba del Poeta". In realtà ci furono tafferugli, assalti e devastazioni alla Camera del lavoro e alle sedi dei partiti di sinistra. I socialisti a loro volta, consapevoli dell'importanza assunta dall'uso pubblico della memoria dantesca, per non lasciare che la scena rituale fosse occupata soltanto dalle forze nazionaliste e cattoliche si allinearono all'omaggio nei confronti del poeta. Ufficialità, rievocazioni storiche, cinema Quello nazionalista fu il tono predominante anche delle celebrazioni fiorentine e romane. A Firenze la prima grande cerimonia si svolse il 6 giugno 1921 ed ebbe il suo momento culminante nell'omaggio reso dalle bandiere dell'esercito decorate di medaglia d'oro al monumento a Dante in piazza Santa Croce. Il sindaco, il senatore Antonio Garbasso, presentatosi in divisa da maggiore del Genio,

Declinò per l'ennesima volta nel suo discorso il mito di Dante, il poeta vate, divinatore della terza Italia, coniugando l'orgoglio per la vittoria alla delusione per la privazione di Fiume. Un chiaro esempio fu la colonna commemorativa della battaglia di Campaldino, concepita come esplicito tributo delle forze armate al Dante combattente del 1289, che fu eretta il 16 settembre nella valle del Casentino, fra i castelli di Romena e di Poppi, dove il poeta, sulla via dell'esilio, era stato ospite dei conti Guidi. La cerimonia vide un grande concorso di folla ed ebbe ampia eco sulla stampa nazionale. Il 17 settembre, alla presenza del re Vittorio Emanuele III, del presidente del Consiglio Ivano Bonomi e di una delegazione del Senato e della Camera, si svolse la cerimonia solenne in memoria di Dante in Palazzo Vecchio, nel Salone dei Cinquecento. La grande attrazione della giornata fu la rievocazione storica del ritorno delle milizie guelfe a Firenze dopo la battaglia di Campaldino.

Tra i figuranti molti erano stati reclutati fra gli ufficiali e soldati dei battaglioni di stanza a Firenze, quasi a sottolineare, una volta di più, il legame che univa Dante combattente all'esercito vittorioso del 1918. A Pratovecchio, il 17 luglio si formò un corteo che, preceduto da un corpo musicale dell'esercito, s'inerpicò fino al castello di Romena per la cerimonia d'inaugurazione di una lapide in ricordo del soggiorno dantesco. Al ritorno in paese il folto manipolo di autorità e di abitanti fu accolto da due divi del cinema muto, Diana Karenne e Amleto Novelli, che insieme ad altri attori e a numerose comparse, in costumi trecenteschi, stavano girando alcune scene del film Dante nella vita e nei tempi suoi. Proprio la presenza in loco della troupe suggerì l'allestimento di una suggestiva evocazione, il Ricevimento solenne di Dante Alighieri nel castello dei conti Guidi, che ebbe luogo il 25 settembre a Poppi. A vestirei panni di Dante fu l'attore Guido Maraffi, che nel film impersonava il poeta, mentre i costumi e le attrezzature per il corteo storico furono forniti dalla società cinematografica fiorentina che produceva l'opera. Il Dante nella vita e nei tempi suoi fu uno dei due film dedicati al poeta che vennero concepiti per il secentenario del 1921. Di lunghezza eccessiva, ben 3.64 metri di pellicola, fu poco apprezzato dal pubblico e dalla critica e non riuscì a essere distribuito all'estero. Rivalutato dal regime fascista come strumento di educazione al culto dei valori nazionali, fu tagliato in vari episodi e destinato alla proiezione nelle scuole. Il secondo film dantesco fu La mirabile visione: tagliato anch'esso in piccoli episodi, durante il ventennio fascista fu proiettato con regolarità nelle scuole e nelle parrocchie. A Roma la cerimonia più significativa si svolse il 20 settembre in Campidoglio, in coincidenza con la festa nazionale per la

Ricorrenza della breccia di Porta Pia. Toccò a Corrado Ricci, assessore alle Belle Arti nella giunta capitolina, pronunciare il discorso più importante, che ebbe come titolo "Roma nel pensiero di Dante". Vale la pena di soffermarsi sulle parti conclusive del suo intervento, quelle nelle quali, dopo aver ricordato la profonda avversione di Dante per il potere temporale, rivendicò in pieno il carattere laico dello Stato italiano e prese nettamente le distanze dal tentativo cattolico di rileggere l'opera del divin poeta in chiave favorevole alle istanze vaticane.

Delle cerimonie dantesche allestite per il secentenario in vari paesi stranieri, quelle svoltesi negli Stati Uniti furono tra le più imponenti, per l'impulso che ad esse fu dato dalla numerosa comunità di emigrati italiani. Fra l'altro, poté finalmente concretizzarsi il progetto per erigere una statua di Dante a New York. Il monumento, commissionato a Ettore Ximenes, doveva essere

inaugurato nel 1911, in occasione del cinquantenario dell'Unità, e aggiungersi a quelli già eretti in città per iniziativa degli emigrati italiani: le statue di Garibaldi in Washington Square (1888), di Cristoforo Colombo al Columbus Circle (1892), di Giuseppe Verdi in Verdi Square (1906) e di Giovanni da Verrazzano in Battery Park (1909). Nel 1924 uscì nelle sale Dante's Inferno, un importante lungometraggio prodotto dalla Fox Film Corporation, la storia era ambientata nel tempo presente e raccontava la vicenda di un perfido uomo d'affari che attraverso un flashback onirico veniva catapultato nell'Inferno dantesco, condivideva le sofferenze dei dannati e finiva col redimersi e tornare a nuova vita. Ebbe un grosso successo di pubblico e di critica. «Italiano di sangue e di stirpe» Il secentenario del 1921, naturalmente, rappresentò un'occasione importante anche per lo sviluppo degli studi filologici e letterari su Dante. Frai contributi più significativi vi fu l'ambizioso progetto di una nuova edizione critica della Commedia, che venne affidata alla cura di Guido Biagi. A ennesima conferma di come persino le operazioni di carattere più squisitamente scientifico si caricassero in quegli anni di una valenza ideologica di stampo nazionalistico, si legga la dedica che campeggiava sull'opera: "Alla maestà di re Vittorio Emanuele III che diè all'Italia i termini auspicati da Dante, quest'edizione dell'italica bibbia con la sostanza del secolare commento studiato e riaffermato nel testo". Fra le poche voci dissonanti che si udirono nei vari momenti celebrativi del 1921 merita di essere ricordata quella di Piero Gobetti, il quale ebbe occasione di commemorare Dante di fronte ai suoi commilitoni mentre prestava servizio militare a Torino. Egli esordì nel suo breve discorso adottando lo stesso taglio antiretorico che aveva scelto Croce. Egli volle

Prendere le distanze dall'arappresentazione del pensiero di Dante da un lato come simbolo olistico di cattolicità, e dall'altro come antesignano della volontà italiana di farsi nazione.

A chiusura delle celebrazioni del 1921, dal 28 al 31 ottobre, si svolse a Ravenna una delle cerimonie più gravide di significati dell'intero centenario: una nuova ricognizione, delle spoglie mortali di Dante. A eseguirla furono chiamati due fra i maggiori antropologi dell'epoca: il professor Giuseppe Sergi dell'Università di Roma e il professor Fabio Frassetto dell'Università di Bologna.

Nonostante il poco tempo a disposizione i due scienziati riuscirono a eseguire accurate rilevazioni metriche e a redigere una minuziosa descrizione morfologica corredata di osservazioni paleopatologiche. Un fotografo professionista documentò l'intera operazione ed effettuò le riproduzioni fotografiche di tutti i resti danteschi rinvenuti nel sacello.

“Si viene definitivamente asmentire la pretesa secondo la quale Dante si vorrebbe considerare d'origine teutonica. Dante eraitaliano di sangue e di stirpe, e i suoi caratteri antropologici confermano quelli della mente. Nonsolo, Frassetto ci teneva a sottolineare che la ricognizione condotta sulle ossa del Sommo poetarivelava come fra le sue caratteristiche vi fosse una marcata virilità. Era di statura media ed avevacurva la schiena e cadenti le spalle sì da apparire invecchiato innanzi tempo. [...] Aveva il craniodolicomorfo, molto capace e di notevole peso. La faccia, come nella iconografia tradizionale, eraalquanto allungata, ortognata e proopica; vasta, diritta, ed alta era la fronte; alte le orbite, aquilinoe vigoroso il naso, grandi e sporgenti gli zigomi; complesso armonico di caratteri scheletrici a cui siassociano, generalmente, pelle bruna e capelli neri. Dante, dunque, per questi caratteri appartieneindubbiamente alla stirpe mediterranea”.

secentenario della morte sancì l'apoteosi di Dante come supremo emblema dell'identità italiana e come poeta vate della grandezza nazionale. Il fascismo, una volta edificato il regime, non dovrebbe aver bisogno di un simbolo così forte per legittimarsi.
Dettagli
Publisher
A.A. 2022-2023
18 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher elisalizza di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della comunicazione politica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Conti Fulvio.