11. IL DIRITTO COMMERCIALE TRA LEGISLAZIONE, SCIENZA E PRASSI
L’Ottocento è secolo di Codici. Di Codici civili, innanzi tutto, perché la civiltà borghese ha la necessità di scrivere su
tavole indistruttibili il proprio breviario giuridico imperniato sulla proprietà individuale, sul contratto (parimenti
individuale), sull’atto di disposizione per causa di morte. Ma anche di Codici di commercio, con l’ulteriore
precisazione che - via via che il corso del secolo procede - il numero di questi esperimenti legislativi si infittisce. Il
Codice di commercio, infatti, al contrario dell'astratto e vocazionalmente immobile sistema civilistico, è collegato agli
interessi di un ceto professionale, ed è immerso nei fatti economici e soprattutto nel loro divenire rapidissimo; è,
insomma, una veste giuridica costretta al mutamento dal sottostante sviluppo economico e tecnico.
Code de commerce
Il del 1807, terza tappa dell'imponente codificazione napoleonica, è opera legislativa di non poco
rilievo. Certamente, non smentisce la vecchia alleanza con il potere politico già sostanzialmente siglata nelle
Ordonnance colbertiana: la realtà mercantile vi è considerata come facente parte della sfera privata del soggetto
operatore, anche se è lo Stato ad occuparsene con lo strumento della legge; è redatto da una commissione di pratici
secondo una tradizione ormai consolidata; reca in sé ancora ben marcata l'impronta di un complesso di norme
tutelatrici di interessi cetuali, come segnala la salda presenza di un tribunale speciale mercantile composto da
giudici non togati. Ma v’è in esso una scelta di fondo che mostra puntualmente una finalità ulteriore, e forse
prevalente. La specialità del diritto commerciale rispetto alla generale legge civilistica risiede non già, come nella
Ordonnance del 1673, sui caratteri tipici dei soggetti esercenti il commercio, bensì su una particolare realtà oggettiva
atti di commercio
che sono gli , ed è il commercio quale vitale dimensione economica dell’Impero francese che il
Codice intende tutelare e promuovere.
Alcune notazioni: il codice è varato in un momento anteriore allo sviluppo industriale francese, e rispecchia una
società ancora largamente incentrata sulla proprietà terriera e su un capitalismo strettamente commerciale;
nell'itinerario di formazione, i giuristi del Consiglio di Stato eliminano parecchie soluzioni individuate dai redattori
nella pratica degli affari e attenuano di parecchio il pregio di essere specchio d'una vita economica concreta. Pur con
Code de commerce Codigo de comercio
queste autolimitazioni, il costituì un modello per il spagnolo del 1829, per il
Codigo comercial portoghese del 1833, per quello del Regno di Sardegna del 1842 e per quello italiano del
1865; anche se si trattò di un modello necessariamente provvisorio. Furono due le circostanze che ne provocarono
l'inevitabile e precoce invecchiamento: sviluppo economico e tecnico, nonché la massiccia
industrializzazione che pervase l'Europa occidentale a partire dagli anni Quaranta; la vocazione universalistica
del diritto commerciale, che gli fece sentire stretta la proiezione statale e che lo portò a misurarsi sulle soluzioni che
a uno stesso problema economico-giuridico si erano date o si stavano dando in contesti politici diversi.
Circostanze che causarono una moltiplicazione di leggi speciali modificative o integrative sui grandi temi delle
società commerciali, di titoli di credito, della protezione dei brevetti, dei diritti di banche in borsa, dovunque
le innovazioni della vita economica pretendevano nuove invenzioni ordinative. In queste numerose leggi speciali si
verifica l’esigenza del diritto commerciale di misurarsi sui fatti economici sensibilissimi agli sviluppi strutturali più che
chèque
agli artificiosi progetti di un sovrano. Valgano due esempi specifici: lo strumento agile dello desunto dal
common law inglese e l’astrattezza della cambiale, frutto maturo della scienza e della legislazione germaniche,
un’astrattezza che, liberando il titolo di credito dalla causa particolare sottostante, ne faceva una sorta di cartamoneta
dei commercianti. Allgemeine Deutsche Handelsgesetzbuch
Un Codice che si stacca su tutti gli altri è lo (ADHGB), il Codice generale
atti
commerciale tedesco del 1861. Fa sua la scelta di fondare la propria specialità su una realtà oggettiva tipica, gli
di commercio . Mentre l’unificazione giuridica civilistica è in Germania ancora lontana, questo codice commerciale
dimostra la sensibilità del ceto economicamente dominante a interpretare e favorire processi di unificazione
politica sempre più ampi, quella unificazione, quei confini sempre più larghi, che sono lo spazio idoneo per la piena
estrinsecazione dei traffici economici. Non solo; in assenza di un Codice civile, il tessuto connettivo del Codice
commerciale tedesco si allarga fino a ricomprendere istituti prettamente civilistici del campo dei contratti e delle
obbligazioni ed è quindi una codificazione commerciale operante in un terreno assai vasto. Una più complessa, più
culturalmente ariosa, tecnica legislativa è agevole constatare anche in un Codice commerciale di fine secolo, quello
atti di commercio
italiano del 1882. Fondato anch'esso sulla nozione oggettiva di , amplia il proprio contenuto
disciplinando istituti che, pur avendo una precisa origine nei traffici mercantili, vengono utilizzati anche in attività non
commerciali, come le assicurazioni, le società anonime, la cambiali.
Il diritto commerciale, proprio per la sua costante attenzione alla dimensione pratica ed effettiva, assume
sempre più la configurazione di un presidio avanzato sia nella legislazione sia nella scienza. È una verità che sarà
Ottocento,
orgoglioso di conclamare il più grande commercialista tedesco dell’ Levin Goldschmidt. Anche se il
collegamento con un ceto socialmente forte non potrà mai scomparire, c'è però da rilevare, in questi Codici di fine
secolo, la consapevolezza che si attua con essi la lettura di un ordine obiettivo; atteggiamento che esprime bene
il legislatore spagnolo, quando, nella relazione introduttiva del Codigo de comercio del 1885, contempla lo stadio ultimo
di un processo evolutivo che ha permesso al diritto commerciale di convertirsi in un diritto indipendente, con principi
derivanti dal diritto naturale e dalle operazioni mercantili.
Momento essenziale di questo stadio è anche una riflessione scientifica in cui il diritto commerciale si afferma
come scienza di prestigio e di pari dignità rispetto al diritto civile. Segnaliamo due protagonisti di un siffatto risveglio
scientifico, l’uno allievo dell’altro, Levin Goldschmidt (1829-1897) in Germania e Cesare Vivante (1855-1944) in
Italia, ambedue portatori di un medesimo atteggiamento metodologico: la congiunta attenzione verso la storia degli
istituti, quale sicuro terreno di verifica di ciò che è effimero e di ciò che è duraturo, e verso la prassi economica
quotidiana, quale terreno fertile di nascite e di mutazioni continue. La storicità del diritto, se è una dimensione
poco avvertita dal civilista di stampo pandettistico tutto immerso nella costruzione di una scienza pura, è invece
avvertitissima dal commercialista.
12. LA PRIMA CODIFICAZIONE DEL DIRITTO CANONICO NEL 1917
Nel corso dell'età moderna, anche se lo squasso della riforma protestante ha costretto la Chiesa al rigido centralismo,
le fonti del diritto canonico hanno mantenuto un carattere plurale e il tessuto del diritto canonico ha
conservato quella elasticità che si conviene a un ordinamento dall'indole squisitamente pastorale: il principio
aequitas
della canonica continua a dominare incontrastato, né può essere altrimenti, trattandosi di un principio
legato al fine superiore della salvezza delle anime; e continua il ruolo rilevantissimo dei giudici e dei maestri quali
naturali operatori di equità, all'ombra di quel supremo giudice/legislatore/governatore che è il pontefice come
Vicarius Christi.
Per questo, a differenza di quanto abbiamo visto avvenire negli Stati dell’Europa continentale durante la modernità, i
papi non hanno mai preteso di risolvere il diritto canonico in un complesso di leggi dell'autorità centrale. Quello che i
ius vetus
canonisti chiamano , diritto vecchio, e che si trascina stancamente fino al 1917, è un'enorme plurisecolare
sedimentazione di fonti legislative, dottrinali, giurisprudenziali; se vogliamo, è un ammasso caotico non molto
ius commune
dissimile dallo medievale e post-medievale. Né la Chiesa poteva prestare l’occhio alla smania
codicistica, che sapeva troppo di quell’Illuminismo e di quella Rivoluzione che essa aveva trovato quali feroci
antagonisti sulla propria strada.
Delle istanze di rinnovamento si ebbero nel 1870 in occasione del Concilio ecumenico Vaticano Primo,
un'assemblea presto abortita a causa della conquista militare di Roma da parte delle truppe italiane, ma che ebbe il
merito di permettere ai prelati della Chiesa universale di riunirsi e di portare collettivamente alla curia romana i
messaggi provenienti dalle terre più remote. Cominciò qui a serpeggiare l'istanza di un diritto più certo e più
chiaro, certezza e chiarezza che venivano invocate in nome della passionalità del diritto canonico. Forse, anche la
Chiesa romana doveva seriamente pensare a darsi una codificazione. E cominciarono anni di discussione anche
accese. Prevalsero, alla fine, le motivazioni a favore.
Nel 1904 il pontefice Pio X ruppe gli indugi e avviò ufficialmente i lavori per la codificazione, nei quali ebbe un
ruolo protagonistico Pietro Gasparri, eccellente giurista e docente di diritto canonico, che sarà più noto come
segretario di Stato di Benedetto XV e di Pio XI e primo attore nelle difficili trattative di conciliazione con il regno d'Italia
concluse, nel 1929, con i cosiddetti patti lateranensi. Dopo poco più di un decennio, nel 1917, con la “costituzione
Providentissima Mater Ecclesia
apostolica" (gli atti pontifici solenni sono contraddistinti dalle prime parole del testo
Codex iuris canonici
ufficiale latino), Benedetto XV promulgò il primo , esprimendo soddisfazione per l'ultimo frutto di
«ius ferendarum legum proprium ac nativum»,
quello che il pontefice amava ribadire come cioè il diritto della Chiesa
di produrre norme sue proprie, un diritto non concesso da potestà temporale, bensì nativo, originario.
Riguardo la codificazione canonica: il testo appare assai rigoroso sotto il profilo tecnico-giuridico, specchio fedele
dell'indubbia dottrina di Gasparri; si ha una giuridicizzazione talora eccessiv
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