LA CADUTA DEI COMUNISMI IN EUROPA
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Un impero in crisi - Il declino dell'Urss conobbe una brusca accelerazione. Decisivo fu il fallimento del tentativo di
Gorbacev di avviare un processo di parziale liberalizzazione. Dopo il suo l'avvento, si mise in moto un processo che
portò alle prime elezioni libere per una "democrazia popolare". Dalla Polonia si innescò una reazione a catena che
avrebbe messo in crisi tutte le "democrazie popolari", a partire dall'Ungheria, dove i nuovi dirigenti comunisti
legalizzarono i partiti e rimossero i controlli polizieschi ai confini con l'Austria. Si apriva la prima breccia nella
cortina di ferrom ch e impediva la libera circolazione dell persone fra le due Europe.
Crollo muro di Berlino - La fuga in massa dei tedeschi dell'Est attraverso l'Ungheria e l'Austria provocò nella
Germania comunista un cambio nei vertici del partito e l'avvio di un processo riformatore che divenne presto
incontrollabile, fino allo smantellamento pacifico del Muro che divideva in due Berlino, nella notte del 9 novembre
'89, sancendo la fine della Guerra Fredda. La vittoria nelle prime elezioni libere della Germania Est (marzo '90) dei
cristiano- democratici accelerò la riunificazione delle due Germanie (ottobre '90), sotto la guida del cancelliere Kohl.
Fine delle “democrazie popolari” - La caduta dei regimi comunisti dell'Europa orientale avvenne nella maggior
parte dei casi in forma pacifica, con l'eccezione della Romania, dove il dittatore Ceausescu tentò di reprimere
l'insurrezione popolare del dicembre '89, ma fu catturato e giustiziato. Un caso diverso fu quello jugoslavo, dove il
ritorno alla democrazia non fu facile ma non furono messe in discussione le nuove istituzioni democratiche.
La dissoluzione dell’Urss - All'inizio degli anni '90 si disgregò anche l'Urss, sotto la spinta delle rivendicazioni
nazionaliste, che cominciarono nelle Repubbliche baltiche (Lettonia, Estonia, Lituania) per poi estendersi in tutta
l'Unione. Anche la Repubblica russa rivendicò la propria autonomia ed elesse alla presidenza il riformista Eltsin
(1990).
Mentre si aggravava la situazione economica, nel 1991 una parte della dirigenza sovietica tentò il colpo di Stato per
bloccare il processo di rinnovamento, rapendo Gorbacev. Il fallimento grazie anche all'intervento di Eltsin, accelerò
ulteriormente la crisi dell'autorità centrale. Dopo le tre Repubbliche baltiche, anche Georgia, Armenia, Azerbaigian,
Moldavia, Ucraina, Bielorussia e le Repubbliche asiatiche proclamarono unilateralmente la loro secessione
dall'Unione Sovietica, finché il 21 dicembre 1991, 11 delle 15 Repubbliche che costituivano l'Urss diedero vita alla
Comunità degli Stati indipendenti (Csi). Le dimissioni di Gorbacev (25 dicembre) sancirono la fine dell'Unione
Sovietica.
Conflitti etnici e guerra in Jugoslavia - Mentre in Cecoslovacchia, nel 1992 si crearono, con un processo pacifico,
due Repubbliche distinte, una ceca e una slovacca, il processo di disgregazione della Jugoslavia fu drammatico e
cruento. Fra il '90 e il '91, Slovenia, Croazia e Macedonia proclamarono la propria indipendenza. Il governo federale,
controllato dalla componente serba, reagì alla secessione della Croazia: ne nacque una guerra che si sposto in
Bosnia e che si risolse in una serie di massacri, fino all'intervento militare della Nato del 1995, che costrinse la Serbia
a riconoscere l'indipendenza della Bosnia. Fra il '98 e il '99 esplose la crisi del Kosovo, dove la repressione attuata dai
serbi nei confronti della popolazione albanese venne bloccata ancora una volta dall'intervento militare della Nato.
La Russia postcomunista - La Federazione russa, sotto la guida di Eltsin, cercò di ereditare il ruolo internazionale
dell'Urss, ma si trovò in condizioni di serio dissesto economico e di cronica instabilità politica. Una stabilizzazione fu
avviata a partire dal 2000, con la presidenza Putin, caratterizzata da un crescente autoritarismo nei confronti di
oppositori e dissidenti e dalla dura repressione della guerriglia indipendentista dei ceceni. Pur presentandosi come
interlocutore dell'Occidente, Putin entrò in contrasto con esso su vari fronti (appoggio alla Serbia nelle guerre
jugoslave e agli Stati arabi sulla questione palestinese, diritti umani, allargamento della Nato).
Gli Stati Uniti: difficile gestione di una vittoria - Negli Stati Uniti, rimasti dopo il crollo dell'Urss a svolgere il ruolo
di unica superpotenza mondiale, le difficoltà economiche provocarono, nel '92, la sconfitta del presidente
repubblicano Bush e l'elezione del democratico Clinton. Il nuovo presidente volle rilanciare gli Usa come garanti
della democrazia nel mondo: di qui il ruolo statunitense nell'accordo israelo-palestinese del '93 e la pacificazione
imposta in Bosnia. Grazie soprattutto alla favorevole congiuntura economica. Clinton fu rieletto nel '96. Le
presidenziali del 2000 furono vinte di strettissima misura dal repubblicano George W. Bush, fautore di una linea
tendenzialmente conservatrice in politica interna (tagli alle tasse, contenimento della spesa pubblica) e
"neoisolazionista" in politica estera, non reso poi possibile dopo l’attentato terroristico delle Torri Gemelle a New
York l’11 Settembre 2001. L’UNIONE EUROPEA
Il progetto europeo fra utopia e realismo - Dopo la fine della seconda guerra mondiale negli Stati europei, privati
del loro ruolo di centro della politica internazionale, si cominciò a prendere in considerazione l'idea di una comunità
integrata che superasse le logiche dello Stato nazionale. La difficoltà di attuare un progetto federalista aprì la
strada all'opzione "funzionalista", che privilegiava la messa in comune di funzioni e compiti specifici, soprattutto in
campo economico, ma che avrebbe dovuto portare con sé anche le premesse di un'integrazione politica.
L’allargamento della Cee - Fra il 1973 e il 1986, la Comunità economica europea raddoppiò il numero dei suoi
membri, da sei a dodici, grazie all'adesione di Gran Bretagna, Irlanda, Danimarca, Grecia, Portogallo e Spagna. Nel
1974 fu istituito un nuovo organismo, il Consiglio europeo, col compito di tracciare le linee-guida del processo di
integrazione; si stabilì anche che il Parlamento europeo sarebbe stato eletto direttamente dai cittadini, con
scadenza quinquennale, in base alle leggi elettorali vigenti nei singoli paesi. Nel 1979, al fine di rilanciare il processo
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di integrazione economica e di proteggere le economie nazionali dall'instabilità valutaria, entrò in funzione il
Sistema monetario europeo (Sme): un sistema di cambi fissi fra le monete dei paesi membri, cui però non aderì la
Gran Bretagna.
La creazione dell’Unione Europea - Il primo passo importante nel processo di integrazione fu, nel 1985, la firma
degli accordi di Schengen, che impegnavano gli Stati membri ad abolire entro dieci anni i controlli alle frontiere sul
transito delle persone. Dopo la firma nel 1986 dell'Atto unico europeo, un altro passo fu la stipula del trattato di
Maastricht (1992). La decisione più significativa e più visibile fu l'impegno a realizzare entro il 1999 il progetto di una
moneta comune (cui sarebbe stato dato il nome di euro) e di una Banca centrale europea.
Si stabiliva, infine, come condizione per l'adesione all'Unione monetaria, l'adeguamento a una serie di parametri
comuni che avrebbero dovuto garantire la solidità della nuova moneta e la credibilità finanziaria dell'Unione.
L’euro e le politiche di austerità - Per garantire il rispetto dei parametri di Maastricht, i paesi Ue furono costretti
ad adottare politiche di tagli alla spesa pubblica e di austerità. I conseguenti effetti negativi sul piano sociale
provocarono tra i cittadini reazioni di protesta e disaffezione nei confronti delle istituzioni comunitarie. Nel 1998
vennero ufficialmente istituite l'Unione monetaria europea (Ume) e la Banca centrale europea (Bce). A partire dal
gennaio 2002 l'euro sostituì le monete nazionali (tranne che in Gran Bretagna, Danimarca e Svezia).
La scena politica europea tra XX e XXI secolo - Il dibattito sull'Unione europea si intrecciò con le vicende dei
singoli paesi. Negli anni '90, in Germania, Francia e Spagna, le difficoltà relative al processo di integrazione
penalizzarono inizialmente i partiti di ispirazione socialista. Successivamente, però, furono le coalizioni di sinistra a
ottenere una serie di successi elettorali.
L’allargamento dell’Unione tra progressi e resistenze - All'inizio del nuovo secolo, l'Unione accolse le richieste di
adesione di quasi tutti i paesi ex comunisti dell'Europa orientale. Fu così cancellata la frattura creatasi con la guerra
fredda. Nel 2007 il numero degli Stati membri arrivò a ventisette, e nel 2013 a ventotto. Nel 2007, un tentativo di
rilanciare il progetto di integrazione arrivò dal vertice europeo di Lisbona, dove fu approvato un trattato di riforma
che allargava le competenze dell'Unione in materia di energia e di sviluppo, di immigrazione e di lotta contro la
criminalità. La crisi economica del 2007-2008 introdusse nuovi elementi di contrasto all'interno dell'Unione, dando
spazio alle forze avverse all'integrazione. Queste forze ebbero il sopravvento in Gran Bretagna, provocandone
l'uscita dall'Ue in seguito all'esito di un referendum nel giugno 2016 (Brexit).
IL NODO DEL MEDIO ORIENTE
Un’area contesa - I principali fattori di tensione nel mondo arabo-islamico furono dettati, dalla competizione per il
petrolio, dalla ripresa del conflitto arabo-israeliano per la Palestina, e dalla rinascita, in forme nuove e aggressive,
del fondamentalismo islamico, quale elemento fondante dell'identità collettiva.
Questa corrente, sulla base di una interpretazione rigida delle norme del Corano, mirava a una "reislamizzazione"
della società e chiamava i musulmani al jihad (guerra santa) contro gli infedeli e, soprattutto, l'Occidente. Questo
portò alla ripresa delle antiche divisioni religiose interne, a cominciare da sunniti e sciiti.
La pace fra Egitto e Israele - Dopo la "guerra del Kippur", il presidente egiziano Anwar Sadat si impegnò a trovare
una soluzione pacifica al conflitto con Israele, grazie anche alla mediazione degli Stati Uniti. Nel 78, Begin
(israeliano) e Sadat firmarono un trattato di pace fra i due paesi: l'Egitto ottenne la restituzione della penisola del
Sinai, ma la maggioranza degli Stati arabi condannò la scelta di Sadat, che nell'ottobre 1981 fu ucciso al Cairo in un
attentato organizzato da un gruppo fondamentalista islamico.
La rivoluzione Iraniana - In Iran, nel 1979, una rivoluzione rovesciò la monarchia e instaur&o
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