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L’Inghilterra non fu più sola e lo scontro ideologico ebbe inizio. Stalin si illuse che Hitler
non avrebbe mai aggredito la Russia prima di aver chiuso la partita con la Gran Bretagna.
Così nel giugno del ’41 scattò l’operazione Barbarossa su un fronte enorme (Baltico-Mar
Nero) e la Russia, dopo le grandi purghe, aveva perso i suoi migliori comandanti. Questo
giocò a favore della Germania che in due settimane riuscì a penetrare in profondità nel
territorio russo. L’offensiva durò tutta l’estate (Mussolini smanioso di combattere contro il
comunismo inviò in tutta fretta un corpo di spedizione italiano) con l’obiettivo di
raggiungere le zone petrolifere del Caucaso e Mosca dove però l’attacco fu sferrato in
ritardo (ottobre) e fu bloccato a pochi kilometri da Mosca anche a causa del maltempo. A
dicembre i russi passarono all’attacco e Hitler dovette tenere il suo esercito immobilizzato
nelle pianure russe, alle prese con un terribile inverno e con una resistenza sempre più
accanita che poteva contare su una risorsa umana inesauribile e una produzione bellica
(dopo il Volga) sempre accesa. Presto la guerra meccanizzata si trasformò in guerra di
usura: la Germania aveva superiorità tecnica e strategica ma nella guerra di usura era la
Russia a poter contare su un numero maggiore di uomini e sull’intervento degli Usa.
L’aggressione giapponese e il coinvolgimento degli Stati Uniti
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All’inizio del conflitto gli Usa avevano ribadito il non intervento negli affari europei, ma la
terza rielezione (caso unico nella storia americana) di Roosvelt, alla fine del ’40, assicurò il
sostegno economico alla Gran Bretagna rimasta sola contro la Germania. Nel marzo del
’41 fu approvata la legge, detta affitti e prestiti, che consentiva la fornitura di materiale
bellico a quegli Stati la cui difesa fosse considerata vitale per gli interessi americani.
Questo fece degli Usa l’”arsenale delle democrazie”; il suggello ufficiale avvenne,
nell’agosto del ’41, con l’incontro tra Churchill e Roosvelt e con la redazione della Carta
atlantica (versione aggiornata dei quattordici punti wilsoniani) in cui si condannavano i
regimi fascisti e si fissavano le linee di un nuovo ordine democratico da ricostruire a guerra
finita. A trascinare ufficialmente gli Usa nel conflitto (in una guerra sempre più
antifascista), fu l’aggressione del Giappone sul Pacifico. Il Giappone nel settembre del ’40
aveva stretto con i paesi dell’Asse un patto tripartito e con la scusa approfittava del
conflitto europeo per allargare l’espansione nel Sud-Est asiatico. Nell’estate del ’41 invase
l’Indocina francese, e Usa e GB bloccarono le esportazioni verso il Giappone ricco
industrialmente ma povero di materie prime. Il Giappone doveva scegliere: piegarsi alle
potenze occidentali (che esigevano il ritiro delle truppe giapponesi dall’Indocina e dalla
Cina), oppure procurarsi le materie prime combattendo. Scelse la seconda. Nel dicembre
’41, senza previa dichiarazione di guerra, l’aviazione giapponese attacca la flotta
statunitense a Pearl Harbor (Hawaii), e la distrusse in buona parte. Profittando della
superiorità navale conquistata, il Giappone inviò (’42) la sua flotta nelle Filippine (strappate
all’Usa), in Malesia e in Birmania (britanniche, e in Indonesia (olandese). La GB dovette
distogliere le sue forze in Medio Oriente. E in pochi giorni anche Italia e Germania
dichiaravano guerra agli Usa.
Il “nuovo ordine”. Resistenza e collaborazionismo
Nel ’42 le potenze del Tripartito raggiunsero la massima espansione. Il Giappone
dominava il Sud-Est asiatico, vaste zone della Cina e molte isole del Pacifico. Le forze
dell’Asse dominavano un territorio di 6 milioni di km quadrati insieme ad alleati minori: stati
fascisti, filofascisti o formalmente neutrali ma dipendenti economicamente dall’Asse come
Ungheria, Romania, Bulgaria, Slovacchia, Croazia, Francia di Vichy, Spagna, Turchia e
Svezia. In Olanda, Norvegia e Boemia governavano gli alti commissari tedeschi. Sia la
Germania sia il Giappone cercarono di costruire nelle zone sotto il loro controllo un nuovo
ordine: supremazia della nazione eletta e subordinazione degli altri popoli alle esigenze
dei dominatori. Ma mentre il Giappone appoggiava i movimenti indipendentisti dei paesi
dominati; la Germania non era per l’autogoverno dei popoli: tutto l’est doveva diventare
una colonia agricola del Grande Reich, ogni traccia d’industrializzazione, istruzione e
urbanizzazione doveva essere cancellata. Le élite dirigenti, gli intellettuali, gli ebrei e i
popoli slavi dovevano sparire fisicamente: 6 milioni di civili sovietici e 2 milioni e mezzo di
polacchi, senza contare gli ebrei, morirono durante l’occupazione tedesca. Dei 6 milioni di
prigionieri di guerra russi, più della metà non fecero mai ritorno in patria. Ma la
persecuzione più spietata fu quella contro gli ebrei che furono confinati nei ghetti e
discriminati con l’obbligo di portare al braccio una stella gialla; quindi furono deportati nei
lager (Auschwitz, Buchenwald, Dachau) e sfruttati fino alla consumazione fisica, usati
come cavie per esperimenti medici ed eliminati in massa nelle camere a gas. 6 milioni di
israeliti scomparvero durante la guerra. Questo regime spietato costringeva Hitler a porre
ingenti truppe per contrastare le resistenze armate e l’odio che aveva seminato. Nel ’41,
infatti, nacquero veri movimenti popolari in Jugoslavia e in Grecia. E dopo l’attacco all’Urss
tutti i comunisti di Europa s’impegnarono attivamente nella lotta armata anche se, come al
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solito, non riuscirono a formare un fronte unitario: molti pensavano che i comunisti
avessero secondi fini rivoluzionari. E, d’altro canto, in molti paesi controllati dalla
Germania si formò, per opportunismo o per convinzione, un fronte collaborazionista;
migliaia di giovani furono inquadrati nei reparti combattenti delle SS. Infine, quando in
Francia, nel ’42, Petain affidò il governo a Laval, la sottomissione tedesca si accentuò e i
tedeschi occuparono anche la parte meridionale del paese.
1942-43: la svolta della guerra e la “grande alleanza”
In questi due anni l’andamento della guerra ebbe una svolta decisiva: gli americani
passarono all’offensiva sul Pacifico e vinsero le due battaglie del Mar dei Coralli a Midway
e a Guadalcanal costringendo i giapponesi a difendere le posizioni raggiunte all’inizio della
guerra. Anche sull’Atlantico, dove i tedeschi bersagliavano con i sottomarini i convogli
americani destinati all’Inghilterra, si ebbero risultati positivi grazie al perfezionamento dei
radar e dei razzi antisommergibile. L’episodio decisivo di questa fase, però, si ebbe in
Russia. Alla fine del ’42 i tedeschi avevano raggiunto Stalingrado, punto nodale della
difesa Russa e città simbolo che portava il nome di Stalin. Qui i sovietici riuscirono a
colpire sui fianchi l’esercito nemico che invece di ritirarsi aveva ricevuto l’ordine di
resistere ad oltranza e fu messo fuori combattimento. Per i sovietici e per gli antifascisti,
Stalingrado divenne un simbolo di riscossa, la prima dall’inizio del conflitto. Nel frattempo
le truppe nordafricane inglesi capitanate da Montgomery, capitano delle forze britanniche,
stava affrontando vittoriosamente la battaglia di El Alamein costringendo le forze dell’Asse
a ritirarsi fino alla Tunisia. Frattanto, alla fine del ’42, era sbarcato un contingente alleato in
Algeria e Marocco e i tedeschi, tra due fuochi, dovettero arrendersi. A cavallo tra il ’41 e il
’42 era stato sottoscritto, a Washington, il patto delle nazioni unite a cui presero parte tutte
le 26 nazioni (c’erano anche i paesi del Commonwealth e quelli occupati dai tedeschi) in
guerra contro il Tripartito e rappresentava una Carta Atlantica allargata. L’impegno
comune non cancellava le divergenze ideologiche né strategiche: dove collocare il
secondo fronte in Europa? Stalin proponeva a nord per alleggerire la pressione tedesca
sull’Urss ma alla fine vinse Churchill che voleva prima chiudere la partita in Africa e
sbarcare nell’Europa meridionale. Precisamente in Italia, secondo la conferenza di
Casablanca del ’43. Nella stessa conferenza, gli anglo-americani per rassicurare i russi
sulla serietà dell’impegno preso, si accordarono sul principio della resa incondizionata: il
conflitto non si poteva chiudere se non con la vittoria totale, senza patteggiamenti.
L’Italia: la caduta del fascismo e l’8 settembre
Nell’estate del ’43 i primi contingenti anglo-americani sbarcavano in Sicilia e in poche
settimane s’impadronivano dell’isola, mal difesa da truppe convinte della sconfitta. Lo
sbarco rappresentò il colpo di grazia per il regime fascista che era già stato screditato
dagli insuccessi militari. Il malcontento, poi, era già stato espresso dagli scioperi operai di
marzo che avevano interessato tutti i centri industriali del nord: fu la prima vera protesta di
massa del periodo fascista, legata al caro-vita, ai disagi alimentari e alla crisi. La caduta di
Mussolini però non avvenne per le proteste popolari o per le iniziative antifasciste, ma fu
frutto della congiura monarchica. Il re e le componenti moderate del regime (e alcuni
esponenti del mondo politico prefascista) volevano salvare la monarchia. Così nella notte
tra il 24 e il 25 luglio del ’43, durante la riunione del Gran consiglio del fascismo, Dino
Grandi invitò il re a riassumere le sue funzioni di comandante supremo delle forze armate;
ottenne la maggioranza del parlamento. Il 25 luglio Vittorio Emanuele III poté chiedere le
dimissioni di Mussolini che fu arrestato e sostituito da Pietro Badoglio, l’ex comandante
delle forze armate. La gente si riversò nelle strade sfogando il proprio risentimento contro i
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simboli del fascismo e non ci furono violenze: il partito privo di autonomia e d’iniziativa
politica si era sfaldato ancora di più durante gli anni di guerra. L’uscita dal conflitto fu più
tragica della guerra stessa. I tedeschi, che avevano inviato contingenti per aiutare gli
italiani contro gli anglo-americani, si trovarono a punire l’ormai prevedibile defezione. Il
governo Badoglio assicurò l’intervento bellico italiano ma intanto allacciava trattative
segrete con gli alleati (UK-Usa) per avere una pace separata. Ma gli anglo-americani
erano legati all’impegno della “resa incondizionata” e c’era poco da trattare. Venne dunque
sottoscritto un atto di resa senza nessuna garanzia per il futuro, armistizio reso noto l’8
settembre, in coincidenza con lo sbarco di un contingente alleato a Salerno.