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EVOLUZIONE ECONOMICO SOCIALE DEL QUADRO
I mutamenti legati al nuovo imperialismo e politica di potenza devono tenere conto della
grande esplosione demografica del continente europeo tra fine XIX e inizio XX secolo:
questa è utilizzata per espandersi fuori dal contesto internazionale (devono trovarsi nuovi
impieghi, ecc).
Nel 1901 l’Europa aveva 420 milioni di abitanti: in mezzo secolo l’aumento della
popolazione era stato del 54%. Gli exploits migliori erano stati quello della Russia e secondo
posto Germania; a parte la parentesi di crisi, l’Europa diventa motore economico finanziario
del mondo: diventa preponderante per la produzione di carbone, il commercio mondiale
(oltre il 65% del commercio mondiale è europeo, quello degli Stati Uniti in questo
momento è del 12%, il 22% è del resto del mondo).
La parte commerciale viene maggiormente gestita dal Regno Unito, ma la potenza
emergente è senza dubbio la Germania.
I paesi europei comprano materie prime a basso costo rivendendo i propri manufatti a cifre
alte, ed in regime di dazi doganali sarà importante avere aree di sfogo imperiali.
Un altro grande primato del XX secolo: quello dei le grande potenze che investono
capitali,
all’estero sono quelle europee, in particolare Londra, Parigi e Berlino: la prepotente
irruzione statunitense si vedrà già dopo la prima guerra mondiale, ed in maniera definitiva
dopo il 1945 (Wall Street).
Se vediamo gli indici di progressione, nel primi cinque anni del 900 la Germania è al
primissimo posto, davanti anche al Regno Unito: la Gran Bretagna ed il suo modello
avevano un problema, cioè che il sistema così aperto e così competitivo portava chiaramente
al nascere di nuovi players, che possono competere e superare anche lo stesso Regno Unito
che l’ha inventato.
C’era anche un discorso filosofico culturale dietro questo tema della Weltpolitik: c’era il
discosto sul destino tedesco, c’è una forte spinta di questo, una Germania al contempo
modernissima ma che vuole fare tutto questo con un sistema per certi aspetti arcaico. Il
protezionismo viene esteso alle aree coloniali, quindi è evidente che il protrarsi della
chiusura con i dazi non è più il modello aperto e liberal liberista di matrice britannica, non
c’è un rapporto cooperativo fra nazioni: il sistema si fa sempre più combattivo, selettivo, e c’è
un netto legame tra un certo tipo di nazionalismo, un certo tipo di protezionismo e
imperialismo.
Anche in questa nuova costruzione coloniale cominciano a comparire giustificazioni
intellettuali al colonialismo: la supremazia bianca, ecc.
Potremmo dire che la Weltpolitik diventa quasi una sorta di obbligo se vuoi essere una
nazione che sposa il novecento.
La weltpolitik come obbligo la possiamo anche leggere come una sorta di risposta ad un
certo fastidio nei confronti di quella che veniva definita la “pax britannica”, la quale aveva
garantito un certo tipo di tranquillità.
La Weltpolitik fu una strategia politica più aggressiva della Realpolitik e portò a diversi
conflitti fra la Germania ed altre nazioni. Ebbe una grande parte di responsabilità nelle crisi
diplomatiche fra grandi potenze che condussero alla prima guerra mondiale.
La Weltpolitik mirava a cercare "un posto al sole" per la Germania proporzionale alla sua
crescente forza industriale, e questo principalmente sviluppando un impero coloniale che
potesse rivaleggiare con quelli delle altre grandi potenze. L'elemento più importante in
questa strategia era la costruzione della Hochseeflotte: la Flotta d'alto mare, che avrebbe
dovuto eguagliare o anche superare la Royal Navy del Regno Unito. Questo portò ad una
corsa agli armamenti navale germano-britannica dove ciascuno tentò di superare le
corazzate dell’altro.
Da più parti, la Weltpolitik è stata considerata come il successore naturale del nazionalismo
che ha influenzato una parte recente della storia della Germania. Il nazionalismo si
concentrava sull'unificazione politica della Germania. Quando questa divenne effettiva, i
nazionalisti tedeschi cercano di accrescere il potere della Germania sul piano internazionale,
e per loro sviluppare un impero coloniale era un punto essenziale per arrivarci.
9 marzo
Ci troviamo sul finire dell’800, con quella dinamica imperiale cosi centrale nel dibattito
delle leadership politiche sul finire del XIX secolo.
Punto di vista concettuale su questa fase, per certi aspetti politico filosofico: la fine dell’800,
inizio del 900 segna l’avvento della società di massa, in tutto per larga parte veicolato
dall’impetuoso sviluppo industriale, tecnologico: strutturazione sempre maggiore della
classe operaia che porta con sé una prima forma embrionale di stratificazione della classe
media. Ci sono passi in avanti del sistema di scolarizzazione e allargamento del suffragio, ed
il punto è che si va verso la creazione di una DIMENSIONE DI MASSA DELLA POLITICA, con il
consolidarsi di partiti politici con una nuova formazione e strutturazione: dall’ottocentesco
PARTITO DI NOTABILI, senza un’effettiva partecipazione a causa del suffragio ristretto, alla
nascita del PARTITO MACCHINA con il modello della socialdemocrazia tedesca; tutto questo
fa parte di quel processo di POLITICIZZAZIONE DELLE MASSE che subirà la decisiva
accelerazione dopo la Grande Guerra: il fatto di aver combattuto nelle trincee o nel mondo
femminile aver surrogato gli uomini nelle industrie, porterà alla richiesta di allargamento
del suffragio.
Non dobbiamo dimenticare il nazionalismo che nella fase della prima metà dell’800 ha una
visione romantica: però quel tipo di nazionalismo nella fase tardo ottocentesca di fine
ottocento assume una connotazione imperialistica e spesso ANTIDEMOCRATICA; ciò che si
diffonde è un’ideologia nazionalimperialista che si nutre delle teorie evoluzionistiche
darwiniane, con il principio della sopravvivenza del più adatto esteso agli esseri umani,
delle razze inferiori che devono soccombere a quelle superiori —> deriva e lettura distorta e
strumentale dei grandi scritti.
Questa distorsione avviene con due autori in particolare, che portano ciò alla massima
deriva: Arthur de Gobineau, che arriva nel suo “Essai sur l'inégalité des races humaines” a
teorizzare senza alcuna base scientifica la superiorità della razza bianca su tutte le altre
(esempio di distorsione delle teorie darwiniane); altro autore in questo senso è
Chamberlain, scrittore e filosofo britannico naturalizzato tedesco, il quale si sofferma su
questa idea delle popolazioni germaniche come superiori, fatti che verrano ulteriormente
teorizzati in epoca nazista (opera più importante: I fondamenti del diciannovesimo secolo).
Questa deriva ideologica nazional imperialista utilizza quindi anche una produzione
intellettuale di vasta dimensione; ancora dal punto di vista filosofico assistiamo - in una
cultura illuministica, fondata sul positivismo - ad un cambiamento della linea tradizionale,
che non sembra più sufficientemente adeguata; alla crisi del positivismo fa da contraltare
l’affermarsi di nuove dottrine filosofiche irrazionalistiche, vitalistiche: Nietzsche,
rappresentante più emblematico di questo cambiamento, o la figura fondamentale di Freud
che con il suo studio sull’inconscio e simbolo dell’importanza dell’irrazionale si fa portavoce
di questa nuova linea.
Dottrine interpretative del reale con il quale si apre il nuovo secolo: ad un Ottocento per
certi versi pacifico, all’interno del quale sono fondamentali i concetti di progresso, si
sostituisce il Novecento e la lotta di tutti contro tutti, che ha una conseguenza importante dal
punto di vista politico, con il declino inarrestabile del vecchio ordine costituzionale, fondato
sui pilastri del vecchio costituzionalismo liberale, il quale sembra avere sempre più difficoltà
nel rapportarsi con la politicizzazione delle masse.
Tutto ciò si sviluppa in quella fase definita “crisi di fine secolo”, partendo dal contesto
italiano: da un punto di vista generale, in tutta Europa sul finire del 800 vi è un contrasto tra
i difensori di un sistema politico aperto sui sistemi di parlamentarismo e difensori di un
sistema esecutivo che vede la centralità del sovrano (lettura britannica contro quella
tedesca).
In Italia arriva in questi anni un nuovo Presidente del consiglio (Pelloux) che si trova a
gestire un dibattito rappresentato dal ministro Sidney Sonnino (deputato della destra
storica), il quale nel 1897 nella Nuova Antologia scrive un articolo, “Torniamo allo statuto”:
denunciò l'inefficienza delle istituzioni e le reciproche ingerenze dei poteri fra governo e
Parlamento.
Secondo Sonnino la grave situazione si sarebbe risolta, semplicemente, applicando la carta
costituzionale dello Statuto Albertino allora in vigore. Quest'ultimo prevedeva, infatti, che il
potere esecutivo fosse di competenza del Re quale unico tenutario delle sorti del governo.
L'esecutivo si sarebbe così svincolato dall'influsso negativo dei giochi parlamentari.
L'articolo ebbe grande risonanza ma non un seguito legislativo, poiché sarebbe stato
impopolare e anacronistico tornare a istituzioni che non contemplassero un controllo del
governo da parte del Parlamento. Sonnino sta dicendo che quella che si sta diffondendo è
una lettura parlamentarista dello statuto albertino, quando al contrario ci dovrebbe essere
una lettura che delega il potere esecutivo nelle mani del sovrano: egli è per un ritorno alla
rigida lettura dello statuto albertino, auspicando una restaurazione degli antichi poteri del
re, e l’articolo nutre la speranza di richiamare all’appello tutta quella parte di liberali e
conservatori per la costituzione di un grande partito anticlericale e antisocialista.
Tutto ciò nella primavera del 1898 dà luogo ad una risposta durissima da parte delle
istituzioni: a Milano l’esercito spara sulla folla in protesta, e si va sempre più verso una svolta
autoritaria ( —> rivolta di una parte della popolazione di Milano contro il
I moti di Milano
governo, che si svolse tra il 6 e il 9 maggio del 1898. Gli scontri avvennero a seguito di
manifestazioni da parte di lavoratori che scesero in strada contro la polizia e i militari per
protestare contro le condizioni di lavoro e l'aumento del prezzo del pane dei mesi
precedenti, come avvenne anche in altre città italiane nello stesso periodo.
Gli avvenimenti furono considerati parte della reazione conservatrice alla svolta politica in
atto all'epoca in Italia, «un colpo di coda, l'ultimo sussulto degli ambienti retrivi di Corte,
della destra liberale incline al