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Rotary, che non era solo l’inglese. In Europa vigevano 4 lingue ufficiale e altre 5 ufficiose, anche l’importante
traduzione dei principi fondamentali del Club fu oggetto di contesa, a partire dalla traduzione del termine
chiave di “servizio”, che assumeva colorazioni e declinazioni diverse per ogni Club nazionale che lo
interpretava.
Rigido fu anche il rapporto tra il Rotary e le istituzioni religiose, specialmente il Vaticano, che nel 1928 lo
denuncia di volersi appropriare il potere di interpretare autonomamente la legge morale dell’uomo, compito
secolare della Chiesa Cattolica. La dirigenza Rotary riuscì a sgusciare fuori dall’accusa grazie ad una campagna
di pubbliche relazioni, richiamando al buon senso e al rispetto per la libertà di pensiero, enunciando che
l’appartenenza al Rotary non interferiva con qualunque credo gli iscritti volessero perseguire.
La fine del Rotary in Europa giunse negli anni ‘30, prima della sua riscoperta negli anni ’90, e fu inevitabile.
Coniugare la fede patriottica e nazionalista chiesta e pretesa dei governi nazionali con la fede internazionalista
tipicamente rotariana era impossibile (l’Italia provò a farlo ma fallì). I Rotariani vennero quindi messi alla
berlina dalla stampa nazionale, costretti a sciogliere l’associazione sul suolo Europeo con la scusa secondo la
quale “il governo nazionale ha raggiunto tali vette di perfezione nelle sue funzioni pubbliche, che i servizi del
Rotary Club non sono più necessari”.
- Capitolo 2: Uno standard di vita decoroso
Con il crescente internazionalizzarsi dei modelli culturali, lo standard di vita diventò oggetto di contesa tra
grandi potenza in competizione per l’egemonia mondiale. America ed Europa non condividevano però la
stessa visione sullo standard di vita. Da un lato, l’Europa era soggetta ad un retaggio borghese di distinzioni
sociali ed economiche incolmabili e a discriminazioni etnico-sociali legalizzate, dall’altro lato l’America poneva
nel potere d’acquisto individuale, nelle politiche di alti salari e nel largo accesso a beni di consumo un termine
di confronto sociale autonominatosi democratico ed egualitario.
La prima e rivoluzionaria inchiesta che si poneva l’obiettivo di paragonare gli standard di vita delle due sponde
dell’atlantico fu l’inchiesto Ford-Oil. La Ford, che si apprestava ad aprire stabilimenti nel Vecchio Continente,
chiese alla Oil (Organizzazione Internazionale del Lavoro) un’inchiesta che permettesse di comprendere a
quanto sarebbe dovuto ammontare lo stipendio di un operaio francese, tedesco, ecc. per permettergli di
condurre uno standard di vita paragonabile a quello degli operai di Detroit. Fino ad allora nessuno si era mai
sognato di parlare di “standard di vita europeo”, tantomeno francese, tedesco, italiano o …, tantomeno
assumendo a termine unico di confronto per il continente una cittadina come quella di Detroit.
La relazione impiegò due anni e mezzo per essere completata nel 1931. Possiamo da essa trarne due
conclusioni: 1) i due stili di vita erano sostanzialmente imparagonabili: mentre un operaio americano
spendeva molto in vestiario, aveva una dieta varia e abbondante, viveva in ampie case unifamiliari e si
riforniva spesso di una grande gamma di elettrodomestici; l’operaio europeo vestiva abiti cuciti in casa,
mangiava poco e male, intere famiglie vivevano in due o tre anguste stanze e la passione degli
elettrodomestici era cosa rara perfino nella borghesia. 2) ci sono moltissimi motivi per cui i risultati di questa
indagine vanno presi coi guanti. Innanzitutto non prevedeva una correlazione tra qualità, ma solo quantità,
un filone di pane americano veniva quindi assunto come equivalente di una baguette francese. Al termine
della ricerca l’America era nel centro di una grave crisi che aveva radicalmente cambiato gli assetti presi in
considerazione due anni prima. In sostanza, i due continenti avevano due culture del mercato marcatamente
diverse, e mentre gli Europei parlavano degli americani come “viziosi di distruggere ogni qualità riducendola
a un valore monetario”, gli Americani accusavano gli europei di snobismo, inettitudine scientifica e ipocrisia
sociale.
Il nuovo stile di vita in America veniva vissuto in una situazione di distensione sociale, a fronte del persistenza
retaggio di classe europeo, portando il possesso dei beni ad essere l’unico indicatore di status nella società,
per cui “per essere come tutti gli altri” significava “avere ciò che tutti gli altri già hanno”. L’introduzione della
remunerazione in denaro in America, sostituendo le precedenti forme di paternalismo capitalista, poneva il
cittadino in condizione di poter e dover gestire autonomamente il proprio capitale, finendo per dilaniarlo in
periodi di vacca grassa e proteggendolo in periodi di vacca magra. In una condizione poi in cui l’America
poteva godere del triplo dell’espansione territoriale europea al netto di un terzo dei suoi abitanti, il risultato
fu la creazione del mercato interno più vasto e diramato al mondo, portando a far sorgere nel proletario una
coscienza consumistica mai vista in Europa. In sostanza, alle Classi Sociali europee si confrontavano ora le
Classi di Consumo americane. Con ciò ogni istanza di carattere sociale o sindacale (redistribuzione della
ricchezza, riqualificazione dei sistemi) veniva sostituita da istanze d’innalzamento del potere d’acquisto.
L’espansione del potere d’acquisto tanto decantata in America trovò difficile istanza in Europa, in cui perfino
i sindacalisti la ritenevano inopportuna. Ciò derivava dal lignaggio cristiano-medievale europeo, per cui i
consumi che andassero oltre lo strett(issim)o indispensabile erano bollati come ingordi e superflui, per cui
persino i sindacalisti non riuscivano a superare il blocco della domanda: cosa ne avrebbero fatto le masse di
tutto il potere d’acquisto che acquisirebbero? Tra il minimo indispensabile (cibo e vestiti) e il massimo del
lusso d’epoca (un automobile) nessuno riusciva a figurarsi cosa si poteva stagliare nel mezzo.
Negli anni ’30 l’unica nazione europea che si ergeva ad autoproclamatisi alternativa all’espansione americana
fu, tristemente, la Germania nazista, con le terribili conclusioni che tutti conosciamo.
- Capitolo 3: Le catene di negozi a prezzo fisso
Stando alle parole del filantropo e commerciante di spicco Edward Filene, il principale problema economico
con il quale doveva fare i conti il mondo industrializzato riguardava la distribuzione di merci sfornate da una
produzione virtualmente inesauribile. I problemi delle aziende non erano quindi gli eccessi di produzione, ma
le falle nella distribuzione della merce prodotta.
Nel momento in cui la produzione supera la domanda, i dettaglianti ebbero una ghiotta occasione. Potevano
sfruttare la concorrenza tra industrie e mettere a frutto la propria esperienza commerciale per soddisfare al
meglio il consumatore in varietà, convenienza e servizi. Per fare ciò, sosteneva sempre Filene, occorrevano
tre prerogative: 1) un uso più razionale del capitale, 2) un miglior addestramento e organizzazione della forza
vendite e 3) lo sviluppo della miglior prassi commerciale possibile. Ad incarnare questi tre valori ci pensarono
le neonate Catene di negozi.
Queste nuove macchine di vendita riuscivano a trarre notevoli profitti grazie a voluminosi acquisti
direttamente dal produttore, una standardizzazione degli spazi vendita, una contrazione del numero di articoli
in vendita e una buona semplificazione dei listini dei prezzi. Ma avrebbe potuto questo meccanismo attecchire
in Europa?
In verità, no. Il commercio europeo era, fin dall’ascesa del capitalismo, contraddistinto da un duplice volto.
Da una parte, i Grandi Magazzini erano l’emblema del profitto capitalista borghese, diffusi soprattutto in
Europa nordoccidentale (dove la distribuzione di ricchezza era più elevata). Queste “cattedrali del commercio”
ribadivano ancora di più la netta separazione tra i quartieri frequentati dalle classi agiate ed i tetri e tristi
quartieri delle classi meno abbienti. Dall’altro lato, le comunità di piccoli negozianti costituivano la larghissima
base della piramide economica, forti del minimonopolio sulla clientela locale, fedele a causa dell’impossibilità
di mobilità. Questi piccoli esercenti dimostrarono una tenacissima resistenza ai fenomeni economici e sociali,
frutto ad esempio dell’antinomia nel trattamento dei clienti: nei grandi magazzini la discriminazione
all’interno della stessa classe borghese era dilagante ed il rapporto cliente-commesso rasentava quello del
padrone-servo. Al contrario, nelle piccole botteghe, i clienti venivano trattati con la tipica cordialità locale tra
concittadini, gli veniva permesso di fare credito o di farsi portare la spesa fino a casa. Il prezzo poi, mentre nei
grandi magazzini era “fisso” (fedelmente riportato su di un cartellino per ogni oggetto in vendita, a voler
rimarcare non solo l’abbondanza dell’offerta ma anche l’unicità di ogni prodotto), nelle piccole botteghe
veniva fissato dal metro del “giusto profitto”, il margine di guadagno dell’esercente era quindi stabilito nel
solo necessario per sostenere il commerciante e la sua famiglia.
Ciò che veramente riuscì ad attecchire in seno europeo, furono i cosiddetti Bazar. Conosciuti in America come
five-and-dime, e portati in auge dall’impressionante espansione della catena “Woolworth”, questa tipologia
di vendita al dettaglio poté contare su numerosi punti di forza che portarono a più di 12 mila punti vendita in
Europa entro la metà degli anni ’30. In primo luogo, i prezzi erano fissati a mai più di 5 o 6 importi diversi
(spesso solo 2 o 3), che davano l’impressione di offrire il proprio assortimento al minor prezzo possibile;
l’assistenza in loco era ridotta allo strettissimo necessario; al contrario dei grandi magazzini, che prediligevano
siti storici o paesaggistici per erigere i loro punti vendita, queste catene di negozi si diramavano nelle zone a
densità d’abitanti più elevata, anche se ciò voleva dire una lontana periferia; riuscirono inoltre ad attirare una
clientela estremamente variegata, che né grandi magazzini né piccoli esercenti potevano eguagliare.
Questo nuovo orizzonte di mercato, tuttavia, causò violente riscosse reazionarie nel Vecchio Mondo. Entro il
1937, quasi tutti i paesi d’Europa si erano forniti di leggi apposite per ostacolare la diffusione delle catene di
negozi. In realtà, la presenza delle grandi catene non doveva necessariamente comprendere l’annichilimento
dei piccoli esercenti, tuttavia esse finirono per rappresentare l’emblema del grande capitale e del vizioso
cosmopolitismo americano (ed ebreo), f