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DELL’OTTOCENTO.
Nella prima metà dell’800, migliaia di minori furono affidati anonimamente ai brefotrofi. L’affievolimento dei
vincoli della famiglia tra i poveri era considerato contemporaneamente sia causa ed effetto della facilità con
la quale i genitori legittimi si separavano dai loro neonati. Abbandonati a se stessi da noncuranti famiglie
biologiche o allevati come figli di nessuno da famiglie affidatarie, cresciuti senza affetti ed educazione, i figli e
le figlie dei poveri, una volta divenuti adulti, si sarebbero trasformati in pericolosi nemici della società. Il Pio
Istituto di Maternità di Milano fu fondato nel 1850. In una città dove l’abbandono dei neonati al brefotrofio
era da tempo fenomeno sempre più grave. Il Pio Istituto svolse un ruolo importante, ma forse più che per la
dimensione degli interventi realizzati, per la novità del progetto e per l’impatto che esso ebbe sull’opinione
pubblica. La novità dell’opera Pia consisteva non tanto, o non solo, nel tentativo di offrire una risposta a
un’emergenza sociale, ma nel dare concretezza alle tensioni ideali che, provenienti da ispirazioni diverse
trovavano un denominatore comune nella volontà di avviare, grazie alla condivisione dei beni materiali e
spirituali, un processo di “rigenerazione” dell’intero tessuto sociale. Giuseppe Sacchi, Laura Solera
Mantegazza e Ismenia Sormani Castelli, Mosè Rizzi, e Federico Castiglioni si aspettavano dalla presenza dei
presepi non solo un beneficio transitorio ma un beneficio permanente. Questo significava educare le madri
del popolo a svolgere adeguatamente il loro dovere di nutrizione e cura infantile. Dopo la chiusura della ruota
milanese (1868), il Pio Istituto non esaurì non esaurì la propria funzione ma dovette potenziarla. Altre sfide
provennero non solo dall’evoluzione demografica ed economica della città, ma anche dalla presenza di
antiche consuetudini e dall’emergere di nuovi comportamenti, come ad esempio il ricorso al baliatico
mercenario.
A metà 800 gli osservatori sociali deploravano il fatto che i genitori milanesi considerassero come un loro
diritto consegnare liberamente i figli alla Pia Casa degli esposti e delle partorienti in Santa Caterina alla ruota.
Buffini denunciava, con l’aiuto di un’ampia documentazione statistica, il drammatico incremento numerico
dei neonati legittimi che ogni anno venivano deposti nella ruota dell’ospizio. La Pia Casa non accoglieva solo
i trovatelli provenienti dalla città e dall’ex Ducato, ma concedeva il baliatico gratuito a diverse categorie di
neonati legittimi. Venivano infatti accolti per sedici mesi sia gli infanti che avevano la madre malata in
ospedale, sia quelli che erano orfani di madre o che avevano un fratello gemello, e infine, quelli che avevano
la madre che non poteva allattare. Nel 1840 con un decreto governativo fu avviata la distribuzione di sussidi
materni da parte dei Luoghi Pii elemosinieri. Il decreto imponeva alla direzione dei Luoghi Pii di istituire sussidi
a favore delle madri indigenti “imponenti ad allattare”, perché potessero avvalersi di nutrici mercenarie. La
somma destinata alle puerpere povere milanesi era del tutto inadeguata ai bisogni. A volte erano anche
concessi senza verificare se esse allattassero personalmente i loro neonati. Il direttore Buffini, uno dei primi
ad auspicare la chiusura della ruota per la consegna anonima dei neonati, già nel 1844 aveva rilevato gli effetti
positivi provocati dall’apertura nel 1836 degli Asili di carità per l’infanzia. Gli asili erano destinati al ricovero
giornaliero dei bambini poveri già svezzati, dai due anni e mezzo ai sei. Questo permetteva a molti genitori
sposati di non rinviare troppo a lungo il ritiro dei loro figli consegnati al brefotrofio poco dopo la nascita. Gli
esperti milanesi non vedevano nei nidi un “rimedio universale” con cui colmare l’esposizione dei nati poveri,
ma solo un mezzo per offrire “luoghi di temporaneo rifugio per quei poveri pargoli. Prima di proporre
l’apertura delle Crèches a Milano la commissione volle tuttavia appurare sia quali fossero le condizioni in cui
venivano allevati i neonati milanesi, sia in quale misura tra i ceti sociali si facesse ricorso all’allattamento
materno, al baliatico mercenario e all’esposizione. L’indagine rivelò le “deplorabilissime” condizioni abitative
delle famiglie povere milanesi, sia le “barbare consuetudini” diffuse tra le donne del popolo ignare di
provvidenza igenica. I bambini bisognosi di sorveglianza e di educazione erano spesso coinvolti in gravi
incidenti domestici.
Nel porre la questione dell’assistenza infantile, Sacchi, seguendo l’esempio della pubblicistica francese,
intendeva procedere con l’analisi del vasto universo della beneficenza milanese e lombarda. Nel 1849 Sacchi,
proponeva due riforme che avrebbero permesso di realizzare “immensi benefici” economici e morali, e senza
le quali l’istituzione dei presepi diurni per i lattanti avrebbe avuto un’efficacia parziale. La prima riforma
consisteva nel limitare la beneficenza del brefotrofio ai soli figli naturali, chiudendo la ruota e subordinando
l’accettazione dei neonati alla presentazione di un certificato di nascita anonimo, come già si faceva ad
esempio in Francia. Sacchi era favorevole sia al processo di pubblicizzazione delle istituzioni assistenziali, sia
all’intervento diretto dello Stato in questa materia, la spesa mantenimento degli esposti si sarebbe dovuta
porre a carico dell’erario come avveniva in Francia, Germania e in Russia, se non per intero, almeno per la
parte eccedente le rendite degli ospizi. Il “beneficio morale” che sarebbe derivato da questo primo intervento
consisteva non solo nell’eliminare l’esposizione dei figli legittimi ma anche nell’ottenere “l’assoluta
separazione” fra prole legittima e illegittima. La seconda riforma consisteva nell’introduzione di “pensioni di
baliatico”. Le pensioni, delle quali avrebbero dovuto farsi carico i Luoghi Pii Elemosinieri, avrebbero dovuto
permettere sia alle madri povere “impotenti ad allattare” di pagare una nutrice, sia alle operaie “allattanti” di
compensare il salario perduto a causa delle assenze dal lavoro. Sacchi riconosceva nei sussidi molti meriti ,
tra cui quello di garantire al bambino povero la “migliore tra le culle”, cioè le “braccia di sua madre”, e perfino
nel caso in cui gli aiuti economici fossero stati assegnati per il baliatico mercenario, non sarebbero mancati
gli esiti morali. Sacchi riteneva che lasciare alle madri povere la responsabilità nella scelta delle nutrici le
avrebbe costrette a prendersi cura dei loro figli. Le crèches avrebbero contribuito sia a rinsaldare i legami fra
madri e figli nelle classi popolari, sia grazie alla presenza dei medici e di altre persone caritevoli, a educare le
donne alla “paziente cura dell’allattamento e divezzamento dei bimbi”. I nidi sarebbero così divenuti delle
vere scuole di maternità. Dunque grazie ai nidi, le donne sarebbero divenute il tramite per divulgare il nuovo
ideale romantico di famiglia coniugale intima, centrato sul ruolo educativo e affettivo della figura materna,
ma anche il mezzo privilegiato per avviare un percorso di conciliazione sociale. Solera non accettava di limitare
la valorizzazione del legame materno alle donne sposate. Persistere nel “duro ostracismo” contro i figli nati
fuori dal matrimonio ed escluderli dai nidi avrebbe significato rinnegare le “inspirazioni più alte della civile
sapienza, e della carità evangelica che li muove”.
Per la realizzazione del progetto formulato dalla Commissione della Società d’incoraggiamento, Laura Solera
utilizzò i fondi residui della raccolta promossa per sussidiare i volontari del 1848. Il 15 giugno Solera potè
inaugurare in via sperimentale il primo asilo-nido. Il ricovero, che era in grado di ospitare circa 24 lattanti e
un numero doppio di slattati, fu aperto in Contrada di Santa Cristina, in una casa di proprietà dell’Opera Pia
asili di carità per l’infanzia. Il secondo nido, aperto nell’agosto 1851 in zona Porta Ticinese, ebbe sede in Borgo
Santa Croce, che poteva ospitare circa 24 lattanti e 90 divezzi. Dal 1874, l’anno seguente la scomparsa di Laura
Solera, il ricovero II fu affiancato, secondo la volontà della stessa Solera, da un altro nido(IV). Da quel
momento i due ricoveri di Porta Ticinese ebbero quest’ultima come unica sede: l’edificio era capace di
accogliere più di duecento bambini. Lo stabile, oltre a disporre di uno spazioso giardino e di ampie sale “ben
esposte e ben ventilate”, presentava una condizione igienica esemplare. I due nidi di Porta Ticinese
mantennero denominazioni (II e IV), ingressi e registrazioni separati fino al 1910, quando furono fusi e
trasferiti in via Tibaldi. Le prime crèches non furono dunque collocate nelle aree del centro storico, ma nei
quartieri nei quali vivevano gli operai e dove vi erano gli opifici che impiegavano le donne. Se i nidi I,II e IV
ebbero vita duratura, non fu così per il III, che sembrava essere il ricovero collocato nella migliore posizione
strategica, a fu chiuso per mancanza di richieste da parte delle operaie. Esse erano vincolate da lunghi e rigidi
orari di lavoro, incompatibili con le assenze richieste per andare al nido ad allattare. Impegnate in fabbrica nei
giorni feriali, non avevano energie sufficienti per accudire i piccoli durante la notte, dopo il ritiro dal nido.
Preferivano quindi affidare i loro neonati alla balie di campagna. Ebbe invece successo un quarto ricovero,
chiamato III dopo il fallimento del precedente, e destinato soprattutto alle erbivendole che lavoravano ai
banchi del mercato di frutta e verdura. Fra il 1885 e il 1910, le quattro crèches divennero cinque. Nel 1885
infatti fu inaugurato l’ultimo ricovero. L’apertura del nuovo ricovero, non fece aumentare in modo significativo
il numero complessivo degli iscritti, ma ne richiamò molti dalle altre sedi, e divenne il più frequentato della
città. I nidi infine tornarono ad essere quattro nel 1910.
Le crèches milanesi accoglievano, separatamente in due distinte sale, ogni giorno non festivo e dalla mattina
alla sera, due categorie di bambini, figli di lavoratrici povere, purchè non affetti da malattie: i lattanti con più
di quindici giorni d’età e gli slattati fino ai due anni e mezzo. L’opera pia aveva lo scopo principale quello di
riavvivare nei poveri gli affetti domestici. Le disposizioni interne prevedevano che i lattanti accolti nei nidi
dovessero essere nutriti al seno dalle madri, mentre nell’accettazione dei divezzi si dava la preferenza ai bimbi
che non erano stati affidati a una ba