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Riassunto esame Storia contemporanea, Prof. Bressan Edoardo, libro consigliato Una vita per l'infanzia - Il Pio Istituto di Maternità di Milano: una esperienza di 150 anni, Davide Boati, Rosario Cavallo, Giorgio Uberti Pag. 1 Riassunto esame Storia contemporanea, Prof. Bressan Edoardo, libro consigliato Una vita per l'infanzia - Il Pio Istituto di Maternità di Milano: una esperienza di 150 anni, Davide Boati, Rosario Cavallo, Giorgio Uberti Pag. 2
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DELL’OTTOCENTO.

Nella prima metà dell’800, migliaia di minori furono affidati anonimamente ai brefotrofi. L’affievolimento dei

vincoli della famiglia tra i poveri era considerato contemporaneamente sia causa ed effetto della facilità con

la quale i genitori legittimi si separavano dai loro neonati. Abbandonati a se stessi da noncuranti famiglie

biologiche o allevati come figli di nessuno da famiglie affidatarie, cresciuti senza affetti ed educazione, i figli e

le figlie dei poveri, una volta divenuti adulti, si sarebbero trasformati in pericolosi nemici della società. Il Pio

Istituto di Maternità di Milano fu fondato nel 1850. In una città dove l’abbandono dei neonati al brefotrofio

era da tempo fenomeno sempre più grave. Il Pio Istituto svolse un ruolo importante, ma forse più che per la

dimensione degli interventi realizzati, per la novità del progetto e per l’impatto che esso ebbe sull’opinione

pubblica. La novità dell’opera Pia consisteva non tanto, o non solo, nel tentativo di offrire una risposta a

un’emergenza sociale, ma nel dare concretezza alle tensioni ideali che, provenienti da ispirazioni diverse

trovavano un denominatore comune nella volontà di avviare, grazie alla condivisione dei beni materiali e

spirituali, un processo di “rigenerazione” dell’intero tessuto sociale. Giuseppe Sacchi, Laura Solera

Mantegazza e Ismenia Sormani Castelli, Mosè Rizzi, e Federico Castiglioni si aspettavano dalla presenza dei

presepi non solo un beneficio transitorio ma un beneficio permanente. Questo significava educare le madri

del popolo a svolgere adeguatamente il loro dovere di nutrizione e cura infantile. Dopo la chiusura della ruota

milanese (1868), il Pio Istituto non esaurì non esaurì la propria funzione ma dovette potenziarla. Altre sfide

provennero non solo dall’evoluzione demografica ed economica della città, ma anche dalla presenza di

antiche consuetudini e dall’emergere di nuovi comportamenti, come ad esempio il ricorso al baliatico

mercenario.

A metà 800 gli osservatori sociali deploravano il fatto che i genitori milanesi considerassero come un loro

diritto consegnare liberamente i figli alla Pia Casa degli esposti e delle partorienti in Santa Caterina alla ruota.

Buffini denunciava, con l’aiuto di un’ampia documentazione statistica, il drammatico incremento numerico

dei neonati legittimi che ogni anno venivano deposti nella ruota dell’ospizio. La Pia Casa non accoglieva solo

i trovatelli provenienti dalla città e dall’ex Ducato, ma concedeva il baliatico gratuito a diverse categorie di

neonati legittimi. Venivano infatti accolti per sedici mesi sia gli infanti che avevano la madre malata in

ospedale, sia quelli che erano orfani di madre o che avevano un fratello gemello, e infine, quelli che avevano

la madre che non poteva allattare. Nel 1840 con un decreto governativo fu avviata la distribuzione di sussidi

materni da parte dei Luoghi Pii elemosinieri. Il decreto imponeva alla direzione dei Luoghi Pii di istituire sussidi

a favore delle madri indigenti “imponenti ad allattare”, perché potessero avvalersi di nutrici mercenarie. La

somma destinata alle puerpere povere milanesi era del tutto inadeguata ai bisogni. A volte erano anche

concessi senza verificare se esse allattassero personalmente i loro neonati. Il direttore Buffini, uno dei primi

ad auspicare la chiusura della ruota per la consegna anonima dei neonati, già nel 1844 aveva rilevato gli effetti

positivi provocati dall’apertura nel 1836 degli Asili di carità per l’infanzia. Gli asili erano destinati al ricovero

giornaliero dei bambini poveri già svezzati, dai due anni e mezzo ai sei. Questo permetteva a molti genitori

sposati di non rinviare troppo a lungo il ritiro dei loro figli consegnati al brefotrofio poco dopo la nascita. Gli

esperti milanesi non vedevano nei nidi un “rimedio universale” con cui colmare l’esposizione dei nati poveri,

ma solo un mezzo per offrire “luoghi di temporaneo rifugio per quei poveri pargoli. Prima di proporre

l’apertura delle Crèches a Milano la commissione volle tuttavia appurare sia quali fossero le condizioni in cui

venivano allevati i neonati milanesi, sia in quale misura tra i ceti sociali si facesse ricorso all’allattamento

materno, al baliatico mercenario e all’esposizione. L’indagine rivelò le “deplorabilissime” condizioni abitative

delle famiglie povere milanesi, sia le “barbare consuetudini” diffuse tra le donne del popolo ignare di

provvidenza igenica. I bambini bisognosi di sorveglianza e di educazione erano spesso coinvolti in gravi

incidenti domestici.

Nel porre la questione dell’assistenza infantile, Sacchi, seguendo l’esempio della pubblicistica francese,

intendeva procedere con l’analisi del vasto universo della beneficenza milanese e lombarda. Nel 1849 Sacchi,

proponeva due riforme che avrebbero permesso di realizzare “immensi benefici” economici e morali, e senza

le quali l’istituzione dei presepi diurni per i lattanti avrebbe avuto un’efficacia parziale. La prima riforma

consisteva nel limitare la beneficenza del brefotrofio ai soli figli naturali, chiudendo la ruota e subordinando

l’accettazione dei neonati alla presentazione di un certificato di nascita anonimo, come già si faceva ad

esempio in Francia. Sacchi era favorevole sia al processo di pubblicizzazione delle istituzioni assistenziali, sia

all’intervento diretto dello Stato in questa materia, la spesa mantenimento degli esposti si sarebbe dovuta

porre a carico dell’erario come avveniva in Francia, Germania e in Russia, se non per intero, almeno per la

parte eccedente le rendite degli ospizi. Il “beneficio morale” che sarebbe derivato da questo primo intervento

consisteva non solo nell’eliminare l’esposizione dei figli legittimi ma anche nell’ottenere “l’assoluta

separazione” fra prole legittima e illegittima. La seconda riforma consisteva nell’introduzione di “pensioni di

baliatico”. Le pensioni, delle quali avrebbero dovuto farsi carico i Luoghi Pii Elemosinieri, avrebbero dovuto

permettere sia alle madri povere “impotenti ad allattare” di pagare una nutrice, sia alle operaie “allattanti” di

compensare il salario perduto a causa delle assenze dal lavoro. Sacchi riconosceva nei sussidi molti meriti ,

tra cui quello di garantire al bambino povero la “migliore tra le culle”, cioè le “braccia di sua madre”, e perfino

nel caso in cui gli aiuti economici fossero stati assegnati per il baliatico mercenario, non sarebbero mancati

gli esiti morali. Sacchi riteneva che lasciare alle madri povere la responsabilità nella scelta delle nutrici le

avrebbe costrette a prendersi cura dei loro figli. Le crèches avrebbero contribuito sia a rinsaldare i legami fra

madri e figli nelle classi popolari, sia grazie alla presenza dei medici e di altre persone caritevoli, a educare le

donne alla “paziente cura dell’allattamento e divezzamento dei bimbi”. I nidi sarebbero così divenuti delle

vere scuole di maternità. Dunque grazie ai nidi, le donne sarebbero divenute il tramite per divulgare il nuovo

ideale romantico di famiglia coniugale intima, centrato sul ruolo educativo e affettivo della figura materna,

ma anche il mezzo privilegiato per avviare un percorso di conciliazione sociale. Solera non accettava di limitare

la valorizzazione del legame materno alle donne sposate. Persistere nel “duro ostracismo” contro i figli nati

fuori dal matrimonio ed escluderli dai nidi avrebbe significato rinnegare le “inspirazioni più alte della civile

sapienza, e della carità evangelica che li muove”.

Per la realizzazione del progetto formulato dalla Commissione della Società d’incoraggiamento, Laura Solera

utilizzò i fondi residui della raccolta promossa per sussidiare i volontari del 1848. Il 15 giugno Solera potè

inaugurare in via sperimentale il primo asilo-nido. Il ricovero, che era in grado di ospitare circa 24 lattanti e

un numero doppio di slattati, fu aperto in Contrada di Santa Cristina, in una casa di proprietà dell’Opera Pia

asili di carità per l’infanzia. Il secondo nido, aperto nell’agosto 1851 in zona Porta Ticinese, ebbe sede in Borgo

Santa Croce, che poteva ospitare circa 24 lattanti e 90 divezzi. Dal 1874, l’anno seguente la scomparsa di Laura

Solera, il ricovero II fu affiancato, secondo la volontà della stessa Solera, da un altro nido(IV). Da quel

momento i due ricoveri di Porta Ticinese ebbero quest’ultima come unica sede: l’edificio era capace di

accogliere più di duecento bambini. Lo stabile, oltre a disporre di uno spazioso giardino e di ampie sale “ben

esposte e ben ventilate”, presentava una condizione igienica esemplare. I due nidi di Porta Ticinese

mantennero denominazioni (II e IV), ingressi e registrazioni separati fino al 1910, quando furono fusi e

trasferiti in via Tibaldi. Le prime crèches non furono dunque collocate nelle aree del centro storico, ma nei

quartieri nei quali vivevano gli operai e dove vi erano gli opifici che impiegavano le donne. Se i nidi I,II e IV

ebbero vita duratura, non fu così per il III, che sembrava essere il ricovero collocato nella migliore posizione

strategica, a fu chiuso per mancanza di richieste da parte delle operaie. Esse erano vincolate da lunghi e rigidi

orari di lavoro, incompatibili con le assenze richieste per andare al nido ad allattare. Impegnate in fabbrica nei

giorni feriali, non avevano energie sufficienti per accudire i piccoli durante la notte, dopo il ritiro dal nido.

Preferivano quindi affidare i loro neonati alla balie di campagna. Ebbe invece successo un quarto ricovero,

chiamato III dopo il fallimento del precedente, e destinato soprattutto alle erbivendole che lavoravano ai

banchi del mercato di frutta e verdura. Fra il 1885 e il 1910, le quattro crèches divennero cinque. Nel 1885

infatti fu inaugurato l’ultimo ricovero. L’apertura del nuovo ricovero, non fece aumentare in modo significativo

il numero complessivo degli iscritti, ma ne richiamò molti dalle altre sedi, e divenne il più frequentato della

città. I nidi infine tornarono ad essere quattro nel 1910.

Le crèches milanesi accoglievano, separatamente in due distinte sale, ogni giorno non festivo e dalla mattina

alla sera, due categorie di bambini, figli di lavoratrici povere, purchè non affetti da malattie: i lattanti con più

di quindici giorni d’età e gli slattati fino ai due anni e mezzo. L’opera pia aveva lo scopo principale quello di

riavvivare nei poveri gli affetti domestici. Le disposizioni interne prevedevano che i lattanti accolti nei nidi

dovessero essere nutriti al seno dalle madri, mentre nell’accettazione dei divezzi si dava la preferenza ai bimbi

che non erano stati affidati a una ba

Dettagli
A.A. 2023-2024
7 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher thepunkprincess97 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Macerata o del prof Bressan Edoardo.