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Già durante la seconda guerra mondiale prende avvio un processo di emancipazione delle
colonie europee, che prosegue e si fa imponente con la fine della guerra. I primi a
conquistarsi l’indipendenza sono i paesi asiatici e quelli mediorientali, dove più strutturata e
tenace è stata la resistenza già nei decenni precedenti al secondo conflitto mondiale. Adesso,
possono ovviamente approfittare del fortissimo indebolimento politico di Regno Unito,
Francia e Olanda per conquistare l’indipendenza. Anche in questo caso, la ricerca
dell’indipendenza è condotta da dirigenti e movimenti che combinano tradizioni e culture
locali con modelli di organizzazione politica di matrice occidentale. In particolare, ci sono
Realizzato dalla dott.ssa Olga Arenga
Storica e archivista
aree nelle quali si sviluppano movimenti nazionalisti che ibridano il discorso patriottico di
matrice europea con l’identità religiosa e la cultura locale. Fenomeni di questo tipo sono
particolarmente accentuati nell’India induista e nei paesi musulmani, ma dopo
l’indipendenza in questi paesi si delinea un profondo contrasto tra i gruppi che aspirano alla
costituzione di uno Stato islamico e quelli che sono a favore di uno Stato laico; nell’Asia
si formano movimenti che eleggono a modello l’esperienza
sud-orientale del comunismo
cinese e che dalla Cina ricevono aiuti e sostegno militare.
Dal 1950 in avanti, il processo di decolonizzazione prosegue su scala planetaria. In questa
fase, niente più resta delle vecchie colonie occidentali e sembra perfino che eventuali
ambizioni neoimperialiste siano destinate a infrangersi contro la nuova vitalità dei mondi
postcoloniali. La stessa guerra in Vietnam viene vista sotto questa luce: il fatto che in questa
guerra la massima potenza occidentale sia sconfitta da un esercito di guerriglieri asiatici
sembra la testimonianza più straordinaria dell’irresistibile forza del processo di
autonomizzazione dall’Occidente. Non sempre le cose vanno così, perché in Africa,
America Latina o nel Medio Oriente le maggiori potenze occidentali non cessano di nutrire
ambizioni neoimperiali.
In particolare, l’Asia postcoloniale degli anni ‘50-’70 è caratterizzata dalla contrapposizione
tra due modelli socio-economici molto diversi: da un lato vi sono stati come il Giappone o
l’India, che si dotano di strutture politiche democratiche e promuovono un’economia
fondata sul libero mercato o sull’economia mista; dall’altro lato c’è tutta un’area (Asia
centro-orientale e sud-orientale) dominata dal comunismo.
Vediamo nel dettaglio lo sviluppo politico del contesto asiatico dagli anni ‘40 a ‘70:
L’India: Nei decenni precedenti alla seconda guerra mondiale, il movimento
• – –
nazionalista indù guidato da Gandhi ha manifestato a più riprese la sua ferma
intenzione di costruire un’India indipendente. Nel corso della guerra, le
manifestazioni e i gesti di resistenza antibritannica si sono moltiplicati, anche da
parte della Lega musulmana e i tempi sembrano maturi perché l’India ottenga la sua
indipendenza e di ciò sono convinti anche i laburisti britannici e quindi, quando nel
1945 si forma il governo laburista di Attlee, uno dei primi atti di governo è la
convocazione delle elezioni per un’Assemblea Costituente indiana, che rediga un
testo costituzionale. Tuttavia, le elezioni non danno il risultato sperato dal governo
britannico, poiché sono l’occasione per una netta rottura tra il Partito nazionale del
Congresso e la Lega musulmana. Gandhi si è più volte pronunciato a favore di
un’India unita, nella quale possano convivere sia gli indù sia i sikh, senza considerare
loro posizione, con la richiesta dell’immediata
i capi musulmani, che radicalizzano la
formazione di uno Stato musulmano autonomo; d’altronde, è già da diverso tempo
Realizzato dalla dott.ssa Olga Arenga
Storica e archivista
che Jinnah sostiene la necessità di costituire due entità politiche separate, una per i
musulmani e una per gli indù, poiché egli ritiene che i due popoli siano a tutti gli
effetti due nazioni distinte.
La mancanza di intesa tra indù e musulmani convince il viceré, Lord Louis
Mountbaten e il governo inglese, che è asslutamente necessario in tempi brevi a una
divisione del territorio indiano. Tuttavia, ci sono due gravi problemi da affrontare: il
concentrazione dei musulmani all’estremo occidente e oriente; il secondo
primo è la
è la presenza di minoranze indù altrettanto significative. Così stando le cose, un
unico Stato musulmano non può essere costituito, a meno di non immaginare la
deportazione di milioni di persone per più di 1600 km. Il governo britannico, cui è
affidato il compito di disegnare le nuove entità politiche, procede dunque a delineare
due regioni distinte, una a occidente e una a oriente, appartenenti a un nuovo Stato
e uno Stato indù che occupa il resto dell’India, l’Unione
musulmano, il Pakistan,
Indiana. Il 14 agosto 1947 Mountbatten annuncia l’indipendenza del Pakistan e il
giorno successivo quella dell’India, ma quella –
partition che Mountbatten e il
–
governo inglese si augurano essere pacifica si trasforma immediatamente in
un’immensa tragedia, perché tra i due nuovi Stati scoppiano subito contestazioni sui
confini, che comportano scontri armati e un immenso esodo, purtroppo non pacifico.
La formazione dei due nuovi Stati, preparata dalla grande esperienza del movimento
non violento di Gandhi, finisce in un mare di sangue e Gandhi è costernato.
Nondimeno, l’Unione Indiana cerca di uscire da questa terribile situazione
preparandosi a costruire un assetto costituzionale democratico, sotto la guida politica
di Nehru e sotto la guida morale dello stesso Gandhi. Quest’ultimo, nella sua tenace
intenzione di rasserenare i rapporti nella popolazione, si dichiara favorevole a una
divisione delle risorse patrimoniali lasciate dagli inglesi: è un gesto estremamente
generoso, ma non tutti lo apprezzano e proprio quel giorno (30 gennaio 1948) viene
assassinato da un estremista indù, che lo ritiene responsabile di aver tradito gli
interessi dell’India. Nondimeno, neanche questo gravissimo dramma politico
interrompe la costruzione della democrazia indiana perché l’Assemblea Costituente
eletta nel 1946 continua i suoi lavori fino alla redazione di una Costituzione, che
entra in vigore il 26 gennaio 1950, ponendo le basi di uno stato indiano laico e
democratico.
Come abbiamo visto, la costruzione dell’India post partition è affidata alla guida di
Nehru, il cui obiettivo dichiarato è quello di fare dell’India «la più grande democazia
del mondo»: le condizioni dell’India post-coloniale non sono facili perché è un’area
enormemente popolata (350 milioni di persone), prevalentemente agricola, con
eccezioni livelli di analfabetismo, povertà e disuguaglianze sociali, linguistiche e
Realizzato dalla dott.ssa Olga Arenga
Storica e archivista
regionali. Tuttavia, queste difficoltà sono affrontate con successo, soprattutto grazie
alla Costituzione, che viene approvata il 27 novembre 1949. L’apertura alla migliore
tradizione liberaldemocratica occidentale, contenuta nel testo, è rafforzata dalle
dinamiche politiche che si creano in India dal 1947 al 1964, che vede il predominio
del partito di Nehru, il Partito del Congresso, che riesce a mantenere una notevole
stabilità, nonostante la grandissima varietà etnica, linguistica, sociale propria della
società indiana.
In politica estera, Nehru è tra i principali promotori della Conferenza di Bandung del
1955, con la costituzione del fronte dei paesi non allineati.
Dopo la morte di Nehru (1964) e dopo una breve fase transitoria, il Partito del
Congresso, nel 1966, affida la direzione del governo alla figlia di Nehru, Indira
Gandhi e il fatto che sia una donna a ricoprire la carica di Primo ministro mostra
siano stati recepiti i principi sull’uguaglianza tra i generi. La
quanto efficacemente
fase che Indira Gandhi si trova a governare non è semplice, né in politica interna né
in politica esterna: in politica interna, il problema principale è costituito da un
progressivo declino della forza elettorale del Partito del Congresso, a favore di
diversi partiti locali; in politica estera le difficoltà nascono dai complessi rapporti tra
India e Pakistan.
In linea generale, Indira Gandhi sceglie di fronteggiare queste difficoltà adottando
uno stile politico decisamente autoritario: e così, nell’organizzazione del governo,
assume su di sé, oltre che la presidenza del Consiglio, anche altri ministeri chiave.
La guerra col Pakistan, che vedremo dopo, provocano una crisi diplomatica tra India
e Stati Uniti e ciò induce la Gandhi a rompere la politica del non allineamento e a
collaborare con l’Unione Sovietica.
In politica interna, Indira Gandhi cerca di rilanciare il Partito del Congresso
unificando le sue due componenti storiche: da un lato, infatti, introduce riforme
sociali a favore delle classi più povere; dall’altro insiste sul nazionalismo indù come
chiave identitaria fondamentale; infine, nel campo economico si impegna molto nel
migliorare la produzione. Tutte queste iniziative le garantiscono grande successo
nelle elezioni del 1971, ma che allo stesso tempo diventano la causa della più grave
attraversata dall’India indipendente: nel 1975 i giudici di un tribunale
crisi politica
indiano ritengono di aver riscontrato gravi irregolarità nel corso delle elezioni del
1971, di cui ritengono la Gandhi direttamente responsabile. Quest’ultima si appella a
una norma della Costituzione, proclamando lo stato di emergenza per insurrezione
interna, riuscendo così a restare al potere ma le successive elezioni del 1977
mostrano una grande vitalità, perché in quell’occasione inaspettatamente, per la
dell’India, il Partito del Congresso viene battuto da un nuvo
prima volta nella storia
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partito, e ciò manda la Gandhi e il suo partito all’opposizione.
Il Pakistan: Problemi diversi, ma non meno ardui, si pongono al Pakistan. Il nuovo
• Stato pakistano è una realtà estremamente complessa, che ha disperatamente bisogno
di una solida identità comune perché la sua popolazione è divisa fisicamente in due
territori distinti, ma è anche divisa al suo interno da una gran quantità di gruppi etno-
linguistici d