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Umiliatevi a me, e io vi dico in verità che io non ho altra intenzione che di vostra pace.
Tornate indietro due di voi, e abbiano la mia benedizione se procurano che sia ubbidita
la mia volontà. – Compagni
I due ambasciatori tornati indietro raggiungono Firenze ai primi di novembre. Dal 15 ottobre è
al governo una Signoria formata di “uomini deboli e pacifici”.
Il 4 novembre, con l’assenso della Parte Guelfa, delle Arti e dei Signori, Carlo di Valois entra in
Firenze, con 1200 cavalieri. Profittando della remissività del Comune, e soprattutto
dell’irresolutezza dei Bianchi, i Neri si sollevano in armi. Rientra in città lo sbandito Corso Donati.
L’8 novembre, deposta a forza la Signoria vigente, si insedia un nuovo collegio di Priori, “pessimi
popolani e potenti nella loro parte” seguono violenze, devastazioni, fughe e – infine –
→
condanne. L’esclusione
La testimonianza del Compagni colloca Dante a Roma nei giorni del colpo di Stato e delle
violenze. Dante era in salvo, fuori Firenze, già nel momento della prima sentenza.
Il 27 gennaio 1302 il podestà Cante Gabrielli da Gubbio condanna
Dante Alighieri [e altri] … contro i quali si procedette con inquisizione dal nostro ufficio e
dalla nostra corte, su questo e da questo: che alle orecchie nostre e della corte pervenne
dalla pubblica fama la notizia che i predetti, quando tutti o alcuno di loro erano in carica
come priori, oppure dopo aver deposto quella carica, commisero a beneficio proprio o
altrui baratterie, peculato, ingiuste estorsioni di denaro o cose; e che essi o alcuno di loro,
ricevettero denaro o altro per influire sulla elezione dei nuovi priori e gonfaloniere; e che
commisero o fecero si commettesse frode o baratteria in denaro o cose del comune di
Firenze, o che questi si dessero e si spendessero contro il papa e messer Carlo, per
resistere al suo ingresso o contro la pace della città di Firenze e della Parte guelfa.
Sono condannati a pagare cinquemila lire di fiorini piccoli ciascuno e a restituire il maltolto; se
non lo fanno entro tre giorni i loro beni saranno confiscati o distrutti; se pagheranno, dovranno
rimanere due anni al confino fuori di Toscana, saranno per sempre interdetti da qualsiasi
pubblico ufficio o beneficio il podestà, constatato che quindici condannati, e tra essi Dante, non
→
hanno pagato e non si sono presentati, li condanna alla pena di morte.
Nel 1301 i figli di Dante e Gemma erano già nati: Giovanni, Pietro, Iacopo e Antonia. Una
provvisione del 9 giugno 1302 espelleva dalla città di Firenze i figli maschi più che quattordicenni
e le stesse mogli dei banditi. Ma secondo Boccaccio, Gemma non fu costretta a seguire il marito
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in esilio. Una certa protezione poté esserle garantita dalla famiglia d’origine, tanto più in presenza
di figli piccoli. Universitas partis Alborum
1302-1303
Uscito da Firenze nell’ottobre 1301, col rango di ambasciatore del Comune, Dante non rimise
mai più piede nella sua città. Il cittadino “comune”, il rampollo di guelfi che si era opposto, in
nome della libertà fiorentina, al “principe d’i nuovi farisei” e alla furia di Corso Donati, fu costretto
dalle cose a farsi uomo di parte, insieme coi Bianchi e con i vecchi ghibellini.
I primi passi dell’esilio sono narrati dal Bruni:
Sentito Dante la ruina sua, subito partì da Roma, dove era imbasciadore, e camminando
con gran celerità ne venne a Siena; quivi intesa chiaramente la sua calamità, non
vedendo alcun riparo, deliberò accozzarsi con gli altri usciti: e il primo accozzamento fu
in una congregazione delli usciti, la quale si fe' a Gargonsa, dove, trattate molte cose,
finalmente fermaro la sedia loro ad Arezzo, e quivi ferono campo grosso, e crearono loro
capitano generale il conte Alessandro Da Romena, ferono dodici consiglieri, del numero
de' quali fu Dante
I Bianchi costituirono un’organizzazione formale denominata Universitas partis Alborum de
Florentia, per legittimarsi quali “cittadini” fuoriusciti contro agli intrinseci. L’accordo con gli esuli
ghibellini rendeva certo ancor più profondo il solco che divideva i pur “guelfi” Bianchi dai Neri.
Dopo alcuni occasionali successi, le fortune militari dei Bianchi e ghibellini cominciarono a
declinare non si sa se Dante partecipasse personalmente alle spedizioni.
→
Nell’autunno:
“Ugaccione della Faggiuola … corrotto da vana speranza datali da papa Bonifazio di
fare uno suo figliolo cardinale, a sua petizione fece loro [= ai Bianchi rifugiati in Arezzo]
tante ingiurie, convenne loro partirsi, e buona parte se ne andarono a Furlì” – Compagni
Forlì in agosto era venuta in potere del ghibellino Scarpetta degli Ordelaffi che, alla morte del loro
primo, i Bianchi nominarono loro capitano.
È plausibile che Dante aiutasse nella cancelleria di Scarpetta, anche a preparare la spedizione
mugellana finita male fra l’8 e il 12 marzo 1303.
Verona
Un omaggio all’Ordelaffi è ancora nel De vulgari eloquntia. Ciò non toglie che i primi atti del
distacco di Dante dai Bianchi debbano situarsi a ridosso dei fatti militari del marzo 1303.
In quei giorni sembrerebbe che Dante si trovasse a Verona, presso Bartolomeo della Scala. Anche
Biondo pone Dante a Verona in missione diplomatica per conto dell’Universitas. Per Biondo la
legazione addirittura precede la sconfitta mugellana; avutane notizia, Dante avrebbe deciso di
fermarsi a Verona e di proseguire quel soggiorno come pausa di riflessione e di studi.
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La compagnia matta ed empia
1304
Un serio mutamento del quadro politico parse prodursi con la morte di Bonifacio VIII,
nell’ottobre del 1303. Il nuovo pontefice, Benedetto XI, era ben più disposto a un compromesso
con la Francia, e, per quanto riguardava la Toscana, molto meno obbligato ai Neri.
Benedetto nominò cardinale e quindi “paciaro” in Toscana Niccolò da Prato. Il cardinale ottenne
una balìa bimestrale finalizzata a stabilire la pace. “La pace” era, in effetti, un mosaico di “paci”
tra famiglie nella cornice di un accordo politico che permettesse il ritorno dei fuoriusciti.
In questo clima, Dante riannoda il legame con l’Universitas e torna in Toscana. In aprile
l’Universitas gli affida la stesura del documento con il quale si sottomette al “paciaro” il 26
→
aprile si compie un primo gesto di pacificazione.
Ai primi di giugno, una delegazione di dodici fuoriusciti viene ricevuta a Firenze:
“Ma i neri non avevano voglia di pace” – Compagni
Messi in condizione di temere per la propria incolumità, i dodici lasciarono la città. Il giorno dopo,
pure lui minacciato, il cardinale Niccolò abbandona Firenze, colpendola con l’interdetto. Alcuni
giorni dopo un incendio colpisce le case di alcune famiglie “bianche” e si estende all’intero centro
cittadino.
È comprensibile come, a questo punto, tornasse a prevalere tra i fuoriusciti la scelta delle armi.
Ma questa scelta causò la rottura definitiva tra i Bianchi e Dante. Alle ragioni profonde di
differenza e diffidenza si aggiungeva verosimilmente una valutazione realistica delle forze sul
terreno.
Dante avrebbe ammonito i compagni di sventura a non chiedere l’intervento di un certo alleato
d’inverno, ma piuttosto nella stagione più favorevole alla guerra; venuta l’estate, però, il presunto
alleato negò il suo appoggio e i Bianchi pensarono che il consiglio del poeta fosse stato dato con
malizia.
Nell’estate del 1303 la campagna dei Bianchi contro Laterina fallì effettivamente per il mancato
intervento di “traditori”. Ma la vera e propria rottura fra Dante e i Bianchi avvenne alla vigilia di
una loro sanguinosa sconfitta sul campo, quella della Lastra.
Treviso e il trattato De vulgari eloquentia
1304-1305 (?)
L’esperienza degli anni 1300-1304 mutò profondamente la visione dantesca della politica e della
storia, antica e recente. Le battute di Dante-personaggio a Farinata, a proposito dello “scempio”
consumato a Montaperti, echegghiano volutamente quello che era il sentimento diffuso, nelle
case degli Alighieri come dei Donati, nei confronti dei ghibellini italiani.
Nella storia personale di Dante, la separazione dai Bianchi ha un effetto persino più incisivo del
bando: solo adesso il Poeta è davvero espulso dalla dimensione municipale, posto che
l’Universitas era una sorta di “città” fuori dalle mura. Solo adesso egli è obbligato a confrontarsi
con una prospettiva interamente nuova, che, per successivi aggiustamenti si riferirà in un
riferimento privilegiato, per quanto “utopico”, all’Impero universale.
La speranza del ritorno in patria permane, ma ora è tutta affidata al prestigio di Filosofo-poeta e
alle opere che tale prestigio dovranno incrementare: anzitutto i trattati, De vulgari eloquentia e
Convivio. 13
Dal testo del De vulgari emerge, come termine post quem, l’esilio; la citazione di Giovanni di
Monferrato, come vivente, fissa invece il termine ante quem al febbraio 1305.
Molti studiosi hanno rilevato la speciale attenzione che il De vulgari riserva alla città di Bologna
e ai suoi poeti. Ne è scaturita l’ipotesi che il trattato sia stato scritto a Bologna, o almeno “per”
Bologna – ossia in vista di una pubblicazione che, partendo dalla città universitaria per eccellenza
potesse meglio diffondersi nell’intera penisola.
La sequenza letterale della profezia cacciaguidiana suggerirebbe che, dopo aver fatto parte per sé
stesso (breve periodo a Bologna), il Poeta trovasse ostello a Verona: ma il profilo del gran
lombardo, squisitamente liberale, che porta nella sua insegna un’aquila in cima alla scala, è
incongruente con quello di Alboino (successore e fratello di Bartolomeo della Scala, i cui pessimi
rapporti con il Poeta sono testimoniati dal Convivio). Per esclusione si può immaginare che l’asilo
più sicuro, in quella travagliata circostanza, fosse offerto a Dante dalla Treviso del buon Gerardo
da Camino. Cino da Pistoia
Il De vulgari registra, fra le altre cose, un nuovo assetto della cerchia che Dante riconosceva,
attorno a sé, nel segno dell’”amicizia”. Al termo della Vita nova, la sola figura rilevata era quella
del primo amico, Guido Cavalcanti. Già inciso dai dissensi filosofici e politici, quel legame
naturalmente si disciolse e mutò forma con la scomparsa di Guido.
Nel 1304 Dante presenta sé stesso come membro di una compagnia piccola di poeti toscani: tre
fiorentini e un pistoiese, tre vivi e uno morto. Il De vulgari torna su Guido tre volte, su Cin