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Decolonizzazione in Africa

L’Egitto, nel 1956, decise di nazionalizzare la Compagnia del Canale di Suez e, dopo l’intervento di USA e URSS, gli inglesi e francesi furono costretti a ritirarsi. In Libia, nel 1969, vi fu una rivoluzione che portò al potere il colonnello Gheddafi che si fece artefice di una sorta di socialismo islamico. Particolarmente violento e sofferto fu il processo di emancipazione in Algeria a causa della presenza di oltre un milione di coloni francesi avversi all’indipendenza; essa ricevette l’indipendenza nel ’62.

Nell’Africa nera, il processo di decolonizzazione avvenne solo tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 e fu un processo per la maggior parte pacifico. Casi particolari furono quello della Rhodesia del sud o del Congo. Spesso, però, le istituzioni politiche di discendenza europea vennero sostituite da regimi militari. Un caso a sé stante fu quello del Sud Africa, nella quale la minoranza bianca riuscì a conservare il potere praticando una politica di forte discriminazione, chiamata Apartheid.

Politica internazionale e non allineamento

Sul piano della politica internazionale, i paesi decolonizzati cercarono una piattaforma comune nel non allineamento, politica decisa nella conferenza di Bandung del ’55 e nella quale si decise di chiamarsi Paesi del Terzo Mondo poiché non appartenenti alle sfere d’influenza delle due potenze in guerra. Tale neutralismo, però, venne progressivamente abbandonato da svariati paesi, che si andavano allineando in senso filocomunista o filo-occidentale.

Invece, sul piano economico i paesi del Terzo Mondo erano accumunati dal sottosviluppo, ovvero dall’incapacità a risolvere i problemi di arretratezza economica resi ancora più gravi dall’aumento assai rapido della popolazione.

Italia del Dopoguerra

Dopo la guerra, l’economia italiana era in gravi condizioni: la produzione era meno di un terzo di quella dell’anteguerra; i danni inferti all’agricoltura erano incalcolabili rendendo drammatica la situazione degli approvvigionamenti alimentari; inoltre, l’inflazione era cresciuta a ritmi preoccupanti. I danni subiti dal sistema dei trasporti e dell’edilizia abitativa non erano molto gravi quantitativamente ma vi erano comunque milioni di sfollati, costretti a coabitazioni forzate o a rifugiarsi in scuole o altri edifici pubblici. Tutto ciò rendeva instabile la situazione politica.

Vi erano, infatti, gli ex partigiani che erano riluttanti a riporre le armi, i contadini e i braccianti avevano preso a occupare terre incolte e latifondi e vi era una pericolosa ripresa del fenomeno mafioso, favorito dal comportamento delle autorità americane. Sempre in Sicilia, si era sviluppato durante la guerra un movimento indipendentista, condizionato da una forte presenza mafiosa. Il movimento fu affrontato dai governi postbellici e fu stroncato, costringendo molti suoi aderenti alla macchia. Tutto ciò erano segni di una forte disgregazione sociale, acuita dall’armistizio firmato da Vittorio Emanuele III e dalle occupazioni alleate e nemiche nelle diverse aree, aumentando le tradizionali spaccature fra Nord e Sud.

Politica italiana postbellica

Le forze politiche candidate alla guida del Paese dopo il ventennio fascista erano le stesse del periodo tra la fine della Prima guerra mondiale e l’avvento della dittatura. Ciò che era mutato però era il contesto interno e internazionale nel quale i partiti dovevano operare. Vi era un’aumentata crescita della partecipazione politica e i partiti in primo piano furono i partiti di massa.

Il Partito Socialista era molto popolare grazie al suo leader Pietro Nenni, ma il gruppo dirigente era diviso tra le spinte rivoluzionarie e il richiamo alla tradizione riformista. Inoltre, il ruolo non preponderante che il Partito Socialista aveva assunto nella battaglia contro il fascismo e il nazismo ne diminuiva la popolarità e favoriva il PCI. Inoltre, Togliatti aveva riformato il partito comunista rendendolo un vero e proprio partito di massa, esteso a un più ampio pubblico e non solo agli operai. Si dimostrava un partito, quindi, disposto a collaborare e mostrarsi presente nelle istituzioni democratico-parlamentari, senza però rinnegare i suoi obiettivi e legami con l’URSS.

Democrazia Cristiana e altre forze politiche

L’unico partito in grado di competere con i socialisti e i comunisti era la Democrazia Cristiana. Essa si richiamava al Partito Popolare di don Sturzo, ma rinforzato dalle nuove leve dell’Azione cattolica e dal massiccio ed esplicito appoggio da parte della Chiesa. La Democrazia cristiana si presentava come il principale perno del fronte moderato, poiché il rapporto tra partito liberale e la loro base elettorale era definitivamente compromesso.

Al confine fra area liberaldemocratica e socialista, si collocava il partito d’azione. Forte del prestigio che gli veniva dall’adesione di molti leader dell’antifascismo e di molti intellettuali, il PDA si presentava come una forza nuova e moderna e si faceva promotore di ampie riforme sociali e istituzionali. Esso però era privo di una base di massa e faticava a trovare una sua identità, infatti nel 1946, vi fu una scissione che portò al suo scioglimento.

I gruppi di destra andarono ad ingrossare le file della DC e molti si raccolsero sotto il nuovo movimento l’“Uomo Qualunque”, che però era un movimento destinato a durare appena due anni.

Governo Parri e De Gasperi

La prima occasione di confronto tra i partiti si presentò quando i partiti si accordarono per mettere a capo del governo Ferruccio Parri, leader del PA. Parri cercò di promuovere un processo di normalizzazione nel paese e si dedicò al problema dell’epurazione, che avrebbe dovuto applicarsi ai funzionari statali e agli esponenti del potere economico più compromessi. Dopo la caduta del governo nel novembre del ’45 per il ritiro della fiducia del PLI, la DC riuscì a imporre la candidatura di Alcide De Gasperi, inaugurando una svolta in senso moderato. I progetti di riforme economiche proposti da Parri furono rapidamente accantonati e l’epurazione fu fortemente rallentata, finché nel giugno ’46, Togliatti varò un’amnistia ponendo fine al progetto.

Referendum e nascita della Repubblica

Il 2 giugno 1946 vennero fissate le elezioni dell’Assemblea costituente, nelle quali anche le donne avevano il diritto di votare. Nello stesso giorno i cittadini dovevano decidere se mantenere in vita l’istituto monarchico o fare dell’Italia una repubblica. Il 9 maggio, Vittorio Emanuele III abdicò in favore del figlio Umberto II, ma la Repubblica vinse con un netto margine e Umberto II partì all’esilio in Portogallo. Nelle elezioni per la Costituente, la DC si affermò come il primo partito con il 35,3% dei voti, seguito a distanza dal Partito Socialista e dal PCI.

Periodo della Costituente

La vittoria repubblicana si era retta totalmente sul voto del Centronord, così come i voti dei partiti di sinistra. I due anni dopo le elezioni della Costituente furono un periodo di definizione dell’assetto istituzionale dell’Italia, grazie al varo della Costituzione e il ritrovamento di un equilibrio politico. Democristiani, socialisti e comunisti continuarono a governare insieme ed elessero come Presidente della Repubblica il liberale De Nicola, con capo del Governo De Gasperi.

La coabitazione della DC e delle sinistre non eliminava i motivi di contrasto fra le due. La radicalizzazione della posizione delle sinistre durante l’inasprimento della guerra fredda portò il partito socialista nel 1947 a dividersi in rivoluzionari e i seguaci di Giuseppe Saragat che si battevano per allentare i legami con il PCI e il comunismo sovietico. Il Partito di Saragat venne chiamato il Partito Socialdemocratico italiano (PSDI). Ciò provocò una crisi di governo e vi fu la formazione di un nuovo gabinetto ripartito (DC, PSI, PCI) presieduto da De Gasperi, che finì col dare maggior libertà d’azione alla Democrazia Cristiana. A maggio De Gasperi diede le dimissioni e formò un governo di soli democristiani.

Entrata in vigore della Costituzione

Il testo Costituzionale entrò in vigore il 1° gennaio 1948, creata sulla base dei modelli democratici ottocenteschi per la parte riguardante le istituzioni e i diritti politici. Essa dava vita a un sistema di tipo parlamentare, con il governo responsabile per conto delle due camere (Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica), titolari del potere legislativo ed elette a suffragio universale. Esse erano incaricate di scegliere un Capo dello Stato con mandato settennale. Era previsto anche un Consiglio superiore della magistratura che garantisse l’autonomia dell’ordine giudiziario e una Corte costituzionale vigilasse sulla conformità delle leggi alla Costituzione. Inoltre, le leggi potevano essere sottoposte a un referendum abrogativo e annullate, dietro la richiesta di almeno 500 mila cittadini.

Articolo 7 e relazioni Stato-Chiesa

Il contrasto tra i partiti della Costituente avvenne quando si discusse la proposta di inserire nella Costituzione l’articolo 7, in cui si stabiliva che i rapporti fra Stato e Chiesa erano regolati dai Patti Lateranensi del 1929. Togliatti, cercando di rispettare il sentimento religioso della popolazione italiana, annunciò all’ultimo il voto favorevole del PCI, facendo approvare l’articolo. Il varo della Costituzione fu l’ultima manifestazione della collaborazione fra le forze antifasciste.

Elezioni del 1948 e conseguenze politiche

Infatti, dall’inizio del 1948, in vista delle elezioni politiche del 18 aprile, i partiti si impegnarono in un’accanita gara per conquistarsi i favori dell’elettorato. Vi fu, in questa occasione, la polarizzazione dei due schieramenti: quello di opposizione del PCI e quello governativo della DC e degli altri partiti laici. La propaganda della PCI fu danneggiata da una stretta adesione alla causa dell’URSS e alla politica estera di Stalin. Mentre la DC era favoreggiata dal legame degli Stati Uniti e dalle prospettive di sviluppo e benessere che ne derivavano. Le elezioni del 18 aprile si risolsero in un travolgente successo della DC, con il 48,5 % di voti. Vennero invece sconfitti i due partiti operai, che ottennero il 31%.

La delusione per questo risultato si espresse, quando il 14 luglio 1948, uno studente di destra sparò il segretario comunista Togliatti e lo ferì gravemente. Alla notizia, operai e militanti comunisti scesero in piazza, scontrandosi con le forze dell’ordine. Nelle zone del Monte Amiata, il moto assunse un carattere insurrezionale, che però si esaurì in pochi giorni. Le tensioni del paese risultarono ulteriormente esasperate e si rafforzò la tendenza a una gestione dura dell’ordine pubblico.

Divisione sindacale e manovra economica

Un’altra conseguenza fu la rottura della precaria convivenza fra le maggiori forze all’interno del sindacato, che si separarono e crearono la Cisl (DC) e la UI (i socialdemocratici e i sindacalisti repubblicani). Dal maggio ’47 si attuò una manovra economica con lo scopo di porre fine all’inflazione, il ritorno alla stabilità.

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Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

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