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Interconnessione tra caccia e sacrificio

Ormai abbiamo capito quanto interconnessi siano caccia e sacrificio, sul piano sia delle rappresentazioni che delle pratiche, che ne fanno le due facce della stessa medaglia. Gli hualulu si cibano solo della carne di animali non domestici, animali cacciati, ottenuti tramite una "lotta". Questi animali selvatici posseggono un che di sacro in quanto abitano un mondo diverso rispetto a quello umano, il reame della foresta, posto sotto la tutela di certi guardiani soprannaturali cui occorre offrire parti speciali degli animali cacciati. È una forma di "autorizzazione al consumo", la quale comunque non permette al cacciatore di consumare la propria preda (ciò attiva un meccanismo di reciprocità fra cacciatori). L'autorizzazione al consumo è centrale anche nel sacrificio, che peraltro si compie non per mangiare ma per un qualche altro scopo. Le offerte ai signori della foresta sono infatti silenziose, mentre le offerte sacrificali sono accompagnate da preghiere, invocazioni.

minacce etc. Le offerte sacrificali sono doni, cfr logica del do ut des. Per gli hualulu si possono offrire solo cose che non appartengono al proprio mondo sociale: animali selvatici, certi tipi di marsupiali (che sostituiscono le vittime umane) e nemici/esseri umani estranei (che però non vengono mangiati). La complessità degli atti materiali e rituali implicati in queste cerimonie sembrerebbe indicare che non è possibile distinguere veramente tra caccia, uccisioni rituali e sacrifici, ma che conviene piuttosto usare questo ultimo termine per indicare una serie di operazioni appartenenti tutte alla stessa classe di fenomeni. Si tratta di fenomeni che hanno a che vedere con la "presa della vita", dove questa vita assume un significato simbolico, un alone di interdizione e una certa sacralità. La difficoltà di attribuire ai fenomeni qualificati come sacrifici un carattere unitario è stata rilevata da molti autori. Posizioni radicali come quella di Detienne sonocmq rare, i più pref fare rif al caratt sacrificale di riti e atti che evocano la doppia dim della distruzione e del dono nei cfr di qlc pro beneficio di qualche tipo. Sono sacrifici quelli compiuti dai martiri musulmani contemporanei? Abbiamo detto che le loro azioni sono un tentativo di instaurare un scambio simbolico estremo tra la comunità islamica, il nemico e loro stessi. Esse sono anche però sacrifici di sé. Coloro che scelgono di compiere qst azioni parlano infatti di istishahad (martirio), parola connessa con la shahadah (testimonianza). In linea generale il martire musulmano è testimone della vera fede nel corso del jihad (guerra santa, lotta sulla via di Dio). Nella congiuntura attuale il jihad è riconosciuto come fatto socialmente, politicamente e ideologicamente rilevante... ma non per le cause locali che lo hanno det, né per le biografie dei singoli combattenti, ma come una serie di effetti globali che hanno assunto una.

La propria universalità grazie all'influenza dei media. I media modellano la percezione occidentale dei jihadisti e stimolano gli stessi aspiranti jihadisti. Nel processo mediatico la fusione tra il morire come martirio e il vedere come testimonianza raggiunge un'intensità di gran lunga superiore; come se la natura dialogica/comunicativa di tali atti venisse amplificata e rafforzata. Il contesto da cui emerse la coincidenza tra il testimone e il martire per la fede fu quello cristiano della tarda antichità. Bowersock ha ricondotto tale fenomeno alla convergenza di due elementi: il protagonismo sociale giocato dalle figure dei santi e il gesto suicida tipico della tradizione romana. Questa congiuntura caratterizzata da un clima politico particolarmente instabile e suscitatore di possibili atteggiamenti estremistici, avrebbe alimentato un'ideologia della morte al servizio di una causa. Col tempo le gerarchie religiose cristiane hanno respinto e scoraggiato l'elemento suicida, così non è stato per la tradizione jihadista.

islamica. In tutti i casi, presenti e passati, il martirio è tale se è compiuto e visto come tale, se è pubblico e pubblicamente riconosciuto. Si può diventare martiri in tanti modi, cfr martiri cristiani passivi e martiri musulmani attivi. La dinamica però trova ragion d'essere all'interno di una configurazione disposizionale e motivazionale particolare, innescata da concezioni specifiche della sacralità e della trascendenza, oltre che da un'idea particolare della relazione tra corpo e anima, materia e spirito. Il sacro è "qualcosa di separato e interdetto" (Durkheim), qualcosa che merita un'attenzione speciale (Leiris). Il sacro riveste un ruolo centrale nel sacrificio e nel martirio, cfr azioni rituali di purificazione e sacralizzazione compiute dall'aspirante attentatore che non solo uccide se stesso, ma lo fa cercando di uccidere il più nemici possibili, scegliendo delle vittime "sacrificali".

Egli si fa carnefice e strumento della carneficina. Il gesto estremo del togliersi la vita uccidendo altri si iscrive in una concezione particolare del rapporto tra violenza, trascendenza e vita. In questo senso il trascendente è prodotto delle relazioni politiche interne ed esterne ad un gruppo sociale. Invero, la violenza sacrificale/martiriale può essere interpretata come un atto mirante a fortificare la propria comunità di fronte a minacce esterne. Il martire opera nel segno del futuro, annulla se stesso per il futuro della sua comunità e della sua fede; il corpo del martire è per lui stesso un mezzo per accedere alla trascendenza tramite un atto spirituale. Emerge, dunque, una concezione particolare del rapporto che lega vita, morte e rinascita, tipico di tutte le concezioni religiose laiche che vedono nel sacrificio del singolo un mezzo per affrontare l'eternità del gruppo. Non dobbiamo mai trascurare l'importanza del pubblico che assiste a tali atti e li

legittima. L'atto sacrificale è distruttivo e insieme costruttivo, cfr martiri, vittime che per riscattarsi di una violenza subita compiono un altro atto violento, un sacrificio, al fine di restituire un certo ordine (il loro ordine) alle cose.

Cose: le pietre, le sostanze e i feticci. Certi oggetti si rivelano portatori di verità/autorità in virtù della loro particolare natura simbolica, cfr scettro di Agamennone. Ciò ci riconduce al mondo delle cose che circondano la pratica religiosa e le sue rappresentazioni, agli aspetti materiali della religione. Il senso del religioso è infatti raggiunto quasi interamente attraverso un "fare", un "toccare", un "vedere". Per quanto spirituale possa essere una religione, non c'è modo di separarla da una sua base concreta e materiale fatta di oggetti manipolabili, di gesti, di immagini reali. Il rito è un modo di manipolare gli oggetti (parafernalia) e di rapportarsi.

agli ogg, agli spazi e alla materia. Il fatto che la religione sia immersa nella materialità è qualcosa che molte religioni, specialmente monoteiste, tendono a rimuovere. Queste religioni si fondano su un'opposizione spirito/materia e per esse attribuire importanza alle cose nella pratica rituale è spia di un atteggiamento animistico o pagano, o anche superstizioso, deviato, eretico. Il dibattito su idoli, feticci, immagini, amuleti, totem, simulacri, reliquie etc. è antico come il monoteismo e nasce innanzitutto dalla consapevolezza (seppur rimossa) che la lotta contro tutte queste cose che sembrano ridurre la spiritualità a materia nasce dalla incancellabile sensazione che la materia ha comunque uno straordinario potere di fascinazione per gli umani. L'antropologia e la storia delle religioni, influenzate dal pensiero giudaico-cristiano e dal platonismo, se ne sono accorte relativamente tardi. Così le religioni monoteistiche e le scienze hanno a lungo ignorato le cose.Il fascino che promana dalla materia è connesso innanzitutto al fatto che essa "serve" molto spesso a rappresentare il sacro in maniera esplicita, a presentarlo sotto una forma talvolta potenziata nei suoi effetti impressionistici ed evocativi. Il timore dei monoteismi è che la materia sopraffaccia lo spirito e il credente scambi la rappresentazione con ciò che essa rappresenta. La materia può anche diventare manifestazione del sacro in virtù di alcune sue particolari caratteristiche, tali da suggerire l'idea di numinoso (cfr Otto, Il sacro, 1917). Numinoso è per Otto l'essenza stessa dell'esperienza religiosa, la percezione di qualcosa di completamente altro, qualcosa che riempie di stupore in quanto ben al di là della sfera dell'usuale e dell'ordinario, qualcosa che resta inconoscibile e inspiegabile ma del quale possiamo avvertire la presenza. Otto credeva che il numinoso fosse parte integrante di ogni religione, capace di emergere all'improvviso.anche in contesti caratterizzati da una lunga storia dottrinaria. Il numinoso di Otto non ha contenuti, è un'impressione, una sensazione ineffabile, un mysterium il cui senso è il senso che gli attribuisce il credente (Otto fa riferimento alla credenza anche perché lui è antimaterialista, sostiene la contrapposizione materia/spirito e corpo/mente). Benché la nozione di credenza debba essere impiegata con molte cautele nel campo dell'antropologia della religione, essa tuttavia descrive forse meglio di altre l'atteggiamento con cui un soggetto socialmente e culturalmente propenso a "credere" si dispone ad accogliere certe caratteristiche della materia che funge da medium del numinoso. È così che un colore, una forma, un movimento della materia possono diventare il tramite significante di una presenza. La credenza non è una semplice illusione né qualcosa di soggettivo, idiosincratico, ma un fatto sociale. "La credenza è la stabilizzazione di un

abito” (Peirce), per cui credere è qlc che fa rif a pratiche quotidiane, familiari,condivise e quindi socializzate. Credere è il fondamento di un’aspettativa, in tutte le circostanze della vita, religiose enon. Così nella materialità delle cose (naturali e artefatte) gli umani possono ritrovare ciò che la loro formazione li hamessi in condizione di aspettarsi, cioè di credere. Ciò non deve farci trascurare il fatto che tutte le soc conoscono cmqforme di incredulità più o meno diffuse o dichiarate.Vi sono religioni che accolgono la mat come elem stesso del sacro: i politeismi antichi e contemp, sopratt africani, latrattano come parte integrante della sacralità del mondo e della vita; altre religioni nutrono invece attegg sospettosi eambivalenti, se non apertamente contrari all’idea che la materia possa essere rilevante nella pratica religiosa. Cfrcristianesimo, che ha condannato idoli e feticci ma

promosso la diffusione di immagini sacre. La materialità non risparmia neppure quelle religioni considerate di norma "iconoclaste", come l'Islam. Per quanto concentrato sulla dimensione disincarnata di Dio, per quanto negatore di ogni possibile rappresentazione del Creatore e di qualsiasi culto che si distacchi dall'assolutezza dell'immateriale, l'Islam ha sviluppato una ricca tradizione di arte visiva. Le opere d'arte islamiche spaziano dalle calligrafie decorative ai mosaici intricati, dalle miniature raffinate alle architetture maestose. Queste opere, sebbene non rappresentino direttamente la figura di Dio o dei profeti, sono spesso cariche di simbolismo e servono a celebrare la bellezza e la grandezza del divino.
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Publisher
A.A. 2022-2023
19 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/06 Storia delle religioni

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher eioads di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Oggetti e patrimoni e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Sbardella Francesca.