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Le linee che a Varvaro sembrano centrali nella ricerca metodologica di Jauss e che ha cercato qui di
riassumere trovano poi una conferma al livello dell’esemplificazione. Lo studioso tedesco, infatti,
ha un’esperienza assai larga delle letterature medievali e moderne e sa scegliere con abile
discrezione esempi efficaci. Oltre a dominare un orizzonte letterario molto vasto, Jauss mette in
opera una vasta gamma di modernissime nozioni acquisite dalla linguistica, dalla filosofia e dalla
storiografia; esse non restano però come attestazione di vaste letture ma sono diventate strumenti di
un pensiero critico che realizza un esempio dell’interdisciplinarietà. C’è nella posizione di Jauss un
aspetto assai rilevante, che è decisivo per l’intima saldatura di contribuiti così eterogenei in un
metodo originale: è quella reale modernità di impostazione che trova una spontanea convergenza
con i filoni più robusti della ricerca attuale, alieni da crociate antiumanistiche e antistoricistiche.
Dunque, il suo approccio è critico verso lo storicismo “tradizionale” (che tratta le opere come
oggetti statici e sequenze cronologiche rigide, basate su idee prestabilite di valore e canoni fissi),
ma allo stesso tempo non abbraccia l’antistoricismo estremo di certe correnti strutturaliste o
formaliste che ignorano la dimensione storica della letteratura.
Capitolo I
La storia letteraria traccia, per Jauss, una parabola in costante declino. I suoi capolavori sono tutti
del XIX secolo. I patriarchi della disciplina (cioè, i fondatori della storia letteraria, legati a correnti
romantiche e storicistiche del XIX secolo) ritennero che la loro più alta meta fosse il rappresentare
nella storia delle opere poetiche l’idea dell’individualità nazionale nel suo stesso farsi. Al tempo di
Jauss, però, queste alte aspirazioni sono ormai un lontano ricordo. La forma tradizionale di storia
letteraria si è conservata nei programmi statali di esame, che, dice l’autore, sarebbe tempo di
riformare. Nei programmi dei corsi universitari, poi, tende a scomparire.
Si obietta alla storia letteraria classica che essa pretende sì di essere una forma di storiografia, ma in
realtà si muove fuori della dimensione storica e per questo motivo non perviene alla spiegazione del
valore estetico delle opere letterarie, che dovrebbe invece analizzare in quanto forme d’arte.
Infatti, nella sua forma più comune, la storia letteraria cerca di evitare il pericolo di un’elencazione
puramente annalistica dei fatti ordinando il proprio materiale secondo tendenze generali, generi
ecc., salvo poi trattare sotto queste rubriche le singole opere in ordine cronologico. La biografia
degli autori e la valutazione complessiva della loro opera, in questo caso, vengono a galla
marginalmente e dove capita. Oppure lo storico della letteratura ordina il suo materiale in un’unica
serie secondo la cronologia degli autori maggiori e li valuta secondo lo schema di ‘vita ed opere’ →
in tal caso, ovviamente, hanno poi la peggio gli autori minori e anche lo sviluppo dei generi, il quale
deve essere di necessità spezzettato.
Una descrizione della letteratura che accolga un canone oggettivamente immutabile di valori poetici
e ponga uno dietro l’altro in ordine puramente cronologico vita ed opere degli scrittori non è però
affatto storia. Allo stesso modo nessuno storico considererebbe storia una descrizione per generi
letterari. D’altro canto, è non solo raro, ma addirittura tabù che uno storico della letteratura emetta
giudizi qualitativi su opere di epoche passate. Egli suole richiamarsi piuttosto all’ideale di
obiettività della storiografia, che ha solo da descrivere come è andata realmente. E se lo storico
della letteratura si limita alla rappresentazione di un passato conchiuso e lascia il giudizio sulla
letteratura contemporanea ancora aperto al critico a ciò competente, allora egli, nella sua distanza
storica, rimane di almeno una o due generazioni indietro allo sviluppo più recente della letteratura.
Capitolo II
Le citazioni non servono soltanto a richiamare una autorità che sanzioni un passo avanti nello
sviluppo del pensiero scientifico. Esse possono anche riprendere un’antica problematica per mettere
in evidenza che una risposta divenuta classica non è più sufficiente, che essa stessa ha preso il suo
posto nella storia e ci incita ad un rinnovamento dei problemi e delle soluzioni. Jauss invoca la
testimonianza di Gervinus, il quale non solo ha redatto la prima descrizione scientifica di una Storia
della letteratura poetica nazionale dei Tedeschi (1835-1842), ma anche il primo e unico trattato di
storiografia scritto da un filologo. Lo storico della letteratura può definirsi tale solo quando,
indagando sul suo oggetto, riesce a individuare un’idea centrale che attraversa e collega gli eventi e
le opere letterarie che sta studiando. Questa idea deve emergere dai fatti letterari e metterli in
relazione con il contesto storico più ampio, così da dare loro un senso complessivo e spiegare come
si inseriscono nella storia culturale e sociale del loro tempo. Per alcuni quest’idea-guida è il
generale principio teleologico, per altri è la particolare individualità nazionale. Ad utilizzare
quest’ultima è proprio Gervinus, il quale, al fine di promuovere l’ideologia nazionale tedesca,
sostiene che la letteratura tedesca rappresenta l’erede naturale della tradizione greca, poiché i
Tedeschi sarebbero destinati a portare avanti l’ideale culturale dei Greci in modo autentico e puro.
Dunque, nel XIX secolo la storiografia letteraria e storica si basava su un modello teleologico, cioè,
interpretava la storia come un processo orientato verso un fine ultimo o un apogeo ideale (ad
esempio, l’unità nazionale o un periodo letterario classico). Tuttavia, con la critica alla filosofia
idealistica della storia, questo modello fu ritenuto antistorico e abbandonato. La questione allora
diventò: come si può raccontare la storia se non si ha un “fine ultimo” che le dia un senso
complessivo? Secondo Gervinus, uno storico può descrivere gli eventi solo se conosce il loro esito,
come in una storia nazionale che sembra concludersi con un’unità politica o con un periodo classico
della letteratura. Tuttavia, una volta raggiunto l’apice, la narrazione storica rischiava di cadere in un
racconto di “decadenza”. Questo portò Gervinus a liquidare la letteratura tedesca post-classica come
segno di declino e a consigliare agli artisti di dedicarsi invece alla politica e alla realtà sociale.
Jauss discute il cambiamento nel modo di concepire la storiografia nel XIX secolo e il passaggio da
una visione della storia “teleologica” (cioè, orientata verso un fine ultimo) a un nuovo modello
storicistico basato sull’idea che ogni epoca abbia valore di per sé, senza dover essere valutata in
funzione di ciò che è accaduto dopo. Dopo l’abbandono della visione teleologica della storia, in cui
ogni evento era visto come un passo verso un fine ideale, la storiografia storicista si è concentrata
sullo studio di epoche chiuse e definite. Ogni epoca viene trattata come un’entità autonoma, senza
legarla al futuro o al progresso successivo. Questo modello sembrava garantire una maggiore
“obiettività”. Jauss cita lo storico Ranke, che affermava che ogni epoca ha valore per il semplice
fatto di essere esistita, indipendentemente dal suo ruolo nel corso della storia. Questo principio
aveva una base quasi teologica, poiché implicava che ogni epoca fosse in rapporto diretto con Dio e
non dovesse essere giudicata sulla base di ciò che venne dopo. In questo senso, Ranke si opponeva
alla visione progressista che vedeva le epoche solo come gradini verso uno stadio superiore e che,
implicitamente, privilegiava le epoche più recenti. Tuttavia, questa visione storicista aveva un
prezzo: rompeva il legame tra passato e presente, ignorando come i fatti storici passati avessero
influenzato e contribuito a modellare il presente. Il passato veniva isolato e studiato “come era
realmente”, senza considerare i suoi effetti successivi. Jauss critica, inoltre, l’approccio storicista
che insiste sull’ “immedesimazione” con l’epoca studiata. Questo metodo, che richiede allo storico
di dimenticare tutto ciò che accadde dopo l’epoca in questione, rischia di cadere nell’irrazionalismo,
perché lo storico potrebbe non essere consapevole dei propri pregiudizi o dei criteri che usa per
interpretare il passato.
Nel XIX secolo, la storia della letteratura si basava sull’idea che ogni nazione avesse una propria
“individualità” che si manifestava nella cultura e nella letteratura. Questa idea dava un filo
conduttore alla storia letteraria, collegando passato e presente. Quando questa convinzione iniziò a
vacillare, la storia letteraria perse il suo centro, e passato e presente vennero giudicati in modo
separato. Valutare e comprendere le opere letterarie diventò più difficile, e questa crisi portò alla
svolta positivistica. Il positivismo cercò di risolvere la crisi prendendo a prestito i metodi delle
scienze naturali, puntando su spiegazioni causali (cause ed effetti) e sulla ricerca dei dati oggettivi.
Questo metodo però ridusse la letteratura a una serie di influssi e spiegazioni esterne (chi ha
influenzato chi), perdendo la specificità artistica delle opere. Il risultato fu uno studio sterile e
frammentario. In reazione al positivismo, nacque la Geistesgeschichte (storia dello spirito), che
rifiutava l’approccio scientifico e spiegava la letteratura come manifestazione di idee e motivi eterni
e sovratemporali. Questo metodo però, in Germania, si legò anche all’ideologia nazista, che lo
utilizzò per giustificare una presunta superiorità culturale e nazionale. Dopo la Seconda Guerra
Mondiale, emersero nuovi metodi che cercarono di de-ideologizzare lo studio della letteratura.
Tuttavia, questi metodi (ad esempio, la storia delle idee e lo studio della tradizione) continuarono a
ignorare il legame tra la letteratura e la sua evoluzione storica. Infatti, la storia delle idee cerca un
dialogo tra letteratura e filosofia, ma si concentra più sulle idee che sulle opere letterarie in sé; lo
studio della tradizione (scuola di Warburg) si concentra sull’origine e la continuità di motivi letterari
antichi, ignorando l’unicità storica e il contesto delle opere.
Jauss evidenzia che Benedetto Croce, con la sua distinzione tra poesia (vera arte) e non-poesia
(scritti meno importanti legati al loro tempo), contribuisce a mantenere questa separazione tra
valutazione estetica e