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BAROCCO
Il secondo secolo d’oro (XVII): un’epoca priva di centro, “corrotto, terribile,
crudele,miserevole e splendido, dominato dal senso del potere e della licenza, mistico e
miscredente” (Giovanni Macchia). L’universo o il mondo é inteso come labirinto, disseminato
di specchi, impossibile distinguere tra realtà e apparenza. L’unico filo di Arianna che possa
aiutare ad attraversarlo è il linguaggio, su cui si lavora intensamente: la strumentazione
retorica è potenziata al massimo, l’inventiva e l’immaginazione sollecitata al massimo grado,
il lessico sdoppiato, moltiplicato.
L’educazione
La regina Isabella ordinò a Nebrija di tradurre in castigliano le Introductiones latinae (1481),
manuale per l’apprendimento del latino destinato agli ordini monastici femminili. Esse
diventarono il nucleo della nuova educazione. Il latino e l’eloquentia costituivano il punto di
partenza per approdare a nuove discipline: il diritto, la medicina, la teologia. Solo la
conoscenza del latino classico permette di leggere le opere dei grandi maestri di ogni
disciplina delle lettere antiche. Le Introducciones presentano l’inizio di una nuova era
nell’educazione e nella cultura spagnola. La conoscenza del latino permetteva l’accesso ai
classici, la lettura dei poeti che era la base degli studia humanitatis. E leggerli era
indispensabile per imitarli.
Lo scrittore dev’essere come l’ape, immagine tratta da Aristofane, che, nutrendosi di molti
fiori, elabora il proprio miele; deve conoscere a memoria versi e prose che hanno colpito per
la loro bellezza e idee e li deve ricreare con parole sue. L’imitazione si deve nutrire di molti
fiori, non solo di uno, in quanto ciò porterebbe a una rozza imitazione. Garcilaso dopo le
annotazioni del Brocense e di Herrera sarà il poeta classico in Spagna da imitare. Per
questo Herrera segnala gli errori di Garcilaso affinché i suoi imitatori non li ripetano.
Nell’’eta d’Oro lo scrittore non pretende di essere originale come baco da seta ma come ape
imitatrice che presuppone di aver letto i classici e conoscere il latino. La differenza tra un
bravo scrittore e uno mediocre consiste nel saper rivestire il proprio sentimento di materiale
altrui, nel saperlo trasformare in miele e in novità.
Il cortigiano
Possedere conoscenze e saperle dimostrare è una delle caratteristiche che delineano il
ritratto del cortigiano, il prototipo dell’uomo rinascimentale a cui Castiglione diede forma nel
suo dialogo. Bóscan lo traduce nel 1534 in una prosa impeccabile. Insieme lui appare il suo
amico Garcilaso che lo spinge a terminare la traduzione lodando il suo stile pulito perché
fugge “dall’affettazione senza cadere nell’aridità”. Il cortigiano, di buon ingegno dev’essere
abile nell’uso ed esercizio delle armi ma anche in quello delle lettere com’era Garcilaso.
Nella scrittura il cortigiano deve raggiungere un po’ di difficoltà o una certa acutezza
“sostanziale e segreta” affinché il lettore lavori “con buon giudizio” e poi raggiunga quel
dialetto che si prova nel comprendere le cose difficili.
Raggiunta l’unita nazionale con i Re Cattolici, Carlos intraprende una politica europea. La
presenza delle truppe spagnole in Italia comporterà l’incontro con la poesia italiana da parte
dei giovani poeti. La Francia riconosce la sovranità spagnola a Napoli con il trattato di Blois
(1505). Fernando il Cattolico consolida il potere spagnolo nel sud d’Italia. La battaglia di
Pavia darà a Carlos I l’egemonia sull’Italia rispetto alla Francia.
La dama
Gli illustri partecipanti ai dibattiti che stanno abbozzando il dialogo del Cortegiano, tracciano
anche il ritratto della dama. In essa, la bellezza è una qualità molto più importante che
nell’uomo, come pure deve esserlo la difesa del proprio onore. Deve caratterizzarla una
“certa graziosa affabilità” nell’arte della conversazione; non deve essere disinvolta né ritrosa
ma scegliere la giusta via di mezzo. Deve badare al proprio abbigliamento per essere
attraente, ma non deve farlo notare. La sua educazione consiste neo possedere nozioni di
lettere, musica, pittura e deve saper danzare. Si abbozzerà attorno a lei la discussione sulla
sua imperfezione rispetto all’uomo e il suo difensore, Giuliano de’ Medici, evidenzierà il suo
intelletto sottile e il suo ingegno. La dama deve avere una cultura media e non ostentarla.
L’amore
Nel Cortegiano si parla d’amore: Pietro Bembo, come personaggio, per ordine della
duchessa, dimostra come il vecchio cortigiano può essere innamorato. L’amore è desiderio
di “godere di ciò che è bello”, come diceva Platone. I Diálogos de amor di León Hebreo e gli
Asolani di Bembo svilupperanno questa nuova forma di relazione amorosa. Il godimento
platonico della bellezza femminile sarà un primo passo nel cammino della comunicazione
con la divinità. La bellezza è “un bene che emana dalla bontà divina “ e che “si diffonde su
tutte le cose create come la luce del sole”. Ma si mostra in special modo su un viso
armonioso, proporzionato, ben fatto; si imprime nell’anima di chi lo guarda e fa scaturire il
desiderio di godere di tale bellezza: è l’amore.
Quando la dama non è presente, sorge il dolore insopportabile, il vivere morendo, causa del
lamento costante dell’io poetico. Per evitare il tormento dell’assenza, il cortigiano deve
seguire il processo che conduce al godimento puro della bellezza, che si trova nella divinità.
Contemplerà prima solo la bellezza per formarla nell’immaginazione; li arriverà all’idea.
Inizierà allora a rivolgersi a sé stesso per contemplare la bellezza che si vede con gli occhi
dell’anima. La vedrà elevarsi nella sua parte più nobile cioè la conoscenza di ne godrà
quando sarà in grado di passare dalla conoscenza particolare a quella universale, in cui
l’anima si unirà con la natura angelica: è la unio del processo mistico.
La natura
Le conversazioni tra i pastori avvengono in un luogo ameno. L’uomo scopre, nelle sue
creazioni, un posto per la natura, ma essa apparirà sempre con le stesse caratteristiche:
prati verdi con fiori e uccellini, ruscelli e alberi che fanno ombra. I nomi geografici
cambieranno, ma gli elementi che li popolano saranno sempre gli stessi, nell’universo
bucolico e nella lirica. L’uomo, in un paesaggio gradevole, si trasforma in un io poetico che
lamenta il proprio dolore. Il desiderio dell’ irraggiungibile bellezza della dama configura la
sua introspezione. Il paesaggio sarà testimone del dolore dell’io poetico e diventerà il muto
interlocutore dei suoi lamenti.
Il rapporto con Dio
In questo inizio secolo, accanto al nuovo uomo appare un modo diverso di comunicare con
Dio. Erasmo da Rotterdam sarà l’artefice principale di una religiosità in grado di impregnare
la cultura spagnola. I suoi principali scritti : Elogio de la locura (1511), edizione bilingue del
Nuovo testamento (testo greco e nuova traduzione latina, 1516), Educación del príncipe
(1516).
Il suo Enchiridion militis christiani (1503) verrà tradotto in spagnolo e comporterà l’intenso
fidarsi di un entusiasmo erasmiano durante gli anni Venti. Erasmo ebbe un eccellente
sostenitore in Spagna: Alfonso de Valdés, segretario dell’imperatore. Fino alla sua morte
Erasmo godette della protezione delle autorità civili ed ecclesiastiche: l’inquisitore generale
Manrique permise che si stampasse l’Enchiridion e che gli venisse dedicata la seconda
ristampa. Nel 1527 Valdés scrisse come segretario una lettera a Erasmo, firmata
dall’imperatore, che venne riprodotta in tutte le sue edizioni spagnole dell’Enchiridion come
garanzia della sua liceità. L’università di Alcalá produce l’ingente Bibbia Poliglotta.
L’Enchiridion viene stampato proprio in questa università. Parallelamente bascerà nei
monasteri francescani il movimento religioso degli “alumbrados” con le due correnti: quella
dei recogidos (ortodossi come Francisco de Osuna) e quella dei dejados (condannati per
eresia come Isabel de la Cruz). Erasmo, nell’Enchiridion (che significa “arma manuale”)
parla delle armi necessarie per la guerra spirituale che il cristiano deve combattere: la
preghiera e la parola di Dio. L’erasmismo è un ritorno sia allo studio delle Sacre Scritture e
degli scritti dei Padri della Chiesa sia a un cristianesimo interiore: l’uomo deve conoscere se
stessi e dialogare intimamente con Dio. La comunicazione con lui si stabilisce attraverso
l’interiorizzazione. Una massima di san Paolo esprime la dottrina erasmiana: siamo tutti
membra del corpo mistico la cui testa è Cristo, nucleo del modo erasmiano di vivere la
religione. Il rapporto con Dio deve essere vissuto nella gioia.
Erasmo fu il precettore di Carlos V e dà inizio a una critica discreta delle pratiche esteriori
dei cristiani: né le messe, né i digiuni, né il culto delle immagini o delle reliquie valgono. Non
rifiuta tali pratiche ma ne avverte la vacuità: solo la piena esperienza dell’individuo dà loro un
senso. Antepone i comandamenti di Dio a quelli della Chiesa.
Alfonso de Valdés farà propria la dottrina di Erasmo e la esporrà nei suoi due dialoghi:
Diálogo de las cosas acaecidas en Roma (1527) e Diálogo de Mercurio y Carón (1528-29). Il
primo lo trasforma in un attacco alla corruzione ecclesiastica e in un allegato a favore
dell’erasmismo attraverso le figure di Lactancio, giovane cortigiano al servizio
dell’imperatore, il suo alter ego e l’arcidiacono del Viso, testimone oculare del Sacco di
Roma. Nel Diálogo de Mercurio y Carón sceglie due personaggi letterari che parlano con
dodici anime dirette alla barca di Caronte, condannate (salvo una) nella prima parte e con
sei destinate alla salvezza nella seconda. Il dialogo con le anime delinea un aspetto
dell’erasmismo cristiano, prima con la negazione (le anime condannate che credono
vivamente di potersi salvare con il compimento di vuote pratiche esteriori ) e poi con gli
esempi vivi delle anime beate che incarnano con il proprio comportamento la teoria
erasmiana.
Alfonso de Valdés unisce la divulgazione della dottrina erasmiana all’apologia della figura
dell’imperatore. Nel primo dialogo afferma la necessità di ricorrere alla provvidenza divina
per giustificare il Sacco di Roma e l’arresto del Papa. N